Gli Arabi portarono con sé religione e leggi, letteratura, arte e scienze; e così facendo resero partecipe Agrigento e la Sicilia tutta di una splendida civiltà
Caduto l’impero romano d’occidente (476 d.C.) la Sicilia, che era passata sotto il controllo dei barbari (Vandali prima e Ostrogoti poi) attraversò un secolo di disordini e di malgoverno.
La situazione non cambiò quando l’Isola venne conquistata dai Bizantini, tant’è che i Siciliani tentarono più di una volta di ribellarsi a Costantinopoli e creare un governo autonomo. In questo periodo, anche se si continuò a parlare il latino, il greco divenne la lingua ufficiale del governo e della chiesa.
In seguito, l’impero bizantino, temendo una minaccia d’invasione persiana, fu costretto a ritirare dal Mediterraneo centrale gran parte del suo esercito e della sua flotta, lasciando abbastanza sguarnite e indifese le coste della Sicilia e del Nord Africa.
Di questa situazione ne approfittarono subito gli Arabi che travolsero le milizie berbere africane. Successivamente, sollecitati dall’ammiraglio bizantino Eufemio da Messina, passarono alla conquista sistematica della Sicilia.
Quando nell’828 fu conquistata dagli Arabi, la città di Agrigento non si trovava più nella valle, come nel periodo greco-romano, ma sulla collina occidentale dell’antica acropoli.
I nuovi dominatori furono ben accetti dagli Agrigentini, così come dalle altre città siciliane, perchè vennero abolite le pesanti tassazioni bizantine.
Mediante l’impiego di numerosi sistemi di irrigazione, l’agricoltura ricevette un grande impulso dagli Arabi che piantarono: limoni, aranci, mandarini, cotone, canapa, canna da zucchero, riso e una nuova varietà di grano.
Introdussero, inoltre, il gelso, il baco da seta, la palma da dattero, il papiro, il pistacchio e i melloni.
Accanto all’agricoltura prosperava la pastorizia, l’allevamento del bestiame, l’industria del miele e della pesca, e forse fu allora che venne adottata la “mattanza’, una complessa tecnica per la pesca del tonno che è in uso ancora oggi.
Il salgemma e il sale marino vennero esportati all’estero; le industrie tessili, ed in particolare quella della seta, erano prosperose, divenendo parte fondamentale dell’economia agrigentina. Agrigento divenne, infatti, per quasi due secoli e mezzo, un centro di grande importanza commerciale e strategica, come ci attesta lo scrittore arabo Edrisi (1099-1164) che così si esprime: “Girgenti (Agrigento), città popolosa, nobilissima, frequentata molto da stranieri che vanno e vengono.
Ha eccelsa e forte rocca e contrade fiorenti; paese di antica civiltà, celebre in tutte le regioni. Dico, anzi, che Girgenti è uno dei propugnacoli più formidabili ed una delle terre più illustri. Quivi vengono viaggiatori da ogni parte del mondo quivi si adunano le navi, s’innalzano sublimi palazzi e moschee, e l’aspetto delle case stupisce i visitatori. Famosi sono i suoi orti ed ogni prodotto del suolo.
Essa giace a tre miglia dal mare Ma per farci un’idea dei monumenti arabi della nostra città, basti ammirare la “Zisa” e la “Cuba” di Palermo; massicce costruzioni alleggerite da archi a sesto acuto, abbellite da eleganti scritture a caratteri cufici e rivestite tutte da ricche decorazioni e magnifici ricami (arabeschi).
Gli Arabi ereditarono, infatti, dai Bizantini il gusto della ornamentazione a base geometrica, alla quale impressero un carattere, uno stile proprio, che venne continuato nell’arte popolare siciliana. Ma di tutti questi edifici tanto decantati, al presente, purtroppo, non ci rimane nulla, se sì eccettua una costruzione-fortezza situata alla sommità della collina di Girgenti e oggi comunemente detta “Carcere Vecchio”.
Questo edificio, lungo il corso dei secoli, ha subito trasformazioni e modifiche tali che hanno occultato le originarie linee architettoniche.
Ed inoltre, tutta la zona di via Garibaldi e il cosiddetto quartiere del “Ràbbato” son di sicuro impianto arabo: ce lo dimostrano le casupole addossate le une sulle altre, le stradine strette e tortuose e le irte scalette che sì incuneano sotto massicci archi come tante pìccole kasbe.
Per quanto riguarda le altre costruzioni, invece, anche se risparmiate da Ruggero il Normanno, vennero in buona parte distrutte o quanto meno saccheggiate e abbandonate sotto il regno di Federico lI e precisamente nel 1245, quando, con un decreto, gli Arabi vennero definitivamente espulsi dalla Sicilia.
Ma ciò che ancora sussiste, ad onta del tempo e a testimonianza imperitura della splendida dominazione musulmana, è un grande numero di vocaboli arabi ancora in uso nel dialetto agrigentino, unitamente alla malinconica triste melodia di certe nenie e canti popolari rimasti al dire di Pirandello – indelebili negli animi e nei costumi della nostra gente”.
Una volta insediati, gli Arabi furono abbastanza tolleranti anche in campo religioso intatti vennero spesso conservate le istituzioni locali e, anche se molte chiese furono trasformate in moschee, in generale i cristiani poterono vivere secondo le proprie leggi sia civili che religiose.
Naturalmente una popolazione soggetta soffriva di alcuni svantaggi. Per esempio, i cristiani e gli ebrei, che erano in numero considerevole nella nostra città. dovevano portare dei segni di riconoscimento sulle case e sui vestiti; essi pagavano più imposte; potevano riparare le chiese e le sinagoghe ma non costruirne di nuove.
Pur polendo praticare la loro religione, non potevano suonare le campane delle chiese o fare le processioni, nè si poteva leggere la Bibbia ad alta voce. Era loro vietato bere vino in pubblico e dovevano alzarsi quando dei musulmani entravano nella stanza e cedere loro il passo nelle strade.
Era vietato ai cristiani portare armi, andare a cavallo o sellare i loro muli. E, inoltre, non era loro consentito costruire case grandi come quelle dei musulmani. Naturalmente queste privazioni influirono negativamente sui cristiani, i quali gradualmente cessarono di praticare la loro religione per abbracciare quella musulmana.
Gli Arabi portarono con sé religione e leggi, letteratura, arte e scienze; e così facendo resero partecipe Agrigento e la Sicilia tutta di una splendida civiltà e ne fecero il punto di incontro tra la cultura Ialina e quella dell’Europa orientale. Come i Greci, prima di loro, vennero per stabilirsi e non solo per comandare e sfruttare. Insomma, in mezzo al buio completo che dominava e dilagava nella nostra città e nell’intera Isola, gli Arabi seppero spargere, per un lunghissimo periodo di tempo, la luce della civiltà del benessere e del progresso.
francesco modica