Fondata da coloni provenienti da Gela nel 580 a. C., Akragas fu governata nei primi anni da una oligarchia che dovette però subito affrontare tre pericoli che minacciavano all’esterno e all’interno la città.
I Sicani da diversi secoli abitavano nel territorio in cui era sorta la città ed erano arroccati nella zona più interna del territorio acragantino ed erano ostili verso i coloni greci; i Cartaginesi contrastavano anche loro l’espansionismo dei Greci in Sicilia per assumere il controllo dell’Isola.
Ma anche la sicurezza interna della città era instabile, perché tormentata da lotte intestine tra i coloni i due gruppi di coloni che avevano fondato la citta, i rodiensi e i cretesi. Era una lotta per stabilire chi dovesse assumere il potere. Gli akragantini subito si resero conto che solo un forte potere centralizzato ed una buona organizzazione militare poteva difenderli da questi pericoli. Nello stesso tempo Akragas doveva garantirsi nuovi mercati per sviluppare la propria economia e una decisa politica militare era considerata necessaria per avere il controllo dell’entroterra e sviluppare i commerci.
E’ in questo periodo e quindi in questo contesto che Falaride, cacciato dalla propria patria per la sua spregiudicata sete di potere, trovò rifugio presso Akragas, che era stata da poco fondata, portando con sé le proprie ricchezze. Queste insieme al suo ingegno nel campo degli affari gli consentirono di arricchirsi molto di più grazie alla partecipazione nel settore degli appalti di opere pubbliche. Ad Akragas si costruiva molto in quegli anni e Falaride si fece notare per la sua abilità dall’oligarchia akragantina che gli affidò la carica della magistratura edilizia e la direzione dei nuovi lavori per la costruzione di un tempio dedicato a Giove Polieo. Per tale opera ebbe a disposizione molto denaro pubblico e se ne servì per comprare un gran numero di schiavi e per corrompere alcuni tecnici e operai stranieri.
Fu questa l’occasione che secondo la tradizione lo portò, con freddo e lucido opportunismo, ad impadronirsi del governo di Akragas.
Reclutò uomini e schiavi per fortificare la rupe dove sorgeva il cantiere per la costruzione del tempio. Spiegò che una fortezza era necessaria per custodire il ferro e la pietra necessari alla costruzione ed evitare furti.
In realtà stava costruendo un presidio militare con uomini e mezzi e aspettava il momento opportuni per realizzare il suo colpo di stato estromettere il governo oligarchico e prendere il potere. L’occasione propizia arrivò con le festività in onore della dea Demetra, le Tesmoforie. Approfittando del momento in cui i festeggiamenti si svolgevano fuori le mura e i cittadini quindi si erano riversati fuori dalla citta fortificata, fece chiudere dai suoi uomini le porte di Akragas e diede ordine di saccheggiare e uccidere.
Consegnò a ciascuno dei suoi uomini le armi forgiate col ferro che in abbondanza aveva nel suo cantiere.
Come un’orda selvaggia gli schiavi si avventarono contro tutti quelli che incontravano e cogliendoli di sorpresa li trucidavano. Entrarono nelle case vuote per sottrarre armi, rubare e incendiare. Fu una strage.
Nasceva così la tirannide di Falaride che non avrebbe trovato notevole resistenza forse perché servì a pacificare il conflitto etnico tra le compagini rodia e cretese che l’avevano fondata.
Consolidato presto il suo potere, volle innanzitutto sottomettere le città dei sicani con memorabili stratagemmi e così riuscì ad allargare i domini di Akragas rendendo la città, grande e potente. I suoi successi favorivano la sua potenza e facevano crescere il consenso degli akragantini verso la sua politica. Presto i confini del potere di Akragas si allargarono verso oriente ed coincisero con il fiume Halykos. L’attuale Platani. Akragas diventava una potente e grande polis nella Sicilia centro occidentale. Il fiume Platani doveva essere la base di partenza per successive incursioni verso l’interno della Sikanìa e infatti gli akragantini presto sottomisero le antiche città sicane di Uessa e Camico.
Falaride con tali vittorie aveva dato maggiore respiro ai propri commerci degli akragantini nel Mediterraneo e la Akragas era adesso temuta anche dai Cartaginesi, che compresero che Falaride aveva l’obiettivo di porre un freno alla loro offensiva punica verso oriente, che volevano realizzare con l’aiuto di Selinunte. Anche i selinuntini da parte loro temendo la politica espansionistica di Falaride verso Occidente, quindi verso il loro territorio decisero di fondare una città, Eraclea Minoa, alla foce del Platani, così da difendere meglio i propri confini.
Trovando sbarrata la strada verso occidente, Falaride decise di inserirsi lungo la direttrice che l’avrebbe condotto a nord, verso Imera, impegnata come lui in una guerra contro i Sicani. Intendeva saldare così in una sola unità politica la costa meridionale a quella settentrionale della Sicilia. Falaride riuscì a convincere gli Imeresi che lui era il condottiero di cui avevano bisogno e gli Imeresi ingenuamente gli offrirono l’incarico. Falaride accettò ma pretese di arruolare una guardia del corpo, formata non da Imeresi ma da elementi stranieri.
Tanto bastò al poeta Stesicoro per comprendere che Falaride voleva soggiogare Imera. Stesicoro intervenendo nell’assemblea cittadina, raccontò il seguente apologo: Una volta il cavallo, che era libero al pari di altri animali, venuto in guerra con il cervo e non riuscendo a vincerlo da solo, chiese aiuto all’uomo, il quale si dichiarò disponibile a patto che il cavallo si lasciasse imbrigliare. Il cavallo vinse, concluse Stesicoro, ma restò imbrigliato e soggetto all’uomo per sempre. Il popolo, comprendendo il senso del racconto, cacciò Falaride ed onorò Stesicoro come salvatore della patria. Ma il coraggioso poeta fu perseguitato dal partito filo Falaride e dovette fuggire da Imera.
Dopo aver dedicato i suoi primi sforzi verso la Sicilia occidentale, l’aspirazione falaridea di costituire un forte stato agrigentino, si spinse verso il territorio gelese, quindi ad oriente. Falaride comincio innanzitutto a realizzare fattorie coloniche fortificate verso il fiume Salso e subito dopo anche fortificazioni militari sulle colline e i monti vicini all’attuale Licata, in tal modo intendeva frenare l’espansione di Gela verso quei territori.
rimase al potere per circa quindici anni dal 571 al 556 a. C.
La tradizione racconta che Falaride venne ucciso a sassate dagli akragantini esasperati dalla sua crudele condotta.
Talune fonti storiche suggeriscono che gli Emmenidi, da cui proviene il successore di Falaride, cioè terone, abbiano avuto un ruolo preminente nell’abbattimento della tirannide Falaridea: vengono fatti i nomi di Emmene, il capostipite, o di un Telemaco.
Il popolo, infatti, sotto la guida di un tale Telemaco della famiglia degli Emmenedi.
Secondo la tradizione Falaride stesso, avendo visto uno stormo di colombe impaurite che fuggiva un uccello rapace, affermò che quelle colombe erano stupide perché sarebbe bastato che si fossero unite per potere scacciare il nemico che le terrorizzava. Qualcuno pensò di dare attuazione all’apologo e lanciò contro il tiranno il primo sasso. Molti altri ne seguirono e così Falaride venne lapidato impietosamente da una folla di rivoltosi.
Elio Di Bella Falaride