di Lella Maldonato
Quando mia madre mi voleva castigare, ma proprio per bene, sentenziava: ” Oggi non scendi in cortile!” ed io mi sentivo morire.., il cortile delle Case Statali… Lo rivedo sfumato nell’aura della nostalgia, quel rettangolo di terra battuta tra le due palazzine INCIS che sorgevano in fondo a via S.Vito, un po’ isolate su dopo il Carcere, verso il Campo de’ Furchi ,dov’era la Chiesetta della messa domenicale.
Il “cortile” costituiva il luogo incantato, al di fuori delle categorie di tempo e spazio, nel quale erano vissute le nostre giornate, pienamente, nel gioco e nella realtà, dove abbiamo imparato a conoscere e a mettere in pratica le cose che contano: l’amicizia, la lealtà, il dispiacere, la solidarietà, la gioia… le animate partite di campanaro.La “montagna” una collinetta che lo delimitava a nord, era l’incognito mistero, il posto dove correvano i conigli selvatici, mentre la spianata, in basso, costituiva il palcoscenico per tutte le nostre fantasie ludiche: mercato per quando eravamo negozianti di sassi, di fiori, di foglie secche; accoglienti ed intime stanze segnate col gesso per terra per quando cullavamo le nostre bambole; laboratorio operoso per gli accurati lavori a maglia eseguiti sotto la guida delle più grandi; palestra per le animate partite di campanaro e di “lignu santu” ampio auditorio per i nostri cori serotini… A sud il cortile si apriva, davanzale spettacoloso sulla Valle e quindi verso il mare: panorama unico al quale ormai guardavamo come alla cosa più naturale del mondo e che ci portiamo dentro anche quando siamo lontanissimi da Agrigento. Le palazzine erano abitate da una trentina di famiglie, tutte amiche tra loro, e tutte con vari ragazzini che scendevano a giocare tutto il giorno in cortile.
Nell’appartamento abitato dal portiere, una famiglia originaria di Grotte trasferitasi in città, era stato installato un unico apparecchio telefonico a parete che serviva per tutti: lo usavamo a turno senza gettoni, senza prenotazioni. Ogni tanto qualcuno veniva chiamato a squarciagola, per nome, attraverso il cortile, e correndo si precipitava a rispondere. Occasione di incontro e di scambio, di resoconti un po’ pettegoli ma vivaci ed esuberanti di notizie, il telefono costituiva motivo di partecipazione vivissima agli avvenimenti delle singole famiglie. Risento nel naso, pungente, l’odore di tabacco da pipa misto ad aglio che “insaporiva” le nostre telefonate nel corridoio della casa di Donnangelo. Prupra (sic!) la figlia maggiore, fu una tra le mie prime compagne di giochi insieme ai miei cugini, ai ragazzi Sinatra, a Maria Teresa ed Aida Lopez, a Cettina Mangione, a Nino e Lello Rubino, ai ragazzi Nicosia…D’inverno donna Gesa, avvolta nel suo scialle nero, ci aspettava in cortile per accompagnarci a scuola, all’istituto Granata. situato all’estremità opposta della città. Scolabus ante litteram, donna Gesa infilava sotto il suo scialle, cinque o sei cestini con il pranzo, dava la mano al più piccolo, metteva davanti a sé il gruppetto e… si partiva! Scendendo la scala di S. Calogero che profumava, fragrante di pane appena sfornato dai ”Guarneri” , attraversavamo le villette di Porta di Ponte e lentamente percorrevamo tutta la via Atenea raccogliendo per strada amici, compagni di scuola, simpatizzanti…
All’Orologio il drappello s’era infoltito e quando doppiavamo la via Orfane, dietro la chiesa di S. Domenico, eravamo una quindicina di ragazzi vocianti che la povera vecchia (poi, se vecchia fosse realmente, oggi non saprei, allora la vedevo decrepita) si affannava a tenere uniti fino alla consegna nelle braccia di Nunziatina, la dolcissima ”portinaia” dell’Istituto, sempre sorridente e accogliente sul vecchio portone verde della Scuola. Che tristezza mi prende quando oggi vedo i bambinetti seduti immobili dentro eleganti pullman delle scuole private, incolonnati nel traffico romano, silenziosi e rassegnati a quella solitudine che già nei primi anni caratterizza la nostra vita nella grande città e inevitabilmente ripenso alle risate, alle rincorse, allo scambio vivace di racconti che facevamo lungo la strada di scuola di quegli anni, quando la macchina costituiva un’occasione di divertimento e non era parte indispensabile, tassello insostituibile della frenetica vita di città.
Quando “In cortile” arrivava qualcuno in taxi dalla stazione, o qualche medico chiamato d’urgenza, noi bambini ci accostavamo curiosi, chiedendo all’autista se ci faceva fare ” ‘na carruzziata” .Ogni tanto qualcuno acconsentiva e ci ammucchiava nei sedili posteriori e poi girava lungo il perimetro del cortile per due, tre volte: tutto lì… ma che divertimento, che risate!!! Ma ciò che ridesta in me più rimpianto e nostalgia, ricordando gli anni vissuti in cortile, è la dimensione collettiva del vivere quotidiano. Scandite dall’alternarsi dei ritmi stagionali, le nostre giornate si accendevano particolarmente, in occasione delle festività: erano avvenimenti vissuti tutti insieme, coralmente. Quando si chiudevano le scuole per le vacanze natalizie, e fuori faceva già freddo, tutte le sere ci riunivamo, a turno, in una delle case e, dopo aver cantato le tradizionali nenie della novena, tiravamo fino a tardi facendo animatissime tombolate, spassose partite di “Mercante in Fiera” o rapidissimi “sette e mezzo”
Quando il Carnevale cominciava a vedersi per via Atenea, perché i ragazzi riempivano di coriandoli i capelli delle ragazzine a cui facevano il filo, noi di pomeriggio, in cortile ci mascheravamo con i vestiti dei grandi, le vestaglie lunghe e le scarpe con i tacchi alti delle mamme, i baffi segnati dal carbone e i capelli dalle fogge più strane in testa, e…cosi conciati giravamo per tutti gli appartamenti delle due palazzine, felici di niente! soltanto di divertirci insieme!
Quando ormai Pasqua era nell’aria, la mattina del sabato, fin dalle prime ore ci si trovava in cortile, armati di bastoni in paziente attesa del Mezzogiorno: ora in cui, allora, prima della riforma liturgica, venivano ”sciolte” le campane ed annunciata la Resurrezione: era tutto uno scambiarsi il bacio della pace e poi… via di corsa a battere forsennati tutte le porte delle case al grido di ,; Nesci diavulu e trasi Gesù!!! ,; creando una sorta di atmosfera magica e festosa insieme, che coinvolgeva tutti, grandi e piccoli. La massa urlante di ragazzini saliva e scendeva per le scale, inevitabilmente qualcuno cadeva, si faceva male, ma continuava a correre, a sbattere, a gridare…
