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Il paesaggio urbano di Agrigento
Nella nostra città incontriamo, ai giorni d’oggi, uno spazio naturale disintegrato dove l’uomo ha inserito alcune sue opere e dove spiccano, molto distanziate tra di loro, tante porzioni di spazio prelevate per una trasformazione in peggio della città prima compresa tra la cinta delle vecchie mura medievali (oggi scomparse).
La città si è allargata a macchia, ha eliminato la campagna circostante, gli orti, i giardini mediterranei, ha alterato le condizioni di vita – quelle legate all’agire e all’interferire sulle attività degli uomini – ha scollegato ogni connessione con le altre discipline quali l’economia, la sociologia, la statistica; ha snaturalizzato – con il suo smembramento – la sua identità a misura umana, ha frantumato gli affetti e i sentimenti,non ha più offerto una attivazione partecipe alla sua originaria forma di aggregazione sociale, semplice e giocosa.
Aristotele diceva che gli uomini, per vivere meglio, si raccolgono nella città ed attendono dalla città la possibilità di una vita più confortevole. Con il fenomeno dell’espansione urbana si è incrementato il distacco delle abitazioni dal luogo di lavoro, si è accentuato il divario tra l’uomo e la sua attività produttiva.
In questi quartieri la vita quotidiana è limitata alla famiglia o addirittura a se stesso.
Per chi vive in questi quartieri le possibilità di scelta sono spesso al di fuori delle comunità cui si fa parte; la maggiore libertà è quella della locomozione. In questi quartieri lo svago obbligatorio sembra sia divenuto l’unica alternativa al lavoro obbligatorio.
L’abitazione, per chi lavora, è utilizzata per la metà del tempo della vita. La città, l’ufficio, il posto di lavoro sono luoghi dove si svolge la vita diurna. Quasi inevitabilmente i grossi complessi residenziali di tipo soprattutto popolare, non avendo nessuna attività produttiva a supporto della localizzazione si sono trasformati in quartieri dormitorio o monoclasse.
Il decentramento della residenza non ha prodotto, quindi, alcun beneficio alla città. Nessuno pensa ad recupero funzionale, ad un ridisegno dei centri periferici, a nuovi modelli d’insediamento nella modificazione della destinazione d’uso, che possano garantire la mobilità della popolazione.
Si pensi per un istante all’invecchiamento della popolazione, alla percentuale del numero degli individui anziani e alle loro condizioni di non poter svolgere nessuna attività se non quella di un perpetuo bivacco in aree assolutamente scollate da ogni minimo confort per una loro più vivibile esistenza. Ed anche i ragazzi la cui abitudini e tradizioni di una volta (i giochi di quartiere) sono stati sostituiti da un eterno via -vai di motorini che procurano continui allarmi per la loro incolumità fisica.
Bisogna allora prioritariamente indicare intanto la possibilità di un risanamento di questa fitta rete da quartiere a quartiere con tutta la sua natura alterata, con le sue lavorazioni maldestramente eseguite con i suoi rifiuti; questa città nel complesso delle sue numerose borgate, rioni e frazioni che è stata sempre sperimentata pezzo per pezzo, nella catena di azioni che formano la vita quotidiana: abitare, lavorare, circolare.
Oggi si aprono nuove speranze perchè si assiste ad una svolta democratica che vuole l’Ente al servizio delle popolazioni per un giusto sfruttamento di ogni risorsa, per un nuovo ruolo della Sicilia nell’ambito del territorio nazionale e specificamente dei vicini paesi del mediterraneo oltre che della Comunità Europea.
Questa città fino ad oggi è stata in grado di provvedere ad alcuni essenziali servizi quali l’Università, gli insediamenti alberghieri, gli edifici scolastici che possano essere definiti veramente tali ( è a tutti noto lo stato di degrado e di abbandono di alcuni di questi, vedi Monserrato e Villaggio Mosè per non parlare del Liceo Scientifico Statale “Leonardo” che ospitato in vecchi padiglioni dell’ex-Ospedale Psichiatrico sente oggi il dramma di una condizione di notevole precarietà), la realizzazione del parco Archeologico, del Parco dell’Addolorata, la organizzazione e la sistemazione della costa e delle spiagge con i relativi boschi marini; la rivitalizzazione del verde pubblico perchè ormai non è più possibile ritrovare nei nostri luoghi, tanto cari ai viaggiatori romantici, i profumi che emanavano una straordinarietà di specie aromatiche, oltre ai celeberrimi mandorli, ulivi, carrubbi, pistacchi, gelsi e una macchia mediterranea verdissima e fitta di arbusti come il rosmarino piccante, il finocchio, il ginepro, le agavi esotiche, il mirto, la ginestra, la cardella, l’erica, la “giummarra”, ecc.
Alcuni studi propedeutici permetterebbero di effettuare una indagine cartografica puntuale con una procedura a gradi successivi per consentire l’individuazione di aree omogenee per tipologia di studio. Queste carte possono essere il fondamento per la delimitazione di aree che intervengono nella salvaguardia di quelle componenti economiche e ambientali quali le coltivazioni agricole specializzate e i boschi. Occorre prevedere un regolamento del verde urbano (ville e spazi pubblici e privati) per un censimento delle piante di medio e alto fusto per la salvaguardia delle stesse comprese le manutenzioni – che sono sempre mancate – per ciò che concerne la loro rivitalizzazione con nuovi impianti, potature, innesti, ed eliminazione delle piante parassitarie portatrici di fastidiose e allarmanti allergie.
Quindi non una città vocata alla cementificazione. Quì si ripete il ritornello della crisi dell’edilizia. Ma quale crisi se non si dicono bugie quando si afferma – dati alla mano – che il nostro territorio presenta un agglomerato urbano con il 40% di case disabitate per più della metà del periodo dell’intero anno.
Certo vi sono nel nostro hinterland alcune zone non proprio contaminate da fenomeni di intensità edilizia.
Un rapido accenno, per esempio, alle frazioni di Montaperto e Giardina Gallotti. Questo anche perchè un fenomeno tipico di una certa mentalità non ha mai intelligentemente suggerito agli agrigentini di scegliere queste frazioni, eccellenti per salubrità dell’aria e per un vivere quotidiano a misura d’uomo, per farne un polo di soggiorno estivo fuori dai rumori e dalle calche ed anche di agriturismo di grande interesse per le genuine attrattive che ne possono derivare. In queste frazioni si dovrà tenere presente la natura prettamente agricola della zona in cui non è mai esistetica l’eliminazione del terreno agricolo circostante per farne aree lottizzate di speculazione edilizia.
Per ritornare alla città , se proprio di edilizia si deve parlare, questa si dovrà intendere come provvedimento alle esigenze più urgenti della salubrità e delle necessarie comunicazioni per una più sicura, comoda e decorosa disposizione nel concetto di pubblica utilità e quindi si dovrà individuare soprattutto il risanamento degli stati di degrado cioè le strade, gli spazi di sosta e di parcheggio, le fognature la rete idrica, la distribuzione dell’energia elettrica e del gas, la pubblica illuminazione, le opere di verde veramente attrezzato, le scuole, gli asili nido, gli edifici per le delegazioni comunali, gli impianti sportivi di quartiere, i centri sociali e le attrezzature culturali e sanitarie, le aree verdi di quartiere, i servizi igienici nei luoghi di sosta degli anziani.
E poi il centro storico.
Diciamo che il Centro Storico è quella zona da cui la città si è sviluppata eche ha mantenuto le caratteristiche ambientali e formali originarie.
Il Centro Storico raccoglie due aspetti prioritari: quello strutturale e l’altro emergente. Per aspetto strutturale si intende la struttura planimetrica della città come frutto di interventi sull’orografia del luogo, nella storia; per quello emergente si intendono le piazze, i cortili, i vicoli, i larghi, gli spazi a verde e soprattutto le case che hanno una facciata che contribuisce a formare l’ambiente. L’equilibrio delle due caratteristiche che nell’insieme definiamo “paesaggio urbano” deve essere regolato minuziosamente perchè tutti i quartieri che hanno una loro fisionomia individuale, ma interamente collegabili all’aspetto generale dell’intera città, non possono e non debbono subire alterazioni o manomissioni capaci di stravolgere le precedenti tipologie.
Per ricondurci alla nostra città non c’è dubbio che essa raccoglie in sè alcuni manufatti ai quali si riconosce la comune esigenza della “non distruzione” (vedi la Chiesa di santa Caterina, la Chiesa dell’Itria, ecc.) cioè della conservazione e della tutela, in quanto esprimono valori culturali importanti per la nostra storia.
Non sarebbe neanche tanto difficile elencare con esattezza tutto ciò che noi intendiamo come “bene culturale” ma quì non si vuole insegnare nulla a nessuno se non ricordare che “beni culturali” non sono soltanto i nobili palazzi o gli edifici religiosi (che ad Agrigento si possono contare sulle dita di una mano) ma diciamo che fanno parte dei “beni culturali” anche tutte quelle opere che, pur non raggiungendo un elevato livello artistico, costituiscono testimonianze culturali, in poche parole tutte le tracce di civiltà e avvenimenti del passato, quindi tutto l’ambiente costruito dai nostri predecessori.
Allora un’attenzione e un rispetto per la storia ; mostrare un interesse preciso per i valori della tradizione, così grossolanamente vituperata.
Qualcuno dice che la maggior parte delle case del Centro Storico dovrebbero essere demolite con operazioni di sventramento per una totale ricostruzione. Queste teorie le ritengo ingiuste al solo pensiero, in quanto se si demoliscono nei nostri centri urbani le vecchie case abitate da classi meno abbienti le stesse finiranno con l’essere sostituite con presuntuosi falansteri da vendere speculativamente a classi borghesi più ricche e più disponibili e quindi un’operazione più marchiana e colpevole di un vero e proprio abusivismo legalizzato.
Il territorio urbano dovrà, invece, dialogare in un continum con le nuove progettazioni in modo certo secondo l’intelligenza dei redattori del Piano, per qualificare come strumento di costruzione in un continuo equilibrio dove i valori esistenti naturali e costruiti saranno assunti non soltanto per essere difesi e protetti ma per essere interpretati e proiettati come valori di nuove esigenze in senso di responsabilità storica e civile.
Certo, sappiamo benissimo che la nostra città era stata concepita in relazione ad una concezione di vita diversa per una diversa cultura, per un diverso ritmo di eventi e sarà molto difficile adattarla con semplicistici rinnovamenti.
Per esempio non si potrà più continuare a perpetrare quei danni che numerosissimi sono stati già fatti da interventi secondo il “gusto” e le capacità inventive di quei proprietari di immobili che fino ai nostri giorni hanno fatto quasi a gara per realizzare tutto ciò che a loro è stato permesso da Istituzioni che mai nulla hanno controllato (e non si può sempre ricorre all’uso del termine “abusivismo”). E allora se volume, ritmo, simmetria sono gli elementi determinanti della struttura della forma, la superficie parietale di ogni immobile del Centro Storico è, assieme al colore, l’elemento basilare che definisce le qualità visive della forma stessa.
A noi non è mai andato di accettare sotto la voce di urgenti lavori da eseguire, le persiane sostituite dalle tapparelle di laminato plastico, gli infissi di alluminio – in un prospetto di appena due piani – tutti differenti per varietà – i rappezzi di intonaco in un piano sì e uno no, l’eternit al posto della tegolatura a coppi, le lastre di botticino al posto delle pietre laviche, le ringhiere di tondino di ferro o di anodizzato al posto delle fogge “spagnole”, quasi tutti i balconi diventati sgabuzzini e per non citare le caldaie della Siciliana Gas e i contatori dell’acqua, cioè tutta una gamma di ruvidezza ben visibili in ogni opera di rifacimento.
Intanto si può ristrutturare la Chiesa sconsacrata di santa Caterina per una sede definitiva del Museo etnoantropologico malamente allogato a Santo Spirito, ricondurre i vani di detto Monastero a luoghi per concerti di musica classica, operistica e da camera, risistemare alla fruizione artistica e visiva le tre Porte Medievali rimaste (Porta di Mare, Porta dei Saccaioli e Porta Panitteri), ripristinare i locali dell’ex Ospedale di via Atenea, dell’ex Tracomatosario, della Civica Pinacoteca, definire l’Auditorium dell’ex Chiesa di San Pietro, far fruire ai cittadini tutte le piazze diventate posteggi abusivi, riservati, demaniali e addirittura zone militari, abbattere gli orribili scheletri che deturpano la città dal tempo della frana del 1966, ripulire ed inverdire tutte le scarpate molte delle quali diventate addirittura depositi di rottami.
Là dove sarà impossibile nel Centro Storico riutilizzare alcune costruzioni per la ricostituzione di alloggi secondo la funzionalità di civili, moderne abitabilità, gli urbanisti incaricati sappiano offrire dei locali ai giovani e alle cooperative di giovani per i loro laboratori artigianali, teatrali, musicali, fotografici, per botteghe di restauro, per botteghe di ceramica, di serigrafie, di folklore e in genere artistiche per mostre e manifestazioni culturali.
Anche nel senso della conduzione di una politica di risanamento urbanistico da laboratorio vivo e ferviso si mostrerà quali siano le qualità più alte di una città e di uno spazio in cui quotidianamente si continuerà a vivere indissolubilmente tra “forma” e “bisogno” nel superiore sentimento d’amore per quella che Pindaro cantò : “Città più bella tra quante albergo son d’uomini”.