• Menu
  • Skip to right header navigation
  • Passa al contenuto principale
  • Passa al piè di pagina

Before Header

Agrigento Ieri e Oggi

Header Right

  • Home
  • In 5 Minuti
  • Agrigento Racconta
  • Attualità
  • Storia Agrigento
  • Storia Comuni
  • Storia Sicilia
  • Storia Italiana
  • Storia Agrigento
  • Storia Comuni
  • Storia Sicilia
  • Storia Italiana

Header Right

  • Home
  • In 5 Minuti
  • Agrigento Racconta
  • Attualità

AGRIGENTO NELLE VERRINE CICERONIANE

3 Febbraio 2016 //  by Elio Di Bella

di Vincenzo LIBRICI ALFIO

Nel triennio 74-71 a.C. la Sicilia attraversava uno dei periodi più tormentati della sua storia, essendo costretta a subire soprusi e le ruberie di un uomo rotto ad ogni sorta di dissolutezza e di violenza, il famigerato propretore C. Verre. Quando costui, alla fine del 71, rientrò a Roma, le città siceliote, tranne Messana e Siracusa, costituendosi come parte lesa, decisero di intentare un processo nei suoi confronti. La scelta su chi dovesse sostenere l’accusa cadde su Cicerone, affermato avvocato trentaseienne, distintosi già per l’integrità e l’oculatezza con cui nel 75 a.C. aveva ricoperto la carica di questore a Lilibeo.

Cicerone non poteva lasciarsi sfuggire tale straordinaria occasione: si trattava infatti di un processo destinato ad avere una grande risonanza, <<mediante il quale l’homo novus di Arpino avrebbe confermato le sue brillanti qualità di oratore forense, si sarebbe conquistata la stima e la simpatia di alcuni strati sociali, avrebbe consolidata e accresciuta la sua posizione di uomo politico>> (CESIDIO DE MEO, in Introduzione a M. TULLIO CICERONE, La seconda azione giudiziaria contro Gaio Verre, IV – V, Milano, Mondadori, 1998, p. 331).

Era scontato che egli accettasse di buon grado il mandato. Cicerone partì per la Sicilia allo scopo di raccogliere prove documentali e testimoniali che risultassero inoppugnabili.

Una volta nell’isola, potendo contare sulla protezione e sulla collaborazione delle città interessate, seppur osteggiato del propretore Metello, l’arpinate mise su un formidabile castello probatorio che avrebbe dovuto schiacciare chi si era macchiato di tante nefandezze a danno dei siciliani.

Prese così corpo la prima accusa (Actio prima in Verrem) nella quale erano toccati sinteticamente tutti i capi di accusa da sviluppare più ampiamente in un secondo momento.

Il 5 Agosto del 70 a.C. aveva inizio il processo, ma già alle prime battute si verificava un colpo di scena: il difensore di Verre, il grande oratore Q. Ortensio, consapevole di non aver argomenti adeguati per contrastare con qualche probabilità di successo le infamanti accuse, decise di rinunciare alla difesa. Il suo cliente, scoraggiato da tale mossa, prese volontariamente la via dell’esilio, prima che cominciasse la seconda fase del processo.

Nondimeno Cicerone volle pubblicare ugualmente le orazioni attraverso le quali si sarebbe articolata la seconda fase accusatoria (Actio secunda in Verrem).

Si tratta di cinque orazioni: 1) De praetura urbana; 2) De iurisdictione siciliensi; 3) De frumentis; 4) De signis (cioè sulle statue che Verre aveva sottratto alle varie città); 5) De suppliciis (sulle condanne perpetrate da Verre contro cittadini innocenti).

Sono numerosi gli studiosi che evidenziano una certa tendenziosità delle Verrine. Molto esplicito in tal senso è il Finley, secondo cui Cicerone avrebbe scelto <<ciò che serviva ai suoi fini. Tutti gli avvocati lo fanno, ma non essendo Verre presente per rispondere, e mancando anche il controllo di una corte, Cicerone era libero di sopprimere o di alterare le informazioni, forse all’occasione anche di inventare  oltre i limiti imposti dalla prassi forense>> (MOSES I. FINLEY, Storia della Sicilia antica, Bari, Laterza, 1970, p. 159).

Malgrado ciò, obietta il Manganaro, le Verrine <<restano per lo storico moderno un’opera insostituibile, offrendo il più ampio quadro della società siceliota, di cui rivela lo stile, i valori tradizionali e le contraddizioni, che in essa determinava il rapporto con l’amministrazione romana>> (G. MANGANARO, La provincia romana, in AA.VV. Storia della Sicilia, Società editrice Storia di Napoli e della Sicilia, Napoli, 1979, vol. II, p. 445.

Più volte le serrate invettive ciceroniane denunciano i gravi torti subiti dalla città di Agrigento ad opera dell’inviso propretore.

Il nome di Agrigento viene fatto dall’oratore, insieme a quelli di Siracusa, Palermo e Marsala, per ricordare le estorsioni perpetrate da Verre: <<Di questo denaro, giudice una  somma una somma davvero cospicua ed estorta con grande impudenza a gente per nulla disposta a darla, io non ho fatto, né avrei potuto, un conto preciso, quanto cioè fosse stato raccolto dai coltivatori, e quanto dagli uomini d’affari, da quelli che esercitano la loro attività a Siracusa, da quelli di Agrigento, da quelli di Palermo, da quelli di Marsala: ma vi rendete conto ora mai, giacché lo ammette anche l’accusato stesso, che egli ha raccolto questa somma da persone che non erano affatto disposte a darla>> (II, 2, 153).

Cicerone attacca il comportamento disinvoltamente illegale tenuto da Verre nei confronti del senato agrigentino, supremo organo amministrativo della polis siceliota, composto da 110 membri.

Forte del potere decisorio che competeva istituzionalmente al governatore romano, Verre non esitò ad avvalersi illegalmente di tale prerogativa facendo mercato di un posto di senatore, resosi vacante per la morte del titolare.

Ma il deceduto apparteneva alla categoria degli “antichi” e solo in questo settore andava individuato il subentrante. In dispregio a tale principio, Verre non esitò a mettere in vendita la carica al maggiore offerente e poiché quest’ultimo era un cittadino “nuovo”, non appartenente dunque alla categoria dell’estinto, accadde che l’ingresso in senato dello spregiudicato aspirante ruppe gli equilibri interni, dando la maggioranza ai nuovi. Inutilmente vennero mandate a Verre delle ambascerie perché recedesse da un provvedimento che calpestava cosi palesemente la legge (II, 2, 123 – 124).

Tra i capi d’accusa è la truffa di Verre sul frumento. Il propretore lo estorceva con le decime ai provinciali, per ammassarlo nei suoi granai. Quando era il momento di acquistare dai Siciliani il quantitativo di frumento da inviare a Roma, giudicava il prodotto di cattiva qualità, pretendendone il corrispettivo in denaro, in modo da poterlo acquistare al mercato libero. Invece tratteneva il denaro per sé e a Roma inviava il frumento precedentemente ammassato (II, 2, 179).

Tra le ruberie e le spoliazioni effettuate o tentate, l’episodio più eclatante riguarda proprio Agrigento, testimoniando la passione straordinaria del propretore per il collezionismo d’arte.

Proprio tale gusto estetico, pur non modificando  la profonda indignazione dell’accusatore per quelle ruberie, aveva però finito per affascinarlo.

            Il che, sottolinea Bardon, rappresentava per l’accusato <<la migliore vendetta. D’altra parte, aveva questi motivo di compatirsi? Se si considera l’eco che ebbe il suo atteggiamento, non si può fare a meno di pensare che, probabilmente, fu Verre il vincitore di questo famoso processo dell’anno 70>> (Henri Bardon, Sur le goût de Ciceron à l’époque des Verrines, in Ciceroniana, 1960, p. 40).

            L’episodio cui ci riferiamo riguarda il tentativo fallito di sottrarre la splendida statua bronzea di Ercole in Agrigento. Dopo il furto della statua di Apollo dal tempio di Esculapio, gli agrigentini avevano organizzato un sistema di ronde per sventare eventuali nuovi attacchi al loro patrimonio artistico. Quando dei malfattori assoldati da Verre tentarono di rubare dall’omonimo tempio la statua di Ercole, vennero messi in fuga dalla folla inferocita (II, 4, 94 – 95 – 96). Ciò che maggiormente richiama la nostra attenzione è il fatto che, come narra Cicerone, <<ad Agrigento, a causa, penso, del gran numero e del gran coraggio degli abitanti, e in considerazione del fatto che moltissimi cittadini romani, uomini risoluti e rispettabili vivono in quella città … Verre non osava chiedere o portare via apertamente gli oggetti che gli piacevano>> (II, 4, 94), essendo quindi costretto ad organizzare rapine notturne. Proprio tale passo ci restituisce l’immagine di un popolo agrigentino fiero e coraggioso nel mandare a vuoto i piani criminali del suo inqualificabile propretore, e nel contempo ci testimonia la prospera condizione che la città siceliota cantata da Pindaro attraversava nel I secolo a.C.

 

                                                                                                

 

Categoria: Storia AgrigentoTag: agrigento storia

Post precedente: «grotte Grotte
Post successivo: LA MASSERIA AGRIGENTINA E LA SCOMPARSA DELLA “RROBBA” »

Footer

Copyright

I contenuti presenti sul sito agrigentoierieoggi.it, dei quali il Prof. Elio di Bella è autore, non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti perché appartenenti all’autore stesso. È vietata la copia e la riproduzione dei contenuti in qualsiasi modo o forma. È vietata la pubblicazione e la redistribuzione dei contenuti non autorizzata espressamente dall’autore.

Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 07/03/2001.

Privacy

Questo blog rispetta la normativa vigente in fatto di Privacy e Cookie . Tutta la docvumentazione e i modi di raccolta e sicurezza possono essere visionati nella nostra Privacy Policy

Privacy Policy     Cookie Policy

Copyright © 2023 Agrigento Ieri e Oggi · All Rights Reserved