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CALAMONACI CENNI STORICI. OPUSCOLO DEL 1929

15 Novembre 2015 //  by Elio Di Bella

 

CALAMONACI

CENNI STORICI

Di Francesco Cocchiara

Stampato nel 1929

 

 

Descrizione topografica

 

A Nord d un grande altipiano, fra il verde cupo degli olivi, all’ altitudine di m. 307, a Km. 54 della parte occidentale di Agrigento, capoluogo di provincia, e precisamente a Km. 4 da Ribera, patria di Francesco Crispi, si trova il comune di Calamonaci.

A Belvedere, punto più alto, un bel panorama si offre alla vista. Il monte Cranio, Caltabellotta coi suoi tre pizzi, Sant’Anna, dove fu la città di Triocola, gli stanno ad un fianco verso Ovest; all’altro Bivona, Santo Stefano, Cammarata, sulla estrema catena delle Madonie, Alessandria e Cianciana; gli fan corona Giuliana, Bisacquino, Chiusa,Burgio, Villafranca e Lucca, disparsi al Nord fra monti e colline, a Sud gli sta come di base il mare africano, detto Mediterraneo, che colle sue frastagliate insenature, comparendo da Sciacca sparisce a Capo Bianco, dove fu Eraclea.

Una sorgiva d’acqua a pochi passi, ne alimenta estesi giardini, e mentre basta ai suoi bisogni, per la cattiva manutenzione degli scoli, è covo di miasmi che danneggiano la pubblica salute.

L’energia elettrica di Ribera sfarzosamente illumina le sue larghe e ben tagliate strade da farlo comparire una fiorita e prospera cittadella.

Le sue origini

Il nome di diverse contrade della estesa pianura, come sarebbero la Chisiedda, San Giseppi, li Grazi li Cruci, d’accordo colla locale tradizione, dimostrano che il paese esistette or qua or là e molto tempo prima di quando ci ricorda la storia. Lo confermano i ruderi di una Madrice a tre navate, su cui nel principio del diciottesimo secolo, sorse la nuova.

Almeno dall’ ottavo al millesimo secolo si è certi ci averlo abitato i Saraceni, e ciò da varie sepolture saracinesche che in contrada Cozzu di lu medicu si vanno tutt’ora discoprendo.

Lo stesso nome di Calamonaci pare che sia di araba provenienza:

« Kal-at Munach,  Fortezza di fermata o di sosta, Stazione dì fermata dove si rilevano i cavalli »

Ed il fatto che in Calamonaci s’incrociavano due grandi strade per cui si comunicavano i capiluoghi della provincia con Palermo, strade che in parte più non esistono, e la sorgente d’acqua potabile coi suoi lussureggianti giardini rafforzano 1’ opinione sulla data interpretazione del nome.

Però è certo che fu sempre da pochi abitato.

Censimento

Anno     1652     abitanti 669

1776     »     780

1831     »     751

1852     »     740

1861     »     820

1871     »     881

1881     »     1019

1901     »     1363

1921     »     1359

1927     »     1468

 

 

Dinastia e Feudalismo

Il territorio di Calamonaci, di diritto feudale, si estendeva dalla montagna Chirchirillo a Scirinda, e dal fiume Verdura alla Salina.

La sua estensione si valutava ad Ettare 4 000 circa.

Nella storia le prime tracce di questo nome le troviamo al 1287, data in cui dal re Giacomo di Aragona fu ceduto a Berengario Villaragut, e dopo che costui, seguendo il suo re, lasciò la Sicilia, Federico I ne fece concessione nel 1296 a Berengario de Spuches con la clausola del jus francorum.

A costui successe la figlia Antonia che andò sposa al nobile di Sciacca Bernardo Inveges, il cui  diritto su Calamonaci è segnato nel registro di re Federico.

Figlio di questi coniugi fu Periconio, da cui nacque Amato, che ereditò nel 1398.

Da  nacque Giovanni, che gli successe nel 1423, riconosciuto nel registro di re Martino.

Donna Francesca Spalletta, moglie di Giovanni per ragioni della sua dote, si aggiudicò la Baronia di Calamonaci ne vendette una metà a Bernardo Perollo nel 1426 e diede l’altra metà a Martino Inveges, suo figlio, il quale ebbe per successore il figlio Antonio da cui nacque Margaritella, cui, essendo morta senza prole, successe la zia Margharita, figlia di Guglielmo, secondo genito di Amato,

Costei sposò lo spagnuolo Giovanni Ferreri de Marinis, ricuperò la metà dei beni baronali venduti al Perollo, e rimessa la baronia come al primo stato, la lasciò in eredità alla figlia Giovannella, sposa in prime nozze a Pietro di Sabbia, che investì nel 1487, ed in seconde nozze a Bernardino II. Termini Ferreri, col quale procreò Antonio, che fu padre di Bernardino III marito di Zenobia Bologna e da cui ebbe figlio ed erede Giovanni Vincenzo Termini Ferreri, il quale, per la immatura morte del padre, s’ investi, bambino, per mezzo dei suoi balii, nel 1592, della baronia di Calamonaci; ma fu 1’ultimo di questa casa, perchè, la baronia, oberata di debiti e gravata di enormi pesi, fu da sua madre, baronessa Zenobia Bologna, lui ancora minorenne, venduta nel 1599 a Vespasiano da Spuches, Giudice della Gran Corte, dal quale passò alla figlia Melchiorra, che sposò Francesco, Marchese di Montaperto, e poi al comune figlio Nicola Giuseppe che fu Principe di Raffadali nel 1605, per privilegio di Re Filippo IV. Cavaliere di San Giacomo della Spada, tre volte Pretore di Palermo, indi destinato, nel 1647 a prendere vendetta dei sediziosi che macchiavano la fedeltà della città di Agrigento, occupando perciò il posto di maestro di campo della Sergenzia di Agrigento e di Vicario Generale del regno.

Questo Principe, che di tanto onore fu per la Sicilia, sposò Lucrezia Bonanno e generò Francesco, unico erede, che poi fu marito di Elisabetta Lauria.

Da questo sposalizio nacquero Domenico ed Ottavio.

Il primo sposò Maria Carcello; ma, morto prima del padre senza prole, gli successe il fratello Ottavio, che fu Pari del regno e sposò Rosalia Massa, cui ebbe erede  Bernardo, Principe di Rafladal, Marchese di Montaperto, Signore di Calamonaci.

Costui sposò Marianna Branciforte e fu padre di Salvatore, che sposò Anna Maria Naselli, alla morte del quale Principe, per sentenza della Corte Suprema di Palermo dell’ 11 settembre 1829 la sua casa fu spogliata della baronia di Calamonaci e divisa ai molti creditori soggiogatarii.

Così ebbe fine la Signoria o Baronia di Calamonaci, che era durata per ben sei secoli.

 

Usi civici

 

Colle regge disposizioni dell’11 dicembre 1841, cessato definitivamente il dominio feudale in Sicilia, il comune di Calamonaci provvedeva per lo scioglimento dei diritti promiscui e per la divisione dei demanii feudali con deliberazione del suo Decurionato del 30 settembre 1842, volendo vendicare in pro dei cittadini varii usi civici negli ex feudi Calamonaci, Gulfa, Salina, Donna, Finocchio, Monte di Sara, Balata, Giraffi e Piano del Monaco.

Gli usi civici consistevano nella libera e gratuita raccolta di bruchi, di giummare, di erbe mangerecce, di cesso e di pietra per fabbricare. Però questa deliberazione ne restò lettera morta, forse, come si dice, per corruzione avvenuta.

 

Suo attuale territorio

 

Dell’ ex feudo Calamonaci la parte non censita, che confina col territorio di Lucca verso tramontana, oggi è posseduta dai De Michele da Burgio, ed il resto fu  nel 1857, concesso in enfiteusi a Francesco Pasciuta da Ribera, il cui nipote, con atto in Notar Mandina del 19 dicembre 1921 lo vendette alla Società Mutua di Miglioramento di Calamonaci, la quale a sua volta lo rivendette ai suoi cento soci del paese, con atto in Notar Musso da Villafranca.

Dalla parte censita molta andò, come da sentenza della, Corte Suprema di Palermo su mentovata, a Domenico Naselli duca di Gela, cui successe nel 1833 la figlia Laura che sposò Romualdo Trigona, Principe di Sant’Elia, e finalmente fu con atto in Notar Leotta da Ribera del 12 aprite 1926, acquistata dal Sac. Palminteri. Il resto, dalla stessa sentenza ceduto a Conventi, Collegi e Badie della Sicilia, fu, colla legge del 15 agosto 1867, incamerato dal Governo.

Nel 1846, in base al decreto di Ferdinando II dell’ 8 agosto 1833, per catastazione eseguita da Filetti, all’antico territorio si sono aggiunti gli ex feudi Gulfa e Donna Superiore, che si appartenevano al territorio di Caltabellotta.

 

Culto

 

Fa Bernardino III. Termini Ferreri, valenziano di origine, che investito della baronia di Calamonaci, propose ed ottenne la fondazione della Parrocchia, dotandola di alcuni suoi beni, con atto in Notar Giardina di Agrigento rilento, a 29 luglio 1584, dandole per protettore San Vincenzo Ferreri. La quale donazione fu confermata da Salvatore Montaperto  e Valguarnera, Principe di Raffadali e Barone di Cala monaci, con atto in Notaro Amari di Calamonaci dei 12 ottobre 1828.

La scelta del protettore fu sì gradita al popolo che da quell’anno in poi gli fu devotissimo e ne volle ogni anno (15 giorni dopo Pasqua ) solennizzare pomposamente la festa. L’ attuale simulacro rimonta a quella epoca. Vi si fecero dei restauri pochi anni addietro.

Una Teca d’argento racchiude una reliquia delle ossa di San Vincenzo Ferreri coll’ autentica della autorità ecclesiastica.

Le grazie che si ricevono non si contano. Non c’è famiglia, non vi sono emigrati paesani che nel dì della festa non offrano qualche dono o in cera, o in danaro, o in argento, o in oro. Una cassa forte, custodita dalle autorità del paese, racchiude ingenti tesori. La devozione si estende nei paesi vicini, ed il concorso dei forestieri è numerosa.

In epoca remota si formarono in Parrocchia due Congregazioni: una del SS. Sacramento l’altra del S. Rosario. La prima ebbe come oratorio la chiesetta dello spiazzo Madrice, 1’ altra la chiesetta della Annunziata, oggi diroccate entrambe. A protettori S. Giovanni fu per la prima e S. Michele per 1′ altra d’onde ne venne la classificazione di tutte le famiglie in San Giuvannara e San Michelara, che, da generazione in generazione, si è conservata tuttora.

La madrice attuale, in tre riprese distinte, fu innalzata sui ruderi dell’ antica a tre navate. L’ ultima ripresa fu per cura del Dottore don Giuseppe Gueli dal 1808 al 1824, anno in cui fu, con pompa, inaugurata.

Da un resoconto, che esiste a carattere del Gueli, risulta che gli introiti di questa volta furono onze 245, tari 23 e grana 7, e gli esiti onze 1111, tarì 8 e grana 3 con un disavanzo (onze 865, tari 14 e grana 16, che fu senza dubbio dai suoi privati risparmi coperto. Risulta inoltre che per imperizia degli operai, demolitasi la volta del cappellone, per miracolo senza vittime umane, fu a spese dello stesso munifico Signore rifatta con operai appositamente chiamati da Palermo, ai quali inoltre fu dato 1’incarico della squadratura e dello intonaco interno.

Dopo cento anni, cioè nel 1928, fu pavimentata di marmo per contributo de defunto Arciprete Di Leo ( L. 5000 ), di Cattano Vincenzo ( L. 1000 ), di Randisi Vincenzo ( L. 1000 ), cui paese tutto e di molti emigrati. La spesa ammontò a L. 24 000. Fu inaugurata a 20 aprile 1929 coll’ intervento di S. Ecc. Rev. Mons. don Bartolomeo M. Lagumina Vescovo di Agrigento e delle autorità di Calamonaci e di Ribera.

La Commissione, che riuscì a terminare un’opera tanto bella, si componeva dei Sig. Inga Dottor Giuseppe, Provenzano Salvatore, Zambuto Giuseppe, Scalia Giacomo, Morone Giovanni, Buttafoco Giuseppe, Colletti Alfonso, Vacante Vincenzo, Baiamonte Giuseppe, Scorsone Prof. Calogero, Dionisio Vincenzo, Cattano Giuseppe, Palminteri Sac. Michele, Vacante Vincenzo, Cacciatore Arc. Angelo, Palminteri Stefano, Collctti Vincenzo, La Barbera Isidoro, Marino Giuseppe, Battaria Giovanni, Provenzano Antonino.

Il maggiore scrittore di cose sacre della Sicilia, Rocco Pirri da Noto, ci tramanda che verso il 1540 esisteva in Calamonaci un Convento di Carmelitani, che corrisponde nei recinti fra  l’attuale Calvario ed il bevaio comunale. Fino a pochi anni addietro si vedevano le basi del fabbricato e la cisterna. Un alto e fronzuto cipresso rendeva più bello il panorama del paese.

Questo Convento nel 1666 con decreto del Vicario Capitolare della diocesi, fu soppresso, e le rendite di onze 24 furono destinate al Cappellano della chiesa parrocchiale.

Nella madrice vi sono due statue di pregio: un crocifisso al naturale ed una madonna del Carmelo con san Simeone Stok, scolpite in legno da Genovese di Palermo. La prima, per cooperazione di Di Leo Calogero e Palminteri Stefano, e per contribuzione popolare nell’ anno 1878, costò onze 40; 1′ altra per cooperazione del Sac. don Domenico Ferlita, col contributo dei soli San Nichelarci, fu con pompa ricevuta dal popolo a 2 luglio del 1866, e costò onze 50. 16. 2.

Fra gli usi e costumi religiosi notevolissime sono le regatte della festa di san Vincenzo Ferreri, consistenti nell’uscita per le strade delle statue di san Giovanni e di san Michele coll’ accompagnamento festoso dei rispettivi aggregati, con rami di alloro, musica e sparo di mortaretti. È noto ancora l’incontro di Gesù e Maria, ai quattro canti dell’ orologio, preceduto dalle tre caratteristiche corse di san Michele, in Corso Minore, che nella sua semplicità attrae e commuove.

Gli altri usi vigenti in occasione di battesimi, di matrimoni e di morte, essendo comuni agli altri paesi, non vale la pena ricordarli.

Rare sono le superstizioni, come per esempio: la ciarmata di lu suli, li ferri vecchi cu li zagareddi russi appisi nni li scali o darrè li porti.

Sono già deprezzate perché la civiltà le ha messo in meritato ridicolo.

’ Elenco dei Parroci:

SAC. GIOVANNI DOMENICO PELLICANO 1603—SAC. GIOVANNI DOMINICI  1636-37—SAC. VINCENZO Mossuto — SAC. ANTONINO 1NVEGES 1660-61—SAC. GIROLAMO CANNELLA 1659-70—SAC. GIOVANNI BATTISTA PALERMO 1708-15—SAC. VITTORE GARAGLIA.NO 1179- 24 —SAC. GIUSEPPE M. LO PRESTI 1725-46 —SAC. NICOLÒ MONTI 1746-60 — SAC. VINTI GIROLAMO 1760 -65 SAC. DOMENICO IMBORNONE 1765-96—SAC. DOMENICO VINTI 1796-1800—SAC. CARMELO MARRA 1800-1802 — SAC. MICHELE MARINO 1802-35 SAC. DOMENICO TRIOLO 1838-82—SAC. VINCENZO DI LEO 1882-1927—SAC. ANGELO CACCIATORE 1928.

Patriottismo

 

Della caduta del governo Borbone, nel 1860, Calamonaci ne sospirò a pieni polmoni perchè oppressa in mille guise, ritenuta sempre come terra di conquista.

E quando apprese 1’entrata vittoriosa di Garibaldi in Sicilia,  fu tra le prime a gioire ed a mandare i suoi voti di plauso e di ringraziamento.

Trascrivo con piacere la  forbita e patriottica deliberazione del locale Consiglio Civico, veramente meritevole di essere ricordata:

30 Giugno 1860.

Appena spuntava l’alba felice di libertà nel di 13 maggio ultimo, che dolce spirava sopra di noi, unico, unanime e gagliardo fu il pensiero di questi pochi popolani di Calamonaci a far sventolare il tricolore vessillo dell’ unità italiani, e destare nei petti caldi di amor patrio l’ ansiosa brama di rompere il vil servaggio e rovesciare dal trono l’oppressor della sicula terra. Unico il vessillo, unico il pensiero della libertà, unico il grido: Viva l’Italia; viva Vittorio Emanuele Secondo; viva il prode di Como e del Varese, eccelso Garibaldi.

Questo popolo devoto alla siciliana causa non si restò

a circoscrivere nello stretto diametro dei suoi confini il ribocco della gioia e della esultanza; ma colle ali del vento una squadra di prodi propugnatori contro il Borbone, sotto la scorta degli egregi condottieri Vincenzo Cottone di Villalba, Michele Ramoglia da Palermo, Vincenzo e Paolo fratelli Montavano da Calamonaci, Calogero Vinci e Campione fratelli e patriota corsero in Ribera a piantare l’italico stendardo, e ricondurre al concorso festoso della patria libertà gli animi di quei Riberesi, che pavidi ancora trepidavano i colpi del crudel brando della tirannia.

Ma scossi dal nostro entusiasmo aprirono il cuore ai plausi di libertà e seco noi gridavano: Viva l’ Italia; viva Vittorio Emanuele Secondo; viva l’ eroe Garibaldi; viva gli eroi dell’ Etna; viva le pugnataci siciliane squadre.

A questa comune italiana rigenerazione i prodi di Calamonaci con alacrità di cuore riunirono unanimi nel pensiero di libertà i popoli di Lucca, Villafranca e Burgio, ed oltre a questi i più distinti Signori Vincenzo e Paolo fratelli Montavano, Calogero Vinci i fratelli Vincenzo ed Eucarpio Campione di Calamonaci, Vinturella da Ribera e M. Antonio Valenti da Burgio defilarono colle armi in pugno a proprie spese a combattere la vile mossa degli sgherri borbonici, sotto il comando dell’ egregio Vincenzo Cottone, lanciandosi alla pugna per liberare la capitale Palermo.

A questo voto adunque della italiana adesione il Consiglio civico e municipale di Calamonaci col giuramento di fedeltà alla sicula indipendenza, fa pieno voto di adesione con tutti gli altri comuni della Sicilia di cui proclama a supremo Dittatore il generale in capo delle forze nazionali Giuseppe Garibaldi, in nome di Sua Maestà il re Vittorio Emanuele Secondo.

Sia il presente di solenne voto umiliato al supremo Dittatore per attestato della più alta e profonda riconoscenza di questo popolo di Calamonaci.

Il Consiglio Civico: GIUSEPPE COCCHIARA— FRANCESCO SPATARO — STEFANO PALMINTERI — VINCENZO CAPIZZI — VINCENZO COCCHIARA—FRANCESCO BAIAMONTE.

Pel Consiglio Municipale: VINCENZO MONTALBANO

Il Giudice Comunale: G. VINCI

Nel plebiscito per 1′ annessione al regno di Vittorio Emanuele Secondo, che ebbe luogo il 21 e 22 ottobre dello stesso anno, fra 300 votanti, si riportarono 300 voti favorevoli.

Nella guerra mondiale incominciata dall’Italia a 13 maggio del 1915, con rassegnazione veramente eroica sostenuta, mandò al fronte 300 dei suoi figli, ne perdette 20 e 4 li riebbe mutilati.

A memoria dei posteri e a comune insegnamento registriamo i nomi di tutti.

Morti

Rizzo Paolo fu Vincenzo in Zanzur a 8 giu. 1912

Cocchiara Carmelo di Gius. in Hudi Leva24 mag. 1915 Zicari Giuseppe di Leonardo nel M.Cima a 27 mar. 1916 Sollima Nunzio fu Gas. nel M. Boscon Sud a 16 giu. 1916 Navarro Cristoforo di Fran. in Villa Fausto a 8 ag. 1916 Graceffo Vincenzo fu Stef. nel M. Trappeto a 20 ag. 1916 Chirafisi Giuseppe fu Vinc. nell’Ospedale 26 a 31 ag. 1916 Vacante Giuseppe di Vin. in Gradisca a 7 nov. 1916 Spataro Giuseppe di Vin. nel M. S. Marco a 12 nov. 1616 Piazza Vincenzo di Ag. nel M. S. Marco a 12 nov. 1917

Riggi Francesco fu Giu. in Montino Nuovo a 19 giu. 1918

Montalbano Lorenzo di Vin.in Ospedale Nuovo a 25set. l918

Gampione Vincenzo i Giu. in Calamonaci a 2 set. 1921

Dispersi

Riggi Antonino fu Giuseppe a 7 agosto 1916

Piscione Gioachino di Liberio a 4 giugno 1917

Spataro Giuseppe di Calogero a 4 giugno 1917

Fasulo Luigi fu Luigi a 21 gennaio 1918

Piscione Alfonso fu Antonino a 10 settembre 1918

Vinci Vincenzo di Michele a 24 maggio 1919

Scorsone Giacomo d’ ignoti a 28 ottobre 1918

Monlalbano Lorenzo di Vincenzo a 25 settembre 1918 Mutilati

Raia Nicolò fu Vincenzo –

Graceffo Carmelo fu Carmelo Rizzo

Giuseppe di Vincenzo –

Colletti Giuseppe fu Gioachino –

Vacanti Paolo di Alfonso –

Baiamonte Calogero di Pietro –

Imbornone Giuseppe di Carmelo

 

uomini illustri

 

La tradizione popolare ci tramanda la memoria di parecchi personaggi importanti.

Verso il 1725 visse certo Galasso molto ricco e sfarzoso. Si dice di lui che un giorno, essendo andata la moglie del Principe a fargli visita, disse questa nel ritorno al marito: Galasso sì che sa fare il Principe!

Di questa splendida casa non rimane che un recinto di fichidindie, che corrisponde presso 1′ oleificio di Inga e compagni.

Catalano fu un altro personaggio, come il primo, ricco, ma sventurato. Si hanno tracce di questo nome verso il 1750. Esiste nel territorio una contrada così chiamata, si vede una tomba colla lapide di marmo nel suolo della diroccata chiesetta Annunziata. Questa famiglia fu distrutta per vendetta del Principe di Calamonaci. Ambizioso costui e superbo, vistagli una giumenta di valore, espresse il bastardo desiderio di falla sua.Catalano in primo tempo si negò, ma poi lui stesso gliela andò a legare alla stalla.

Troppo tardi! Era Principe lui e Catalano vassallo. Bisognava una lezione severa, e questa fu data non importava 1’immoralità dei mezzi.

Segretamente di notte fece scassare i suoi magazzini di frumento, lasciando tracce di furto fino ai magazzini

di Catalano.

L’indomani, da servi appositamente incaricati, fece dare 1’allarme. Così infamemente sporse querela e Catalano, accusato, fu trascinato in carcere, dove, condannato, passò miseramente il resto della vita fra il danno e lo scorno.

Fu pure da Calamonaci Giuseppe Costanza, facoltoso e prepotente. Fra molte altre possedeva una tenuta di terra in contrada Spataro, territorio di Ribera, oggi Villa Parlapiano, dove aveva facoltà, cosi almeno si dice, di giustiziare anche colla forca, chiunque sul luogo avesse colto in fragranza.

Si narra di lui che al Luogotenente Generale della Capitale del regno, appositamente venuto in Calamonaci in cerca del bandito pericoloso Consiglio Giuseppe, avendo promesso di farglielo vedere, dopo il pranzo tenuto in suo onore, gli comunicò che il ricercato era precisamente colui che lo aveva servito a tavola.

Egli fu padre di Eleonora che sposò Musso Bernardo da Villafranca. Oggi nessuno è qui degli eredi.

Quasi contemporaneo fu Gueli Giuseppe, celebre giureconsulto, di cui è viva la memoria. Nacque in Calamonaci da Francesco Paolo, amministratore dd Principe, nell’ anno 1781. Si addottorò in legge nella Reggia  Università di Catania. I suoi rari talenti gli aveano aperto la via all’alta magistratura, ma per affetto alla vecchia madre, vi rinunziò, contentandosi di vivere ritirato nella sua casa. I suoi consigli furono apprezzati.

Venivano per consultarlo genti d’ogni paese.

Fu amministratore di molti feudi, ond’è che si mostrò denaroso da far dire al popolo: Chi ti vinissi la firniscìa di Gueli ca un sapia unni mettiri li grana.

In corrispondenza con le più ricche famiglie della capitale, con le alte autorità della provincia, e dei migliori magistrati del regno, visse onorato e con fasto fino alla più tarda età. Morì a 13 dicembre del 1838, lasciando molti scritti poetici di pregio.

Ebbe un sol figlio, scemo per giunta. Calamonaci ne soffri la perdita del ricco  patrimonio, che caduto in potere di un nipote di Cianciana fu censito in parte e venduto il resto.

Un poeta contemporaneo cantava di lui:

Dotto Signor, che quanto dici e pensi,

forza dimostri e solida ragione,

tu sol tracciasti l’immortal Bacone

in diritto ragionar, come conviensi.

Dottor d’

alto saper, di lumi immensi,

io credo che di Socrate e Solone,

del gran Tullio, Demostene e Platone,

alma si sia trasfusa nei tuoi sensi.

Se tu non fossi in questo suolo angusto

di premj e dignità, se fossi a vista

dell’ inclito monarca retto e giusto,

faresti, a mio parer, doppia conquista

di cariche, d’ onori, o saggio, o augusto

filosofo, politico, più ancor legista.

 

Fatti memorandi nei suoi dintorni

 

Due grandi città sorsero nei dintorni di Calamonaci.

Al mare, sul Capo Bianco, presso la foce del fiume Alico, oggi Platani, vi fu Eraclea. Si dice fondata dai Fenici, che in onore del loro dio Makar, 1’avevano chiamato Macara. In seguito i soldati di Minos, soffocato nel bagno dalle figlie di Cocalo, riattivandola la dissero Minoa. Furono i seniluntini che, possedutala verso il 519 av. C. in onore di Ercole da  cui si dicevano oriundi, la chiamarono Eraclea.

Essa, più volte soggiogata dai cartaginesi e dai siracusani, cadde finalmente sotto la dominazione di Roma. Presso il suo lido fu combattuta la più grande battaglia navale del tempo fra i romani ed i cartaginesi. Questi, capitanati da Annone ed Amilcare, ebbero la peggio. Però i romani poco di poi, sbarcati nelle coste africane, alle grandi perdite aggiunsero la prigionia del ricantato Attilio Regolo. Ciò avvenne verso il 256 av. C.

Si ha notizie della sua esistenza fino all’ epoca delle guerre servili ( 134 av. C. ). Dopo di che, a cagione dell’affondamento in mare della metà di essa, i superstiti, temendo estendersi il disastro a tutto il resto, man mano   l’abbandonarono.

Triocala, plesso il fiume Verdura in contrada Troccoli a 4 chilometri circa da Calamonaci, fu una tra le più importanti città. La sua origine di perde nei tempi. Ne fa menzione lo stesso Filisto, contemporaneo di Platone. Diodoro siculo dice di averla fabbricata i Sicani, primi abitatori di Sicilia.

Qui si svolse e terminò la seconda guerra servile.

Impadronitasi Roma di tutta 1’isola, i suoi patrizi se ne divisero le fertili terre, e vi mandarono i loro schiavi per coltivarle. Questi a migliaia si tenevano stretti in catene di giorno ai lavori più gravi, e di notte chiusi in tetri serragli, bollati da ferri roventi, o mantenuti con pan nero ed acqua limacciosa.

Cosi trattati questi infelici, animati da Euno, schiavo di Antigono, della città di Erma, scossero la prima volta il giogo del duro servaggio, uccisero i loro padroni, si rafforzarono a Catania ed a Messina: ma assediati in Tauromenio, oggi Taormina, dal poderoso esercito di Roma, da Rupilio capitanato, traditi da un loro compagno di nome Serapione, furono sbaragliati e vinti.

Fu questa, in sommi capi, la prima guerra servile. La seconda, che per ragione di vicinanza più ci interessa, cominciò presso il monte Capriano, detto Rifesi, tra Bivona e Burgio. Qui si raccolse il resto dei servi ribelli,in Italica decimati pel bandito e traditore Gadeo.

L’ esercito romano, con Nerva alla testa, dal Lilibeo andò loro incontro fino alle falde e senza attaccarlo ritornò indietro, valicò il fiume Albo, ora detto Magazolo, di dieci  miglia lontano da Eraclea, e si ritirò in questa città.

L’esercito degli schiavi,animato da questo ritiro e profittando del mal disposto temporeggiamento del nemico si accrebbe fino a due mila. Nerva rimandò a Capriano l’esercito con Titino alla testa; ma costui, in disagio pel sito e pel poco numero dei suoi, non seppe affrontare il nemico, divenuto audace, e voltate le spalle e gittate a terra le armi, si diè coll’ esercito a precipitosa fuga. Con tutto ciò molti dei suoi soldati furono uccisi.

I ribelli, da questa vittoria, arricchiti di armi e munizioni vi è più animati, si moltiplicarono da arrivare a sei mila combattenti. Si elessero un capo, chiamato Salvio, suonatore di flauto, e lo dichiararono re.

La storia ci fa sapere che in breve questo re si formò un esercito di venti mila fanti e due mila cavalieri, bene equipaggiato, capace di sostenere qualunque battaglia. Viveva di scorrerie e nel dare 1’assalto alla città di Murganzio, incontrandosi col romano esercito, sul quale riportò completa vittoria, mostrossi, oltre che un ottimo capitano, un re clemente.

Questo Salvio, mutato il nome in Trifone, e divenuto potente, assediò Triocola, se la impadronì e vi stabili la sua reggia dimora

Altri servi intanto si ribellavano a Segesta con a capo Atenione, nato in Cilicia, uomo robusto e valoroso nelle armi, amministratore di due suoi fratelli ricchissimi e perito negli indovini astrologici. Alla testa di dieci mila combattenti, marciò verso il Lilibeo e poi si unì con Trifone a Triocola.

Trifone pero, ingelosito di Atenione, sotto finte accuse, lo incarcerò. Però, pervenutagli la notizia che al vile Nerva era successo Lucullo Licinio Metello con l’incarico di venire in Sicilia per fare la guerra agli schiavi, ricordatosi del valoroso Trifone s’affrettò a conciliarglisi e lo tolse dal carcere.

Ne esegui il consiglio di dar battaglia ai romani in campo aperto;entrambi misero in piede un esercito di quaranta mila combattenti disponendolo presso Scirtea, oggi Àcristia, fra San Carlo e Burgio, in attesa dei nemico. All’arrivo di Lucullo con sedici mila soldati ( 103 av. C. ), fu subito iniziata la battaglia con violenza accanita da entrambe le parti. Al primo giorno fra i suoi due cavalieri, Atenione nel forte della pugna, ferito alle ginocchia, cadde da cavallo e si diede per morto. Dei suoi soldati ne perirono venti mila, e una gran parte dei romani. Nella notte seguente il ferito e valoroso capo, a carpone da solo, rientrò in città, dove col suo compagno Trifone raccolse e riorganizzò i resti del suo esercito, qui rifugiati, e profittando dello inopportuno e, come altri dicono, ben pagato temporeggiamento di Lucullo, si rafforzò tanto bene da resistere all’assedio avvenuto, fino al punto di liberarcene.

Lucullo pel suo vergognoso ritiro fu destituito e al suo posto andò Caio Servilio.

Questo capitano non fu meno infelice ed infedele del primo, perchè, venuto ad aspra tensone coi triocolitani, a pochi giorni sospese tutto e fece ritorno a Roma.

Il senato, incrudelito, lo destituì e lo condannò allo esilio.

Dopo due anni, morto Trifone, restò Atenione solo al comando. Frattanto in Roma furono eletti consoli Caio Mario e Marco Aquilio. Quest’ultimo, in persona, con un poderoso esercito, fu mandato in Sicilia col proposito di combattere i servi fino al totale sterminio.

L’incontro dei due eserciti fu questa volta presso Calamonaci, al basso di Triocala, al fiume Alba, oggi Verdura. Tremendo fu l attacco.  Atenione sfidò Aquilio a singolare tendone. Atenione fu ucciso, Aquilio ferito gravemente alla testa.

I servi, morto Atenione, si elessero a duce Satiro. Ma con nuovi e continui assalti i romani li debellarono e 1’uccisero. Solo mille furono risparmiati. Ma stretti in catene furono mandati a Roma, dove il senato li condannò alle fiere. Diodoro Siculo ci riferisce che costoro, da forti, messisi attorno a un altare, anziché servire di barbaro spettacolo ai romani, preferirono di uccidersi a vicenda, e Satiro, ucciso l’ ultimo dei suoi soldati, volse il ferro contro se stesso e morì.

Questa guerra servile, ripresa dopo ventotto anni di tregua, durò quattro anni e fu l’ultima.

 

Economia sociale

 

L’agricoltura è parte principale del paese. Non c’ è altra risorsa. Tra le biade che si coltivano di più sono il grano, 1’orzo, la fava. Pochi usano i ceci, i lenti, il lino. Gli ortaggi sono scarsi, perché non c’è un personale adatto. Produce bene anche il sedano. Le piante più comuni sono il mandorlo e l’ulivo; quanto bastano i peri, i fichi, gli albicocchi,i  melagrani, i nespoli, i prugni, i carubi, gli aranci, i limoni. Non produce il castagno, il ciliegio, il nocciolo. Nessuno ha provato il pistacchio, ma dalle pistacchiere vicine può desumersi che allignerebbe con fortuna. Anche il cotone produce, per la qualità del terreno in gran parte argilloso, ma nessuno l’usa forse perchè il prezzo non corrisponde.

La forma di coltura è l’intensiva. Ciascuno possiede un podere che coltiva con premura ed affetto Però gli arnesi sono preadamitici, forse perchè i nuovi non si adattano alla forma collinosa del territorio. Il concime chimico è largamente usato. Eminentemente accostumato e laborioso, il popolo sconosce il giuoco e la bettola, vive con parsimonia per il benessere di se dei suoi.

Molti forestieri, specialmente di Favara, hanno qui trovato asilo e lavoro.

Una Banca del tipo germanese, introdotta in Italia dal senatore Luzzatti, fu qui istituita a 15 ottobre 1895. Per ordine di data, fu la prima della nostra provincia, la quarta di Sicilia.Per trenta cinque anni ha combattuto e vinto le migliori battaglie a vantaggio della agricoltura. Sempre in prima fila colla bandiera spiegata dove sta scritto: San Vincenzo Ferreri, simbolo di benefico apostolato.

Debellò 1’usura, come ente intermediario del Banco di Sicilia provvede i soci di concime, di sementi e di animali. Acquistò, come fu detto, e divise al popolo 1’ex feudo Calamonaci, di 600 ettare, e che costò L. 1. 800 000. Rese liberi i cittadini e li formò più organizzati, laboriosi e produttivi. La sua circolazione ogni anno si aggira a L. 300,000.  Fu premiata alla Esposizione agricola di Palermo a 31 marzo 1903 con medaglia di bronzo. Il Ministero d’Agricoltura le ha concesso quattro premi di benemerenza per l’opera spiegata in favore dell’incremento del Credito Agrario e dell’ agricoltura.

Ordinamento Amministrativo e giuridico

 

Calamonaci è della provincia di Agrigento, del circondario di Bivona, del mandamento di Ribera. Dipende dal tribunale e dalla pretura di Sciacca dove ha pure 1’archivio notarile, 1′ agenzia delle imposte e l’ufficio del registro.

Dipende dalla tenenza di Ribera; è sede d’ una stazione di Carabinieri e di un ufficio di postale telegrafico di 2. classe.

É in corso di studio il nuovo catasto. Il vecchio rimonta al 1845.

Il comune stipendia un segretario, un applicato, un messo,   un medico, una levatrice, un custode del cimitero, un cappellano. In consorzio con Ribera ha un ufficiale sanitario ed un veterinario.

Le finanze son buone, perchè è esteso il suo territorio. Aveva sede di un notariato; ma colla legge delle nuove circoscrizioni gli fu soppressa.

Sono stati sindaci i signori: Di Leo Calogero(1802-1886), Di Leo Vito (1886-1905), Di Leo Salvatore (1905-1907),Di Leo Vito(1907-1912),Vinci Giuseppe(1912-1916), Palminteri Vincenzo (1916-1919), Di Leo Salvatore (1919. . . )

Un Ufficio di Conciliazione c’è stato da tempo immemorabile. Siamo in grado di notare i seguenti titolari: Prima del 1860: Triolo don Domenico, Vinci Giuseppe, e Palminteri Stefano. Dopo il 1850: Di Leo Calogero, Di Leo Vito, Rondini Dottor Vincenzo,Vinci Michele, Di Leo Salvatore, Scorsone Prof. Calogero.

 

 Pubblica istruzione

Trascurata un tempo la pubblica istruzione, oggi non è cosi. In dipendenza del governo, accresciute e ben corredate le classi, si è migliorata. L’analfabetismo si riduce a pochi vecchi. In via di formazione è un asilo infantile. Un comitato di signore e signorine si cooperò per una pesca, col cui ricavato si è comprato il materiale didattico. Anche è pronto il locale con bel giardino. Per aprirsi manca l’approvazione prefettizia, che certo non tarderà.

 

Igiene

 

Calamonaci, per la sua struttura topografica, potrebbe rendersi utile alla pubblica salute: su d’un altipiano, circondato d’ alberi, non esposto ai venti, distante dai fiumi, clima mite in tutte le stagioni. Ma gli scoli delle acque comunali nei vicini giardini, maltenuti d’ inverno e di estate, formano delle paludi, a cui pare doversi attribuire i miasmi che affliggono gli abitanti.

Costruire in muratura cimentata i principali acquedotti sarebbe una vera provvidenza. L’ iniziativa dovrebbe venire dal Comune. La spesa potrebbe aggravarsi ai proprietari dei giardini che si servono delle acque gratuitamente.

Con piacere e a titolo di onore facciamo i nomi del Comitato anzi detto e del Consiglio Amministrativo già costituito.

Presidente: Signora FOTI MARIA —Segretaria;  Signorina LIVIO MARIA Cassiera: Signorina SPATARO VINCENZINA—

Membri: Signore: PROVENZANO ROSINA—PALMINTÉRI ONOFRIA— SALADINO MARIA ROSA

Signorine: SPATARO MARGARITA—COCCHIARA FRANCESCA— DIONISIO LUCIA—RAJA G10VANNINA—VACCARO ANTONIETTA —

Il Consiglio Amministrativo è così composto:

PROVENZANO SALVATORE Vice Podestà—CACCIATORE DON ANGELO Arciprete — CASTAGNA EUGENIO Direttore Didattico — MIGLIORINO ANTONINO Ufficiale Postale.

Strade, contrade e sorgive

 

Le vie principali, Corso Maggiore e Corso Minore, dividono il paese in quattro sezioni: Madrice, Annunziata, Castello, Oratorio.

Abbiamo inoltre le vie Montalbano, Arciprete, Risignola, del Mulino, Levatrice. Circumvallazione, Vinci, Castello, Calvario Ogni Santi, Spataro, Di Leo, Canale, Piazza Municipio, Piazza Madrine, Piazza Castello, quarto nuovo di Belvedere, i vicoli Benfatti Marino, Inga.

Le vie, o meglio, le trazzere del territorio vanno classificate in rege, comunali e vicinali.

Le trazzere rege sono: quella che proviene da Caltabellotta, e si attacca alla trazzera Salaro di Ribera, dividendo i due territori di Ribera e Calamonaci; quella che, partendo da Calamonaci, traversa Vigna Grande, scende per Gageri, innestandosi alla detta Salaro, toccando Gulfa e Salina,e,valicando il Magazzolo, per un braccio porta a Cianciana e per l’ altro a Bivona; e l’ ultima che dal Canale scende per Cardillo, passa per Tamburello, va al Contrasto, salisce il Pepe e porta a Villafranca.

Sono trazzere comunali quelle del Margio,  di Giandalia, del Puzzillo, di Catalano-Mancusa, del Gorgo, dei Giardini, dei Serroni e di Ragolia.

Trazzere vicinali o sentieri seno in gran numero, e siccome non sono stabili, ma variano secondo i tempi e i bisogni degli interessati, per brevità le tralascio.

Le contrade del territorio, tenendo l’ordine del vecchio catasto, e per come ancora si conservano, sono cosi nominate: Gasparello, Dietro le Mura, Piana, Cuba, Collorone, Ragolia, Serrone, Brucili, Vallone Vecchio Cola, Orti, Scallo, Comune, San Giuseppe, Vigna Grande, Porfella, Gaggeri, Croce, Puzzillo, Grazie, Belvedere, Canale, Mancusi, Gorgo, Catalano Salvione, Fiume, Vetrana.

Il territorio di Calamonaci, composto quasi tutto di colline, manca di sorgive importanti.

All’ infuori di quella del canale, di cui si serve il popolo e cogli scoli si alimentano estesi giardini, e dell’altra più sotto, di proprietà di Vinci Giuseppe fu Calogero, le altre sono di poco conto e mal tenute.

Fra le principali si notano quella del Gorgo, di Catalano, del Margio di Gorra, di ’Nziro, della Chiusa, di Gebbiazza, di Maurello e dell’ ex feudo Gulfa.

A spese delle Ferrovie dello Stato si avrà quanto prima 1’acqua della rinomata sorgiva della Favara.

Il Comune, nel distribuirla al popolo, certamente farà costruire la fognatura delle strade cotanto utile e desiderata.

Nomi delle famiglie

Dai 100 anni in su:

Amari, Baiamonte, Buggemi, Campione, Candiloro, Capizzi, Catalanotto, Cattano, Chirafisi, Cilona, Cinquemani, Cocchiara, Colletti, Criscenti, Danile, Dionisio, Di Sciacca, Di Salvo, Graceffo, Imbornone, Inga, Licatese, Lino, Marino Miceli, Minio, Montalbano, Palminteri, Perricone, Piazza, Pinelli, Piscione, Provenzano, Paesi, Riggi, Rizzo, Schittone, Scorsone, Spalare, Sortino, Soldano, Sparacino, Spinelli, Tagliatore, Triolo, Tudisco, Turano, Vacante, Vaccaro, Vinci, Zicari.

Dai 100 anni in giù:

Battaria, Buttafoco, Campanella, Campo, Cambia, Castellano Comparetto, Craparo, De Miceli, Di Leo, Filippone, Guddemi, Maffei, Migliorino, Milazzo, Mistretta, Morene, Paranunzio, Parrino, Raffiti, Raia, Russo, Scilabra, Taormina, Venezia.

Recenti :

Bacino, Baracchino, Buonacolta, Cacioppo, Carchi, Caruana, Chillura, Chinzi, Cusumano, Cosenza, D’ Angelo, D’Avenia, Fallea, Finazzi, Foti, Gabriele, Galletta, Gallo, Genova, Gentile, Ceraci, Giacomazzo, Giancane, Gioia, La Barbera. La Rosa, Latino, Lauro, Leonardi, Leotta, Marsala, Mirabiie, Muglia, Napoli, Nobile, Pecoraro, Pendino, Pirillo-Marotta, Ricciardo Sacco, Salvo, Sciales, Stagno, Taiella, Terranova, Tramuta, Trapani, Troncale, Vullo, Zambito, Zambuto.

Appendice 1.

Monte Capriano

Dov’ è il monte che gli antichi chiamavano Capriano?

Di Blasi, nella sua Storia del Regno di Sicilia al vol 1. pag. 439, dice che Capriano corrisponde al monte oggi detto Rifesi, tra Burgio e Bivona.

Caruso afferma la stessa cosa nelle sue “Memorie Storiche di quanto è accaduto in Sicilia” a pagina 109.

Così pure la pensa Palmieri nella sua „Somma della Storia di Sicilia” a pagina 441.

Intanto il prof. Scaturro nella sua „Storia della città di Sciacca” al voi. I. pag. 15, 43.138 e 145, poggiandosi sul parere di alcuni che non cita, tende a credere che il monte Sara si identifichi coll’ antica Kaprianon.

Io, che oltre ai tre anzidetti storici, ho pure studiato da vicino le località, con buona grazia del prof, sullodato, dico e sostengo che il monte Capriano non può corrispondere al Sara; ma quasi con matematica certezza deve riferirsi al Rifesi.

Pare che dalla storia ci risulti una distanza di dieci miglia tra Capriano ed Eraclea.

Dice infatti Di Blasi al voi 1 p. 439 dell’ opera citata: ,,Nerva . . . vedendo che questa truppa andava moltiplicandosi, con quei pochi soldati che seco aveva, andò contro i ribelli, che trovatami sul monte Capriano, oggi detto Rifesi; ma dopo avere passato il fumé Alba, volgarmente chiamato Magazolo, distante dieci miglia da Eraclea. . . ” e cita il D’Amico, Lex. Top. V. M. art. Alba, e Cluverio, Sic. ant. lib. I. Cap. 17. pag. 273.

La situazione topografica di queste contrade risulta nel seguente modo: Eraclea alla foce del Platani verso oriente; verso occidente a due miglia sbocca il Magazolo, ad altri tre miglia il fiume Verdura.

Il monte Sara sorge fra il Platani ed il Magazolo a circa sei miglia da Eraclea verso Tramontana.

Il Rifesi, pure verso tramontana, è fra le sorgenti dei due fiumi Magazolo e Verdura, a dieci o quindici miglia da Eraclea.

Cosi appostati i locali è chiaro che l’ accenno storico delle dieci miglia nel passaggio dei soldati romani dal fiume Alba nei pressi di Capriano, nonpuò intendersi il Sara vicinissimo ad Eraclea, ma il Rifesi molto distante,e ciò a prescindere della dubbia interpretazione del fiume che gli antichi chiamavano Alba, sia pure il Verdura, come dice Sedurrò, o Magazolo, come lo vuole Di Blasi.

Inoltre è da notare che quei di Capriano erano servi ribelli, e quindi genti di bosco, e nei primi tempi specialmente, che non si erano ben rafforzati,conveniva meglio di stare al Rifesi, che era ed è tutt’ora un foltissimo bosco circondato da altre montagne non meno ammacchiate del primo, anzicché al Sara,completamente scoperto e vicino ad Eraclea. Questo monte più dell’altura non offriva altro vantaggio e 1’altura stessi, nel modo com’è situato il monte, era una insidia maggiore, che avrebbe giovato al nemico in un sicuro ed immediato assedio.

 

Appendice 2.

Trazzere

 

Le grandi strade che anticamente mettevano in comunicazione un paese all’ altro dei nostri contorni, non corrispondono più a quelle ora esistenti.

La nascita e sollecito sviluppo della vicina Ribera portò alla formazione di nuove vie che fecero dimenticare le prime.

Si sa che Ribera 300 anni addietro non esisteva. Fu nel  1628 che una parte del popolo di Caltabellotta, a cui si apparteneva il territorio, esteso fino al Platani per risparmiarsi dall’incomodo di salire e scendereogni settimun dal paese di origine, si decise a poco la volta di stabilirsi permanentemente presso la casa feudale  dove c’era una torre di rifugio negli assalti dei pirati, allora molto frequenti, servendosi per i bisogni ecclesiastici della vicina parrocchia di Calamonaci, uno a che ottennero di ridurre un magazzino della casa feudale in chiesetta, che dedicarono a santo Antonio, e trasformarono in campanile la detta torre.

Ciò avveniva nel 1633.

Così nacque il paese, che chiamarono Riviera o Rivera e finalmente Ribera, o per le due riviere che la fiancheggiano o per rispetto del suo Padrone e Fondatore don Luigi Moncada, Principe di Paternò, la cui prima moglie si chiamava donna Maria Alfan de Ribera.

Questo nuovo paese per la feracità immensa dei feudi che lo circondano e che furono, parte nel 1762 e parte nel 1851, del suo territorio, s’ impose in tal maniera da accentrare a se il commercio dei paesi vicini, formando altre vie ad esso più comode.

In quei tempi Scianca era in comunicazione con Agrigento, capoluogo di Provincia, a mezzo di una strada che costeggiava il mare, passava per gli ex feudi Verdura Camimello, Strasatto-Corvo, Camemi e san Pietro, entrava nel territorio di Montallegro, proseguiva per Siculiana,fino a raggiungere la meta.

Il tratto di questa strada,dalla Verdura fino a Montallegro, è del tutto scomparsa, qualche tratto esistente lo chiamano ancora: la trazzera di Sciacca o del Corriere.

Fu sostituita dalla nuova, che dalla Verdura salisce a Ribera, poi va al fiume Magazolo, s’ interna nei territorio di Montallegro e va ad innestarsi all’antica.

Da Calmonaci si diramavano diverse strade. Una portava ad Agrigento, partendo per Portella, nella discesa, s’incrociava all’attuale via Salaro,traversava Belmonte, passava il Magazolo, sventrava 1’ex feudo Donna Superiore e nel territorio di Montallegro si congiungeva a quella di Sciacca. Questa via è scomparsa,perchè coll’apertura di quella di Ribera è inutilizzata.

Quest’antichissima via in Calamonaci si biforcava: un braccio proseguiva per Caltabellotta e l’ altro per Corleone e Palermo. Si ricordano ancora le lunghe file di detenuti che da Agrigento andavano a Palermo per questa strada, forse più comoda e più vicina.

Il primo braccio esiste ancora, 1’altro esiste fino al contrasto; il resto, che, proseguendo, saliva col Pepe fin quasi all’ attuale rotabile, apertasi 1′ altra che da Scallo va al Casello, è divenuta un sentiero.

A Calamonaci arrivava un’altra grande strada che da Sciacca, passando da Poggio-Diana,ora detto Patagiano; costeggiando ad Occidente 1’ex fendo Scirinda, si innestava a quella di Caltabellotta, proseguiva insieme a quella di Agrigento fin presso la trazzera Salaro. Qui si biforcava: un braccio, come fu detto, andava ad Agrigento, e 1’altro traversava gli ex feudi Gulfa e Salina; al Magazolo dividevasi in altri due bracci,l’uno portava a Cianciana e l’altro a Bivona.

Queste vie sussistono ancora ma,ristrette e mal tenute, sono d’inverno intransitabili.

 

 

 

Categoria: Storia ComuniTag: calamonaci

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