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Agrigento Paleocristiana, testimonianze

29 Maggio 2016 //  by Elio Di Bella

 

 

di Rosa Maria Bonacasa Carra

AGRIGENTO

 

Il cristianesimo nel territorio sottoposto alla giurisdizione della diocesi di Agrigento  sembra ormai consolidato per il IV-V secolo, sotto il diretto influsso della Chiesa di Roma. Protovescovo, secondo l’Encomio di s. Marciano, fu Libertino, che con Pellegrino subì il martirio nella persecuzione di Valeriano e Gallieno.

 

 

Gregorio Magno ricorda Agrigento tra le diocesi della Sicilia e menziona i vescovi Eusanio e Gregorio, la figura più rappresentativa dell’episcopato di A. alla fine del VI secolo. Gli atti dei concili riportano i nomi di altri due vescovi, Felice e Giorgio, vissuti prima della conquista araba. Tre sono le chiese paleocristiane finora individuate ad Aagrigento: una basilichetta cimiteriale extraurbana, ai piedi del versante orientale della collina dei Templi, una chiesa urbana, il cui sito è stato identificato a nord del tempio cosiddetto “della Concordia”, e la chiesa nata dalla trasformazione dello stesso tempio. La basilichetta extraurbana è un martyrion a pianta rettangolare absidata; il primo impianto di età costantiniana occupò parte di una necropoli tardoromana, inglobando due sepolture preesistenti, che sono state ritenute ipoteticamente le tombe del protovescovo Libertino e di s. Pellegrino. L’esistenza di una chiesa cimiteriale nell’area dell’abitato antico di A. è provata dalla scoperta di elementi scultorei tra cui un rilievo di fine VIII – inizi IX secolo. Anche per il tempio della Concordia, alla fine del VI secolo, venne applicato l’editto di Teodosio II, che autorizzava la trasformazione dei templi in chiese. Si ritiene che la chiesa, sull’esempio dell’Athenaion di Siracusa, fosse a tre navate con accesso a ovest preceduto da nartece e con abside semicircolare a est. È ormai opinione comune che i luoghi scelti dal vescovo Gregorio per la nuova basilica, con l’episcopio e il monastero annessi, fossero il tempio della Concordia e la vasta area limitrofa, che rimarrà a lungo proprietà ecclesiastica e fino al XIX secolo porterà il nome di “feudo di S. Gregorio”.

 

 

necropoliLa necropoli paleocristiana di Agrigento  occupa, all’interno dell’antica cinta muraria, l’area tra i templi di Ercole e di Giunone e comprende un vasto cimitero sub divo, una catacomba comunitaria (la Grotta di Fragapane), numerosi ipogei minori e una serie di arcosoli ricavati lungo le mura, tra i templi della Concordia e di Giunone. A questi va aggiunta una parte della necropoli romana Giambertoni, fuori della cinta muraria, che venne riutilizzata tra il IV e il VI secolo e fu collegata con l’ingresso meridionale della Grotta di Fragapane. Il cimitero sub divo conta oltre 250 tombe; la catacomba Fragapane, a ovest del tempio della Concordia, costituì un sistema unico col cimitero sub divo a nord. Le scoperte degli ultimi anni hanno chiarito la topografia dell’intera necropoli. La catacomba Fragapane col vasto cimitero subdiale e una gran parte dei cosiddetti “ipogei minori” si affacciano su una “via dei sepolcri” che si incrocia a ovest col cardo che collegava l’area del Ginnasio al santuario di Esculapio, fuori porta, e che almeno nell’ultimo tratto prima della porta urbica era funzionale alla necropoli. Più a est, lungo il fronte meridionale della via dei sepolcri si attestava una fila di sarcofagi nella quale si è riconosciuto il limite nord della necropoli sub divo.

 

 

A nord-est del tempio della Concordia, la via dei sepolcri incrociava un altro cardo che, scendendo dall’abitato greco-romano in contrada San Nicola, lambiva l’area della chiesa urbana e, dopo aver superato il complesso della Latomia Mirabile, proseguiva fino ai piedi del tempio della Concordia; sicché quest’ultimo dopo la trasformazione in chiesa cristiana continuò a essere direttamente collegato con l’abitato, ma era anche in stretta relazione con la necropoli. La frequentazione dell’intero cimitero dovette protrarsi dall’ultimo venticinquennio del III almeno fino all’VIII secolo, se non addirittura fino alla conquista araba della città. A partire dal X secolo un modesto impianto artigianale con due fornaci per la produzione di ceramiche occupò un buon tratto della via dei sepolcri, che ormai aveva cessato la sua funzione e parte dell’area della necropoli paleocristiana, che era stata abbandonata da oltre due secoli perché ormai troppo lontana dall’abitato. In età altomedievale, infatti, il centro abitato venne trasferito dai quartieri della valle sulla collina del Balatizzo a nord-ovest, per ragioni difensive, si ritiene, oltre che per le necessità commerciali dettate dalla nuova posizione dello scalo marittimo più a occidente.

 

 

Il villaggio rupestre del Balatizzo, che dovette svilupparsi tra gli ultimi anni del VII e gli inizi del IX secolo, appartiene a quella serie di insediamenti sorta in Sicilia nell’Alto Medioevo per iuga montium, con lo sfruttamento e il riattamento di vecchie cave, di grotte naturali e di grotte preistoriche e protostoriche. La sua posizione, a 3 km circa dalla linea di costa, era certamente connessa con la nuova ubicazione del porto, che nel Medioevo venne trasferito più a occidente, sul litorale dell’attuale Porto Empedocle. Una scultura in marmo mediobizantina, forse la fronte di un altare o di un ambone, rinvenuta nel cuore della valle, nell’area interessata dai resti della basilica urbana, forse la cattedrale paleocristiana, rappresenta oggi l’unica testimonianza della continuità d’uso della chiesa fino alla conquista araba dell’828. Cinta d’assedio, nel 1086 A. si arrese ai Normanni e Ruggero, conte di Calabria e di Sicilia, vi ordinò la costruzione di un castello, nei pressi del quale sorsero la cattedrale e l’episcopio per iniziativa del vescovo Gerlando. Il vescovo Gualterio fece costruire un altro fortilizio con materiali di reimpiego. Accanto alla cattedrale, nel punto più alto del colle, sorgevano le dimore dei Chiaramonte, che apparivano già in stato di rovina nel XVI secolo. Del castello normanno sussistono oggi pochissimi resti; nel campanile di ponente della cattedrale si potrebbe forse riconoscere il fortilizio del vescovo Gualterio.

 

 

 

Bibliografia

 

  1. Mercurelli, Agrigento paleocristiana, in MemPontAcc, 8 (1948), pp. 1-105.

 

  1. De Miro, I recenti scavi sul poggetto di S. Nicola in Agrigento, in CronAStorArt, 2 (1963), pp. 57-63.

 

 Id., Agrigento paleocristiana e bizantina, in FelRav, 119-20 (1980), pp. 169-71.

 

 R.M. Bonacasa Carra, Un rilievo bizantino del Museo Archeologico Regionale di Agrigento, in QuadMess, 4 (1989), pp. 101-109.

 

 L’età di Federico II nella Sicilia centro meridionale. Giornate di studio (Gela, 8-9 dicembre 1990), Agrigento 1991, pp. 217- 23.

 

 R.M. Bonacasa Carra, Quattro note di archeologia cristiana in Sicilia, Palermo 1992.

 

 Ead., s.v. Agrigento, periodo paleocristiano e bizantino, in EAA, II Suppl. 1971-1994, I, 1994, pp. 111-13 (con bibl. ult.).

 

 R.M. Bonacasa Carra – V. Caminneci – F. Ardizzone, Agrigento. La necropoli paleocristiana sub divo, Roma 1995.

 

 R.M. Bonacasa Carra, Agrigento paleocristiana. Nuove scoperte, in Kokalos, 42 (1996), pp. 59-74.

 

 R.M. Bonacasa Carra – F. Ardizzone, Due fornaci medievali ad Agrigento e la produzione di anfore tra X e XI secolo, in Atti della II Conferenza Italiana di Archeologia Medievale (Cassino, 16-18 dicembre 1999), Roma 2001, pp. 425-38.

 

 R.M. Bonacasa Carra, Nota di topografia cristiana agrigentina. A proposito dei c.d. “ipogei minori”, in G. Fiorentini – M. Caltabiano – A. Calderone (edd.), Archeologia del Mediterraneo. Studi in onore di E. De Miro, Roma 2003, pp. 203-17.

 

fonte

Categoria: Storia AgrigentoTag: agrigento storia

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