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Girgenti E Agrigento A Confronto

26 Agosto 2017 //  by Elio Di Bella

Girgenti vs Agrigento

di Liborio Triassi

Sono tanti i viaggiatori stranieri che nel corso degli ultimi quattro secoli sono passati dalla Città dei Templi, tappa significativa del cosiddetto Grand Tour.

Ma quale Agrigento si presentava agli occhi di questi visitatori?

Con un esercizio di immaginazione possiamo cercare di vedere come stavano le cose in quegli anni e scoprire che il panorama urbano che si presentava ai loro occhi era ben diverso da come si presenta oggi.

Proviamo prima di tutto a spazzare via le automobili e con esse l’asfalto delle strade e i cartelli e le insegne pubblicitarie e i pali della luce e i semafori e, non meno importante, il rumore di fondo di mille motori accesi contemporaneamente. Quelli sono anni ancora pre-energia elettrica e pre-motore a scoppio.

Già vediamo la città spogliarsi di un abito scomodo e allo stesso tempo rallentare e recuperare una dimensione più umana. Per le strade acciottolate possiamo sentire l’antico suono degli zoccoli e delle ruote ferrate di carrozze e carretti, la voce a tratti stentorea a volte rauca degli ambulanti che porta a porta vendono il latte di capra girgentana e la ricotta ancora calda di sero, o dei pescivendoli che saliti di corsa dalla marina, si conquistano una balata al piano Lena, o dei fruttalori che abbanniano la loro merce e dell’arrotino che ammola forbici e coltelli e del vecchio con la mula che vende ciciri virdi e dell’altro col carrettino che d’estate vende la grattatella alla scursunera.

E’ un mondo che con gli anni è andato scomparendo portandosi dietro usi, lingua, mestieri e finanche il nome. Quella che i visitatori ammiravano era infatti Girgenti. Potrà apparire una sottolineatura banale ma serve a precisare un tempo, una condizione, una realtà che oggi quasi non trova più riscontri.

Girgenti era un mondo, Agrigento un altro. Ed è proprio negli anni Venti e Trenta, cioè all’epoca di questo cambio onomastico, che possiamo collocare lo spartiacque ideale tra il passato ed il presente della nostra città. Un ulte¬riore scossone sarebbe arrivato qualche anno dopo con i cambiamenti del secondo dopoguerra.

Ma l’immaginazione potrebbe non essere sufficiente in questo tentativo di rivedere la città com’era. Per fortuna ci rimane la straordinaria testimonianza dell’Anonimo Templare che ci racconta come si presentava Girgenti nella seconda metà dell’Ottocento.

Un documento preziosissimo per il suo valore storico e sociologico che merita di essere ristampato e riletto.

  I cambiamenti

Ai tempi del nostro Templare la città si fermava a Porta di Ponte. Fuori da questa soglia simbolica c’era già il Palazzo della Provincia ma non c’era il Palazzo delle Poste. Lì si apriva l’ampia spianata di Piano San Filippo con accanto la bella Villa Garibaldi che copriva il costone fino ad arrivare alla mole di San Vito, un tempo convento prima di essere trasformato in un carcere rimasto in uso fino a pochi anni fa.

L’attuale Piazzale Aldo Moro aveva un aspetto ben diverso. Lì passava una strada che portava alla Passeggiata ma era ancora percepibile come linea di demarcazione fra le due colline, di San Gerlando e della Rupe Atenea, su cui, oggi, si stende la città. Né esistevano la Piazza Marconi e la stazione Centrale. E non c’era la Banca d’Italia. La rapida e radicale trasformazione di quest’area a sud delle antiche mura chiaramontane, risale appunto agli anni Venti del secolo scorso.

A Girgenti si poteva già arrivare per ferrovia ma la stazione d’arrivo è quella che oggi chiamiamo Stazione Bassa. In città si saliva quindi in carrozza percorrendo un tracciato ancora extraurbano che solo decenni più tardi sarebbe diventato il Quadrivio Spinasanta e la via Imera.

Per consentire la realizzazione di una linea ferrata che arrivasse in città e una stazione adeguata ad un capoluogo, furono demolite le ultime torri superstiti della vecchia cinta muraria medievale. Non a caso il tratto di strada che unisce la via Empedocle a Piazza Marconi è stato chiamato via delle Torri. Queste, dunque, facevano parte integrante del panorama urbano che i visitatori potevano vedere, specie se alloggiavano all’Hotel Belvedere, per decenni il migliore che si potesse avere a Girgenti. Dalle sue finestre le antiche torri si vedevano perfettamente. L’albergo dei De Angelis sorgeva infatti più o meno in corrispondenza del famigerato tolto ubicato sotto piazza San Giuseppe che oggi oscura la vista del panorama. Una piazza, incredibile ma vero, rialzata rispetto all’attuale livello tanto che c’erano degli scalini da salire.

Ed era proprio al Belvedere che scendevano i viaggiatori più importanti, almeno fino a quando non fu superato nella qualità dell’ospitalità da altri alberghi come l’Hotel des Temples o il Gellia, come ci dice il nostro Templare. Tra gli altri qui furono ospitati un imperatore del Brasile, il musi¬cista Brahms, lo storico Mommsen, il romanziere inglese E.M. Forster.

Temple of Juno, Agrigento, Sicily, Italy. 1880 Crupi

La valle

L’obiettivo della visita girgentana dei viaggiatori del Gran Tour non era tuttavia la parte urbana della città. In città, tutto sommato, c’era poco da vedere. A voler essere sinceri, anche oggi non c’è moltissimo da vedere. E allora, come oggi, l’obiettivo di così lungo viaggio era la Valle dei Templi con i sui resti archeologici. Ma a questo punto è doveroso chiederci se era la stessa Valle che vediamo oggi.

No, la Valle era certamente diversa. Il primo fattore di diversità è costitui¬to dal fatto che era abitata. La campagna pullulava di contadini che con le loro famiglie vivevano nelle masserie e nelle robbe oggi per lo più abbandonate. Le terre erano coltivate, c’era un’economia basata sull’agricoltura e c’erano eventi come la Sagra del Signore della nave che si teneva nei pressi della chiesa di San Nicola e che Luigi Pirandello portò addirittura sul palcoscenico.

La strada era poco più che una trazzera che scendeva fino all’attuale posto di ristoro e quindi proseguiva verso il mare. Il tempio di Eracle era in totale rovina. Un ammasso di sterpi e blocchi di pietra disordinatamente sparsi. Le colonne che oggi vediamo ritte le fece tirare su negli anni Venti l’inglese Alexander Hardcastle il quale, inoltre, finanziò scavi, cercò inutilmente il teatro greco e portò l’acqua nella Valle.

Naturalmente non c’era il Viadotto Akragas. Non c’era l’asfalto sulla Via Sacra. Piuttosto c’erano le capre, le rinomate capre girgentane oggi tanto ricercate per il latte che producono ma a rischio di estinzione, a pascolare fra le colonne come testimonia una vasta iconografia.

Una questione di immagine

La fortuna vuole che diversi viaggiatori del Gran Tour siano scesi in compagnia di grandi illustratori i quali hanno lasciato una preziosa documentazione che oggi ci racconta come apparivano i luoghi della Valle in un’epoca precedente all’avvento della fotografia. E grazie a loro l’Europa dei secoli diciassettesimo e diciottesimo conobbe i monumenti che popolano la Valle e suoi pittoreschi tramonti e gli scorci di selvaggia bellezza che oggi cemento e civilizzazione hanno in buona parte spazzato via.

Se gli illustratori con i loro acquarelli e le loro chine hanno descritto per immagini come eravamo, i viaggiatori hanno annotato nei loro diari di viaggio impressioni e hanno descritto con i mezzi della letteratura, il nostro mondo ai loro occhi settentrionali, addirittura nordici, certamente esotico.

A loro si deve l’immagine della Sicilia e dei siciliani, nel nostro caso di Girgenti e dei giurgintani, che per secoli si è perpetuata giungendo complessivamente inalterata fino ai nostri giorni. Un’immagine non del tutto positiva in cui a dominare sono il fascino dei luoghi ma anche un generale arretramento

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento, girgenti

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