L’unità d’Italia a Caltanissetta | ![]() | ![]() | ![]() |
Per tutta la prima metà del secolo del 1800 la Sicilia fu interessata da moti insurrezionali contro i Borboni per l’indipendenza dei Siciliani. Il malessere crescente e l’insofferenza al centralismo napoletano, condito dalle idee liberali che si diffondevano man mano negli ambienti intellettuali palermitani, crearono le condizioni ottimali affinchè il popolo si ribellasse in modo compatto ai borboni. Così nel 1848, in un anno colmo di rivoluzioni e di rivolte popolari che viene anche chiamato “primavera dei popoli“, scoppia la cosiddetta “rivoluzione indipendentista siciliana“. Cominciò il 12 gennaio 1848, e portò la Sicilia ad avere uno stato indipendente che sopravvisse 16 mesi con una sua costituzione dal carattere molto progressista per quei tempi in termini liberal-democratici. Questa rivoluzione fu il catalizzatore della fine del regno dei Borbonici nelle Due Sicilie che ebbe luogo tra il 1860 ed il 1861 con l’unificazione italiana detta anche Risorgimento.Nella sera del 28 gennaio 1848 anche Caltanissetta issò il vessillo d’indipendenza e furono dichiarati decaduti gli uffici di nomina borbonica e si elesse il “Comitato Centrale della Valle” che sostituiva l’Intendenza, e il “Comitato Comunale” che sostituiva il Decurionato. Purtroppo, per una lunga serie di motivi, fra i quali ricordiamo il rifiuto di aiutare i Siciliani da parte dei Savoia nella lotta contro i Borbonici, la condanna della Chiesa della proclamazione di indipendenza della Sicilia, una serie di contrasti interni nati all’interno del Parlamento Siciliano, l’insicurezza pubblica dovuta alla scarcerazione di tanti condannati delle galere borboniche e l’inettitudine militare, la Sicilia fu velocemente riconquistata dall’avanzata dei borbonici che il 23 aprile 1849 reinserirono le istituzioni esistenti prima della rivoluzione. Il 24 aprile l’esercito borbonico entrò a Caltanissetta non trovando alcuna resistenza. In quei giorni il porto di Palermo divenne un affollato crocevia dei più disparati personaggi, compresi molti cronisti di giornali inglesi ed americani, tra cui Ferdinand Eber Il primo luglio 1860 è l’avanguardia a fare il suo ingresso nell’abitato di Caltanissetta, mentre il giorno dopo tocca al resto della colonna, accolta con tutti gli onori e i festeggiamenti. Dalla cronaca di quel giorno lasciata dallo storiografo locale Mulé Bertòlo leggiamo: «Che movimento il 2 luglio sin dalle prime ore del giorno! Tutti son desti, tutti sono impazienti di dare il saluto fraterno ai prodi campioni della libertà. I contadini a frotte vengono a vieppiù ravvivare la vita cittadina, essendo giorno festivo. Il Governatore, il Magistrato, i Consulenti civici, le autorità tutte, la Guardia nazionale al completo, i più ragguardevoli cittadini, i popolani con rami di olivo, insofferenti di attendere gli animosi soldati della patria, muovono all’incontro sino al declivio settentrionale del San Giuliano, ove un grido poderoso di “viva l’Italia! viva Garibaldi! viva Vittorio Emanuele!” è il saluto del cuore, che dà Caltanissetta ai fratelli d’Italia; “viva la Sicilia! viva Caltanissetta!” con un accento, che va in fondo all’anima, è il saluto dei baldi giovani, a nostro aiuto mandati dalle province lontane, lontane dell’Italia del nord. I saluti s’incrociano, si mescono con le note musicali, che vibrano di quel patriottismo, cui devesi il miracolo del 12 gennaio 1848». A porta Santa Lucia viene allestito un grande arco trionfale, tappezzato di bandiere tricolori e sormontato dal ritratto di re Vittorio Emanuele: e sotto l’arco sfilano le mitiche camicie rosse disposte in due file, con in mezzo la Guardia nazionale cittadina, mentre da finestre e balconi è un piovere di strisce di carta verdi, bianche e rosse contenenti messaggi di saluto in versi e in prosa. Ad esempio, uno di essi recita: «In Caltanissetta è un nuovo giorno. Perché? Havvi il sole delle Alpi». Per il resto è un tripudio di fiori, sventolio di bandiere, applausi fragorosi. Insomma, è una Caltanissetta in grande festa quella che accoglie i garibaldini, che invero temevano di dover entrare in città a fucile spianato. Emblematica, in tal senso, la testimonianza lasciata dal garibaldino Giuseppe Cesare Abba (che all’epoca ha appena 21 anni) nel suo celeberrimo «Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille», libro pubblicato per la prima volta nel 1866: «Si calunniano tra loro borghi e città come godessero gli uni del mal degli altri. A sentire qui dovevano essere schioppettate. Invece trovammo fatto un parato di bandiere e di verde. Ci toccò passare sotto un arco trionfale noi, le autorità, la Guardia nazionale venuta ad incontrarci. I giovinetti volevano ad ogni costo lo schioppo dai nostri soldati, tanto per alleggerirli l’ultimo tratto: ma i soldati rifiutavano la cortesia. Forse qualcuno si ricordò di quando eravamo pei campi, nei primi giorni dopo lo sbarco, che si dormiva collo schioppo tra le braccia e le gambe incrociate, e alcuni se lo legavano al corpo, dalla paura di svegliarsi disarmati».
Il 7 luglio si tenne una meravigliosa festa nella Villa Isabella (Villa Amedeo). Giuseppe Cesare Abba descrive la festa in questo modo: “Festa da fate. I viali del giardino parevano di fuoco: il verde degli alberi e delle spalliere luccicava di splendori metallici; le donne di Caltanissetta coi mariti, coi fratelli, con noi [Garibaldini] parevano una famiglia innumerevole che si rallegrasse là dentro di qualche lieta avventura. Rinfreschi, vini e dolciumi, tanto da satollare per una settimana tutti i poveri della città; si ballò, si conversò, si dissero cose di libertà e d’amore“. Quando le truppe garibaldine mossero verso Castrogiovanni (l’attuale Enna), con loro partirono molti giovani nisseni appartenenti alla media e piccola borghesia.
La spedizione dei Mille continuò nell’Italia continentale e il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II fu proclamato Re d’Italia. Fonte: “Storia di Caltanissetta”, Rosanna Zaffuto Rovello |