
La partecipazione della Sicilia (lo stesso può dirsi della Magna Grecia) ai grandi agoni panellenici fu sempre molto vasta. Delfi, Nemea, Corinto, e soprattutto Olimpia, videro più volte proclamare vincitori atleti, musici, artisti, inviati dopo severa preparazione dalle città siceliote, splendide di cultura oltre che potenti nelle armi, nella politica, nelle attività economiche, nella esuberante vitalità delle proprie popolazioni.
In questo breve articolo, che vede la luce nel momento culminante della XVII Olimpiade moderna ospitata nell’incomparabile cornice di Roma, ci occuperemo soltanto delle presenze siceliote ad Olimpia, e, in particolare, di quelle agrigentine, che non furono poche e dalle quali molto onore derivò, quando il successo nei grandi giuochi nazionali era cosa che trascendeva la sfera terrena per aver valore di una particolare predilezione che gli dei accordavano al suo protagonista e alla città che gli aveva dato i natali, alla prestigiosa Aeratalite, dove il culto delle maggiori divinità d’ Olimpo ha lasciato segni sublimi nei maestosi templi per cui è universalmente celebre ai nostri giorni.
Già nel 648 a. C. (la prima Olimpiade sarebbe stata celebrata nel 776) Ligdami di Siracusa è vincitore nel « pancrazio », la tremenda combinazione di lotta e pugilato che ebbe sempre, per la durezza della sua formula, scarsi e per altro celebratissimi cultori.
Tra VI e IV secolo, su 400 olimpionici di cui ci si conservano i nomi, 35 sono sicelioti : 7 nel VI sec, 24 nel V, 4 nel IV. Le proporzioni relative hanno evidente riferimento con le condizioni dell’ Isola nei vari periodi: si noti il rilevante numero dei successi olimpici in quello che può dirsi il secolo d’oro, e si ponga anche mente al fatto sintomatico che essi sono vieppiù numerosi nella prima metà dello stesso secolo (17 contro 7), con-trassegnata dallo splendore mai più ripetutosi delle tirannidi di Siracusa e di Agrigento, suscitatrici anche in questo campo di vitali fermenti e di orgogliosa aspirazione al primato tra le genti dell’ Eliade.
Ben cinque volte la gloria del trionfo premiò sulle sacre sponde dell’ Altia la bravura degli atleti agrigentini.
Primo della serie (nella 71ma Ol. 496 a. C.) fu Esseneto, figlio di altro olimpionico chiamato Empedocle e zio del grande filosofo dallo stesso nome. Egli vinse nella lotta, agone tra i più apprezzati nelle vibranti giornate olimpiche, perchè richiedeva nei suoi campioni particolari doti di prestanza ed esperienza tecnica non comune, tali da permettere successive vittorie in un duro torneo ad eliminatorie, da cui usciva vincitore («anefedro») l’atleta che avesse battuto tutti i suoi antagonisti.
Nella stessa Olimpiade vinse la corsa dei cavalli il padre di Esseneto, che abbiamo visto chiamarsi Empedocle e che era nonno del filosofo. Questa vittoria ha una grande importanza, perchè per la prima volta ci dà prova di quella particolare predilezione degli antichi agrigentini per l’allevamento di nobili corsieri, di cui molte fonti storiche e letterarie ci hanno lasciato ricordo. Si pensi soprattutto al bel verso virgiliano (704) del III libro dell’ Eneide, in cui l’ aspra Acragante è definita « altrice di generosi cavalli » (… magnanimum quondam generator equorum).
Vent’ anni dopo (76a Ol. = 476 a. C.) la vittoria olimpica arride alla quadriga dell’ emmenide Terone (il nome dell’auriga non ci è noto). Il fatto, per la grande personalità del tiranno (vincitore con Gelone dei Cartaginesi ad Imera nel 480; amico e protettore di artisti e di poeti, fra i quali Simonido e Pindaro), ha immensa risonanza. Le scuderie di Terone sono in questo momento, con quelle del siracusano Gelone, le più famose del mondo greco. Oltre che nel suo nome, i cavalli agrigentini vin-cono nello stesso tempo a Delfi, a Corinto (e nelle Panate-nee di Atene), sotto il nome del fratello Senocrate, anche se qualche volta la vittoria viene riportata dal figlio di costui, Trasibulo. Di queste altre vittorie un entusiastico ricordo è nella VI Pitica (1) e nella III Istmica di quell’impareggiabile cantore di epinici che fu Pindaro.
A Terone e al suo trionfo nella 76ma Olimpiade il poeta dedicò due ispirate odi, che sono, nell’ ordine cronologico, la III e la II delle Odi Olimpiche. Di esse, la prima doveva esser cantata nella festa delle Teossenie, che si voleva fossero state istituite dai Dioscuri (Castore e Polluce). In un andamento gioioso o festevole vi sono celebrate la parentela del tiranno agrigentino – tanto poteva l’alata musa di Pindaro ! – con i Dioscuri stessi, di cui ha la protezione, e le sue innumeri virtù, paragonabili addirittura a quelle di Eracle, cui il poeta risale attraverso il ricordo di Olimpia e della istituzione dei suoi giuochi ad opera dell’ eroe. La seconda, di più pacata e – si direbbe – malinconica ispirazione, è tra le più belle e vibranti composizioni del grande cantore tebano. Insieme vi si celebrano un dio: il sommo Giove; un eroe: l’ Alcide fondatore delle gare olimpiche; un uomo : « Terone il giusto, delizia degli stranieri, colonna di Acragante, savio datore di leggi, fiore di avi illustri »…
La passione per i cavalli, l’esaltazione per lo spettacolo derivante dalla loro superba bellezza, il culto dei più famosi destrieri da battaglia, cui si arrivò ad erigere splendidi e costosi monumenti sepolcrali, la predilezione di questo nobilissimo animale nelle rappresentazioni artistiche su vasi, su rilievi in terracotta, sulle monete (2), sono cose che ad Agrigento durarono a lungo, anche assai oltre il fiorire della tirannide degli Emmenidi.
E ne troviamo impressionanti riferimenti, oltre che nella ricorrente citazione della potenza numerica ed operativa della cavalleria militare agrigentina, nella descrizione diodorea di episodi quali quello delle nozze della figlia di Antistene, in cui il corteo nuziale era composto di 800 bighe e di un vero esercito di ca-
valieri, e quello del solenne ingresso in Agrigento, con una scorta di 300 bighe tirate da cavalli bianchi, di altro Esseneto, che nelle Olimpiadi 91a e 92″ (rispettivamente 416 e 412 a. C.) aveva riportato il trionfo olimpico vincendo due volto nella corsa dello «stadio » (gara di velocità della lunghezza di 192 m. circa). Sono queste le ultime affermazioni dell’ atletica agrigentina di cui ci sia rimasta notizia relativamente ad Olimpia; e non potrebbero definirsi più esaltanti, ove si pensi al valore che anche oggi si riconosce a competizioni come quelle dei 100 e 200 metri piani e si consideri come le vittorie di questo secondo Esseneto (la moderna Agrigento gli ha intitolato il suo stadio) furono apprezzate dai suoi concittadini, al punto da accoglierlo quale un vero e proprio trionfatore, quand’ egli rientrò in patria, nel generale tripudio di una giornata passata ai fasti della millenaria città.
Quanto sopra abbiamo detto merita oltre tutto qual che importante considerazione. A proposito di Esseneto, Diodoro ci dà chiara testimonianza che l’ antica Agrigento era fornita di uno stadio (è qui che le onoranze all’ atleta ebbero la loro festante conclusione). Dell’ esistenza di ginnasi, forniti di preziosi ar-
redi, è sempre a Diodoro che dobbiamo il ricordo. E perchè non si deve supporre anche un ippodromo, dove i cavalli degli Emmenidi saranno stati addestrati per le loro brillanti vittorie; e perchè non ci sarà stato – con un teatro di cui sembra prossima la scoperta – un qualche edificio destinato agli studi e alle gare musicali (quello che si direbbe un ” odèon “), se l’ atleta Mida non fu, com’ è logico pensare, un virtuoso isolato, ma piuttosto il campione di un’ arte che avrà qui avuto appassionati e cultori in gran numero ?
Di tutti questi edifici nulla fino ad oggi è stato rinvenuto. Ma soltanto da poco la ricerca archeologica dell’ antica Agrigento è stata impostata su criteri di una razionale visione topografica e storica. E, come si sono già definiti importanti aspetti della sua configurazione urbanistica; come si è sulla via di chiarire il significato di qualche importante monumento, che era stato oggetto di inesatte valutazioni nel passato; così è da sperare che nuovi impulsi e più adeguati mezzi vengano presto a consentire una più vasta esplorazione dell’ area in cui ebbe sede la gloriosa città, perchè del suo abitato, dei suoi impianti pubblici, delle sue attrezzature igieniche, funzionali, ed anche sportive, possa aversi la conoscenza che studiosi ed amatori, variamente, ma con pari ansia, da lungo tempo si attendono.
Pierro Griffo
- La XII Pitica, di circa il 490 a. C, è invece dedicata alla vittoria dell’agrigentino Mida nelle gare musicali della tibia. Essa ha inizio – com’ è noto – con quella celebre invocazione alla fortunata città della diva Persefone, « ferace di greggi, amica del fasto, bellissima tra le dimore dei mortali ».
- Già nel sesto secolo rappresentazioni di bighe e quadrighe costituiscono motivo frequentissimo in certi rilievi sul bordo di braceri fittili tipici delle fabbriche agrigentine. E non sembra dubbio che un significato agonistico debba attribuirsi alla quadriga in corsa, con Nike in volo che corona l’auriga, riprodotta nei superbi prodotti numismatici (tetradrammi e decadrammi) della zecca di Agrigento, come, per la verità su quelli di molte altre città siceliote quali Leontini, Catana, Siracusa.
pietro griffo
in Agrigentum anno primo n.4 agosto 1960