
La storia della scuola agrigentina vide i natali nella maniera più illustre, proprio ad opera del grande filosofo della natura, che nell’antica Akragas diede luogo al fiorire di studi filosofico-retorici e scientifici, segnatamente di medicina.
Dell’attività della scuola empedoclea fa testimonianza Diogene Laerzio, nel suo Vite di filosofi, nonchè altri storici dell’antichità. Il poeta latino Lucrezio parla diffusamente del sistema filosofico dell’agrigentino, con pari dignità rispetto alle concezioni delle altre scuole filosofiche greche.
Le opere scientifiche fondamentali di Empedocle, Sulla natura e Purificazioni, precedono quelle di Anassagora e Melisso; o se non le precedono, almeno sono coeve. Compulsando diversi autori, appare plausibile e verosimile che Empedocle sia stato ascoltatore ad Elea del grande Parmenide ed abbia trovato, nell’ambito dell’Uno del suo maestro, la soluzione pluralistica dell’universo con le quattro Radici: terra, acqua, aria e fuoco.
Le sue due opere, oltre che poetiche e filosofiche, avevano intenti dichiaratamente didattici, come si ricava abbondantemente dal tenore dei versi, che venivano letti ai discepoli e commentati in loro presenza:
Ascoltami, O Pausania
prole del savio Anchito:
per volere del caso
e per antica necessità
quattro sono le radici del mondo:
Terra, Acqua, Fuoco, Etere.
Appena s’accozzano
immediata sorge la Lite.
Due argomenti apprenderai:
l’Uno ha origine dalle Radici mescolate
e dall’Uno nascono le singole Radici.
Attentamente ascolta:
come prima ti ho detto
due sono i principi della vita (…)
Vi sono anche due forze primitive:
Odio ed Amicizia.
Quest’ultima, innata ad ogni unione,
presiede ad opere leggiadre
con il nome di Venere o Allegrezza,
come la definiscono,
sebbene nessuno seppe indicare
perché, anche involuta, unisca le cose.
Dovunque vedere l’acqua puoi:
talvolta in neve si trasforma
e facilmente gela.
Tieni per fermo questo:
di tutto il nascer sai fuorchè di Dio,
sul quale il mio parlar non è diretto.
Quattro, figliol d’Anchito, ricorda
sono le radici primordiali.
Innanzitutto ti dirò l’origine
del sole e d’ogni altra cosa,
ti dirò dell’ondoso mare e della terra,
dell’aria che dentro di sé tutto chiude e ravvolge,
dell’umido vapore e della luce
e dell’etere poi, che tutto cinge e avviluppa.
In quale maniera poi si formarono
gli alti alberi e i pesci marini.
Quando tutto è perfetto, pari è
il numero delle parti che lo compongono.
Tali la terra, il sole, il cielo e il mare
e tutto quello che, tra i mortali errando,
ha uguali parti miste di sua natura
Ciò che ridonda poi al suo miscuglio
si unisce al suo simile per attrazion di Venere,
giacchè le cose somiglianti
fortemente si amano tra loro.
Dolce a dolce s’unisce, amaro all’amaro,
l’aspro all’aspro va,
verso il fuoco il calore conduce.
Un’altra cosa devo dichiararti:
nulla ha inizio né morte,
perché esistono solo miscugli
ed è soltanto scioglimento
la morte delle cose miste.
Ascoltami, chè il dire non è vano:
come nel separarsi il fuoco trasse
i germi oscuri del genere umano,
dei maschi e delle donne che piangono molto,
perfetti dapprima dalla terra
i tipi spuntarono tutti.
Ma siccome il fuoco salì in alto
bramando il suo simile,
restarono solo le forme umide d’acqua,
le quali nelle membra ancora
non avevano amabili fattezze,
non possedevano organo di voce,
né la naturale favella.
Empedocle svolgeva le sue lezioni scientifiche, come nella più moderna delle università, e arricchiva le sue tesi teoriche con la pratica, fondandosi sull’esperienza dei fenomeni. Teoria e pratica erano in grado di elevare lo studioso
gli elementi per comprendere, contrariamente all’ottusità del volgo:
“Solo una parte della vita che non è vita vedono gli uomini:
condannati a pronta morte si disperdono come fumo”
ciò, alla stessa stregua di Alcmeone di Crotone che aveva insegnato che
“Delle cose invisibili, delle cose mortali gli dei hanno immediata certezza, ma agli uomini tocca procedere per indizi”
Se lo scienziato doveva procedere ad una osservazione critica dei fenomeni ed a un più attivo intervento nella loro interpretazione, la scuola di Empedocle si rifece fondamentalmente alla teoria delle “sensazioni per simili”, mentre Alcmeone, riconoscendo un’infinità di principi attivi o qualità, si basò sulle “sensazioni dei contrari”.
Grazie alla pratica della dissezione, Alcmeone affermò che la funzione del percepire nell’uomo viene coordinata da un organo centrale, il cervello. Una generazione più tardi la dottrina della centralità del cuore conduceva Empedocle a conclusioni esattamente antitetiche. La circolazione e la ossigenazione del corpo per la medicina di Empedocle era importantissima, al punto di fargli studiare preparati con le erbe, con i quali curava. Si racconta la leggenda che una sua medicina, l’Apno, potesse tenere in vita i suoi pazienti per 40 giorni, senza bere né mangiare. Al di là dell’esagerazione, c’è comunque un fondo di verità. La sua scienza, già acquisita in Egitto nei sacri recinti di Eliopoli e probabilmente anche dalla tradizione dei Gimnosofisti, si basava sui segni e sulle dottrine naturali. Fu dovuta alla sua scienza di medico, e non a un miracolo, la guarigione di una donna, l’aristocratica Pantea: un caso di morte apparente, che rilevò attraverso i segni di calore dell’addome, mentre tutte le altre parti del corpo erano fredde.
La scuola di Empedocle e la sua fisyologia soppiantarono l’eredità alcmeonica e portarono alla fondazione della scuola italica di medicina e di biologia. La concezione organicistica del mondo portò Empedocle a reperire analogie nel microcosmo, riportando i fenomeni organici e la stessa struttura del corpo a quelli dell’universo, trovandone nessi, identità, diversità. Tutti questi elementi furono poi sistemati da Filistione di Locri, il quale trasformò gli elementi in qualità, anche se tali assunti erano chiaramente rinvenibili in Empedocle. La stessa scuola medica di Cos, fondata da Ippocrate, si informò sulla concretezza dell’esperienza, anche se focalizzata esclusivamente sulla sensazione e sulla semeiotica:
“Non troverai misura alcuna, né numero né peso, la quale valga come punto di riferimento per un’esatta conoscenza, se non la sensazione del corpo” (Ippocrate)