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tempio della concordia in una stampa del settecento

Girgenti nel Settecento

5 Agosto 2017 //  by Elio Di Bella

tempio della concordia in una stampa del settecento

Si sostiene, non a torto, che Goethe sia il massimo punto d’incontro, nei secoli, fra Germania e Italia.

L’esperienza italiana sarà una componente decisiva della sua opera e della sua personalità, irraggiando, molto al di là delle esperienze consegnate a quel pur ricco vario caldo e affascinante libro che è il « Viaggio in Italia ».

Affrontando ora  il tema girgentino non ci scuseremo della apparente divagazione perché il Poeta tedesco si stacca dalla cosiddetta « letteratura delle rovine », dal sentimentalismo, dall’archeologia poetica e dal folklorismo romantico per fare della sua visita nella terra di Girgenti un « reportage » rigorosamente unitario nel disegno e nella scrittura, in cui la minuzia e il caratteristico, soliti ai nordici, sono bagnati in un’atmosfera di ricordo che dalla verità li trasferisce alla poesia.

È stato già detto che in Goethe si riflette la grande crisi dell’epoca, in cui una multisecolare civiltà artistica (e letteraria) si avviava al tramonto o era già tramontata.

 Egli ne ebbe viva la conoscenza quando annotava a Venezia il 5 ottobre 1786, cioè un anno prima di arrivare in Sicilia: « …(È tempo di) volgermi alle opere manuali e, al mio ritorno, studiare chimica e meccanica. L’età del bello è passata, e ai nostri giorni bisogna pensare alla necessità e ai bisogni elementari ».

Ciò che vide arrivando in Sicilia sicuramente rinsaldò il suo proposito perché l’isola necessitava — alla lettera — di elementari bisogni vitali.

Negli ultimi decenni del Settecento i viaggiatori che percorrevano l’Europa ed arrivavano fino in Sicilia, estremo lembo di essa, davano ai lettori immagini più o meno fedeli, resoconti più o meno attendibili che soddisfavano la curiosità per i paesaggi ed i costumi diversi, pittoreschi ed inediti.

Uno di questi, il francese Denon che arrivò sette anni prima di Goethe in Agrigento, dichiarava nel suo «Voyage en Sicilie» che fece una triste esperienza dell’ospitalità agrigentina, finendo in un granaio, proprio per togliersi dalle « pericolose » strade della città. Aggiungeva che era arrivato alle undici di sera, che nessuno era stato preavvisato del suo arrivo, ed anche il console francese che, fra l’altro, si era rifiutato di riceverlo.

Ciò nonostante lo scrittore rimase in Agrigento ben diciotto giorni, alloggiando all’ospizio « Dei trovatelli », vicino al Duomo (la casa degli « Oblati » fondata dal Gioeni).

Cogliamo quindi un primo aspetto della Girgenti settecentesca, cioè quello della pericolosità delle strade. Ci riferiamo soprattutto ai briganti.

resti del tempio di ercole in una stampa del settecento

Sappiamo che alcuni illustri viaggiatori visitarono i templi di Girgenti « sotto la scorta di due o tre banditi ben armati, che venivano presentati sotto il carattere di paesani, che rispondevano con le loro vite della salvezza delle persone che a loro si affidavano, e che naturalmente erano ben pagati per il disturbo ».( L. Riccobene « Sicilia ed Europa dal 1700 al 1735 » – Sellerio Editore Palermo – 1976)

Mafiosi ante litteram, insomma!

Gli stessi lussureggianti giardini delle Esperidi che dovrebbero essere le campagne siciliane sono ora nido di miseria e di briganti.

Lo spopolamento delle campagne era già iniziato; il sottoproletariato agricolo si moltiplicava.

« Fame e miseria si annuncino appena si varchino le porte di qualunque casa o paese siciliano » annota il Meli. Per lo più si nutrivano d’erbe, di legumi e fichi d’india.

Come mai questa gente si è così profondamente trasformata, così degradata, anche se vive sotto lo stesso cielo, si riscalda allo stesso sole che videro la poesia di Teocrito, di Empedocle, l’ingegno di Archimede ? si chiedono i viaggiatori stranieri.

La risposta degli illuministi (Voltaire, Denon, Montesquieu) che il genio di queste razze si sia spento con loro, lascia adito a molti dubbi per gli stessi francesi che introducono motivazioni politiche con la conseguente condanna al feudalesimo.

C’è dunque in Girgenti un’aristocrazia parassitaria, un clero ricco e potente, un ceto borghese smanioso di vivere come nobili e poi il popolo minuto, lacero ed affamato. Quasi tutta la terra è nelle mani di poche famiglie e del clero.

La Sicilia negli anni del Caracciolo è condizionata dalla lotta dei baroni feudatari con il potere dei viceré mandati da Napoli.

Per cui gli abitanti di Girgenti, quasi 15.000 abitanti, apparivano «tristi, cupi, bigotti ».

Quella che era stata la splendida città di Akragas, cantata da Pindaro come fra le più belle dei mortali, era così degradata agli occhi degli illustri viaggiatori del Settecento. Tuttavia, l’atteggiamento di Goethe è più cauto di fronte allo stesso quadro di desolazione e di miseria obiettiva dell’antica civiltà occidentale: « Questo suolo — egli dice — rimane sempre il teatro definitivo dei più grandi avvenimenti ».

Certo che, arrivato in Girgenti inseguendo i miti della felice Akragas, non rimane granché deluso nel constatare com’era stata ridotta dal triste imperio di vescovi e di monsignori di curia.

Anche a non prendere per oro colato il racconto, un po’ alla Hoffman, dell’anticlericale, sull’autoflagellazione dei duecento borghesi girgentini, alla quale gli è capitato di assistere un venerdì sera, attratto dai lamenti provenienti da una chiesa, resta il fatto che molte confraternite presenti in città erano le istituzioni più importanti di essa, sulla quale pesavano ancora vecchi interdetti e scomuniche papali del triste periodo savoiardo.

Ciò doveva necessariamente dare un’atmosfera di grevità alla città costruita su « rupi grifagne », anche se proprio in quegli anni veniva abolito il famigerato tribunale dell’inquisizione (16 marzo 1782).

Le mense però degli ecclesiastici abbondavano di ogni ben di Dio, e di buona compagnia. È noto, altresì, il famoso banchetto del vescovo di Girgenti, ricco di oltre cento portate, offerto da un altro grande viaggiatore del tardo Settecento, lo scozzese Patrick Brydone.

  Quest’ultimo si meravigliò di scoprire che a tavola con il vescovo sedessero parecchi massoni, non riuscendo a comprendere come avessero potuto superare le loro tradizionali rivalità. E ne sapeva qualcosa lo scozzese Brydone, esperto di massoneria come Goethe.

tempio di giunone in una stampa del settecento

La Sicilia rappresentò per tutto il secolo diciottesimo un campo di osservazione eccezionale.

Il grande filosofo inglese George Barkeley visitò Girgenti tra il 1717-18 e ne scrisse all’amico filosofo di Modica, Tommaso Campailla, discutendo di certe corrosioni che aveva notato sulle colonne di pietra dei templi agrigentini. Ma questi illustri scrittori, filosofi, politici, che arrivavano in Girgenti, dopo mille disagi, da chi venivano guidati e assistiti in questa città?

Il primo centro di accoglienza, se così possiamo dire, era costituito dai padri della Cattedrale.

Denon racconta di lettere di raccomandazioni per altri prelati agrigentini; dice di essere stato guidato da un certo Gubernatis. Goethe incontra il suo Virgilio in un certo abate Vella che abitava nei pressi di Santa Maria dei Greci e che lo introduce nel Sancta – sanctorum dei fatti e dei misfatti del clero agrigentino con molta arguzia.

Il poeta tedesco è ospite di una brava famiglia che lo accoglie alla buona, in una specie di alcova separata dal resto della casa da una tenda verde. Egli, con attenzione, descrive le operazioni di fabbricazione della pasta in casa da parte di alcune fanciulle della famiglia che godeva comunque di una certa agiatezza.

« Ci siamo seduti accanto a quelle graziose figliuole che con agili dita attorcevano la pasta in forma di chiocciola ».

Si badi che Denon aveva annotato di non aver mai, in diciotto giorni, incontrato una sola donna passabilmente bella e di non aver mai potuto parlare con nessuna.

Evidentemente il francese non era riuscito ad essere ammesso nell’intimità delle famiglie agrigentine, come invece era accaduto al Goethe. Né si poteva immaginare che le donne uscissero di casa in quella società rigorosamente patriarcale e bigotta.

Il vescovo Andrea Lucchesi Palli dei principi di Campofranco scriveva che la sua « diocesi era scarsissima di preti, di confessori ed operai… ed abbondante di uomini dotti ».

Con certezza, si sa che il seminario era une delle migliori scuole del regno. Vi funzionava un collegio di studi superiori, una vera e propria università, intitolato ai santi Agostino e Tommaso.

Lo stesso vescovo fondò la prestigiosa biblioteca che appunto da lui prese il nome e che costituisce, ancor oggi, l’istituzione culturale più notevole di Agrigento. Le opere interne nei locali della Lucchesiana furono eseguite dallo scultore del legno Pietro Carletto. Erano fiorenti in città maestri di pittura e di ceramica come Libertino Cardella e Carmelo     Argento.

Ma, certamente, l’osservatore più attento del Settecento agrigentino è il  redentorista Lorenzo Gioeni de’ Cardona, vescovo di Girgenti dal 1730 al 1754.

La sua opera principale la costruzione del molo di Porto Empedocle. Il suo progetto era di trasformare l’antico e inadeguato caricatore di grano in un moderno molo capace di accogliere nuovi traffici e destinato a divenire uno dei più importanti d’Italia.

Qui si innesta la vecchia polemica sullo smantellamento delle rovine del tempio di Giove. Recenti studi fra cui anche quelli di Settimio Biondi, attuale direttore del museo civico, hanno fatto giustizia di queste accuse, probabilmente frutto di accese rivalità dell’epoca successiva al Gioeni.

È anche certo che il vescovo si prodigò per edificare con opere pubbliche di vario spessore la miseria terrificante del suo tempo in cui le fosse cimiteriali erano così piene che i vivi « erano costretti a pestare con pali i sepolti per seppellire altri morti ».

Tuttavia, le lettere, le scienze e le arti erano ben coltivate in Girgenti, come lo furono anche nel secolo diciassettesimo durante il quale fiorirono ben tre accademie letterarie (I Mutabili, gli Offuscati e i Rischiaranti)

Il giureconsulto Vincenzo Gaglio (1735- 1777) si occupò di diritto pubblico a livello internazionale, operando anche a Berna. Attorno a lui altri giuristi: Niccolò Amedeo Balsamo, Vito Aurelio Lombardo, Giovanni Carbonaro, Giuseppe Lo Presti e altri.

Ci fu anche una febbre, proprio negli anni della venuta di Goethe, di riandare con la memoria alla perduta grandezza, e si frugava nei sepolcri e nei monumenti e si raccoglievano monete le cui collezioni, a volte, si involavano con una certa facilità.

Il tempio di Giunone e quello della Concordia venivano restaurati nel 1787 dal principe di Torremuzza e dall’arcivescovo Airoldi che fece pubblicare un certo « codice arabico » dell’« impostore maltese » abate Vella, venuto in Girgenti al seguito dell’arcivescovo.

È proprio il Vella del « Consiglio d’Egitto » di Leonardo Sciascia e chissà se non sia anche la guida di Goethe, dato che coincidono le date e che il Vella possedeva un raffinato gusto di umanista e di narratore. A causa della sua impostura anche il famoso pedagogo De Cosmi insegnante dell’istituto superiore Agrigentino, fu deriso.

I tempi andavano però mutando e le vecchie strutture del feudalesimo già vacillavano e si delineavano nuovi fermenti rivoluzionari.

Sull’onda della rivoluzione francese, re Ferdinando aveva proibito ai cittadini francesi di entrare in Sicilia temendo che portassero altri pericolosi fermenti. Nel 1798 ci fu addirittura un massacro di soldati francesi che avevano tentato di entrare nel collegio di Maria.

I contadini li respingevano con falci, coltelli e vanghe, ricevendo il plauso del sovrano che non sperava tanta fedeltà.

E qui si potrebbe esclamare con Goethe « O destino dell’uomo come somigli al vento! ».

Ferdinando III, re delle due Sicilie, accordava, agli albori del nuovo secolo, il 24 marzo 1802, alla città di Girgenti il titolo di Senato, a condizione — dichiarava in omaggio alla plebe che lo aveva difeso — che le spese e il mantenimento del Senato stesso non finisse a carico della povera gente.

Ma la concessione di quest’ultimo privilegio si rivela sostanzialmente effimera, perché cadeva in un periodo in cui maturavano già le nuove idee rivoluzionarie importante dalla Francia.

Incominciava un’era nuova: il secolo XIX.

Queste, in grandi linee e con necessarie omissioni, le condizioni della Girgenti del Goethe. L’ideale di cultura d’una rinascita dell’antichità classica Greca, che aveva ispirato il suo viaggio, non gli fa vedere una mitica Arcadia, cioè un mondo che non tollera entro di sé nulla che non sia bello. Egli ha visto e descritto le reali condizioni di bellezza e di miseria della nostra terra, traendone ammaestramenti per sé e per i posteri.

Ancora oggi, le sue osservazioni costituiscono un efficace richiamo per quanti vogliano misurarsi con i problemi del Sud le cui « azzurre coste » non devono diventare l’illusorio mondo dei turisti.

Luigi F. Peritore

 

 

Categoria: Storia AgrigentoTag: agrigento, girgenti

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