Vi sono città che le loro tradizioni se le inventano, Agrigento semplicemente le distrugge. E´ una delle tante impressioni che si ricavano dalla lunga visita per il centro storico organizzata ieri mattina dalla guide turistiche agrigentine in occasione della loro giornata nazionale.
Non numerosi gli appassionati di storia locale che hanno deciso di affrontare questa impegnativa scarpinata nel dedalo dei vicoli e delle piazzette che s´intrecciano con quel che rimane di chiese e conventi che facevano delle città dalle cento campane una delle sedi vescovili più antiche e ricche del meridione e con le case addossate le une alle altre quasi si difendessero da qualcosa.
Per questa ennesima riscoperta del cuore antico di Girgenti, gli organizzatori hanno scelto di andare alla ricerca di quel che resta del “Rococò” agrigentino. Hanno quindi chiesto a Lillo Miccichè di rileggere attraverso i monumenti alcune della pagine meno conosciute della storia locale, in particolare quel periodo della seconda metà del Seicento sino al Settecento ai più sconosciuto, eppure così importante nella vita secolare della Città dei Templi.
Dopo la devastante peste del 1640 Girgenti si era ridotta ad appena 8.800 abitanti, ma già un secolo dopo raddoppiò quasi la popolazione. Sotto il profilo urbanistico quindi subì importanti cambiamenti che in questa occasione si sono voluti riscoprire. Ci si è ritrovati alle dieci e mezza dinanzi a Porta di Ponte e Lillo Miccichè ha raccontato le vicende di questo ingresso, il più importante varco della città murata.
Rifatto nella seconda metà dell´Ottocento su disegni dell´artista Politi. Era assai diverso in origine dall´attuale e ogni governo che veniva a conquistare la città vi aggiungeva il proprio stemma araldico. I visitatori alzano la testa per guardare gli attuali fregi della porta, che riprendono i simboli dell´antica Akragas. Si entra quindi per la via Atenea. “Quando vennero costruiti i palazzi nobiliari di questa strada ?” domanda Michele Lorgio, che ha uno studio fotografico proprio all´ingresso della via Atenea.
“La maggior parte proprio tra il Settecento e il primo Novecento – spiega Miccichè – Nella prima parte della strada da secoli dominano la Chiesa di San Pietro e l´ospedale dei cavalieri Teutonici, il cui ingresso è stato rifatto nel 1867 da Dionisio Sciascia; divenuto poi ospedale civile San Giovanni di Dio, sino alla prima metà del Novecento. Molti volevano costruire i propri palazzi dinanzi ad un´antica chiesa o davanti l´ospedale. Così vennero abbattuti i casaleni e innalzati i palazzi dei nobili”.
La signora Alba indica al marito Lillo Cino un bel balcone barocco ornato da mascheroni e cornici di tufo rifinite ed esclama: “com´erano bravi gli scalpellini di un tempo !”. Uno dei partecipanti riesce a farsi aprire il portone del palazzo Xerri e per la prima volta tanti ammirano la sua bella scala elicoidale. “E´ un incanto ! Chissà quante meraviglie nascondono questi palazzi antichi ! Mi hanno detto che in alcuni ci sono abitazioni con i tetti dipinti e con i giardinetti di agrumi”, dice Susy Patermo, che ha anche scoperto una fontanella nell´atrio del palazzo e fa scorrere l´acqua, divertita. Uno dopo l´altro sfilano lungo la strada maestra i palazzi della ricche famiglie agrigentine di tre secoli fa.
La comitiva arriva in piazza Purgatorio e Miccichè racconta di quel misfatto che si fece negli anni Sessanta, quando venne staccata dalla Chiesa di Santa Rosalia la bella facciata barocca: “Fu don Silvio a decidere quell´obbrobrio. Vedete quelle finestre sopra l´ingresso ? La facciata venne tolta per allargare il collegio di Maria e di conseguenza aprire quella serie di finestrelle. Che fine abbia fatto quella bella facciata nessuno lo sa”. Lasciata la via Atenea ci si addentra per le stradine che portano verso il Duomo.
Chi potrebbe pensare che tra questi stretti vicoli ci sono ancora i migliori esempi del rococò agrigentino ? “Questa è l´antica via degli amalfitani – ricorda Miccichè – Agrigento aveva un porto importante e commerciava con Amalfi, Genova, Pisa”. C´è il palazzo D´Ayala e quello Caratozzolo, famiglia in lite e concorrente dei Pirandello per via delle miniere di zolfo. Ha un portale ancora oggi ben custodito.”Cosa c´era qua ?”, chiede Stella Camillieri, sempre presente a queste iniziative culturali.
“E´ l´ingresso di un ipogeo”, risponde Miccichè e subito in tanti si avvicinano per curiosare attraverso la grata di ferro, ma è buio e si vede ben poco. Si è fatto tardi e ci si avvia più celermente verso l´ultima meta: le macerie del Palazzo Lojacono. “E´ desolante – dice Maria Luisa Passarello, mentre guarda quel luogo sventrato dopo il crollo del bel palazzo barocco – Come abbiamo potuto abbandonare il centro storico ? E´ la nostra identità, qui ci sono le nostre radici”.
Il marito Giuseppe Marotta è anche lui molto colpito: “Dobbiamo far venire i giovani in queste strade. Se conosceranno la storia e la bellezza di questi luoghi, si innamoreranno della Girgenti antica e le nuove generazioni sapranno meglio di noi scoprirne lo splendore e riportarvi la vita in comune e semplice di un tempo”.
Elio Di Bella