agrigento 21 dicembre 1932 visita di Renato Ricci, presinete nazionale opera nazionale Balilla. Archivio di Emanuele Bennici
Gli anni ’30 ad Agrigento furono eccezionalmente vivacizzati. E furono anni di “festa” continua.
Fu “festa” la cosiddetta “battaglia del grano”, periodica, che serviva ai gerarchetti per andare in campagna a scovare le contadinotte procaci e sane, vergini come oggi soltanto l’olio d’oliva “doc”; “feste” eran tutte le partenze dei cosiddetti volontari per l’Etiopia, che fu nostra mercè lo storico telegramma del Maresciallo Badoglio, o per la Spagna, a difendere Francisco Franco, poi generalissimo per autoproclamazione: festa per tutti, ma principalmente per i soliti gerarchetti, fedeli, più che al duce al solenne principio dello “armiamoci e partite”!;
“feste” eran tutti i sabati, in cui ognuno indossava la divisa, e c’era la gara per chi prendesse l'”orbace” più pregiato, con cui potere andare su e giù – con l’automatismo dei dementi come scrisse Pirandello prima della sua prostituzione al regime – per la Via Atenea, subito ribattezzata via Roma: “feste” particolari eran tutte le domeniche, sia perché alle 12 c’era la Messa per “La Haute” al Purgatorio, e i giovani, scesi al precipizio al momento del rituale “ite…”, mettendosi in posizione strategica di fronte alla scalinata della Chiesa, anelavano a scorgere qualche fetta di gamba o addirittura un pezzetto di ginocchio delle tante belle ragazze che le famiglie gelosamente custodivano per offrirle, intatte, al titolare del “ius primae noctis”;
sia perché nel pomeriggio c’era allo Stadio l’A.S. Agrigento di Giugiù Spitali e di Bembo Salemi, che era solito allora vincere spesso, dando esca ad entusiasmi mai più raggiunti; feste erano i thè danzanti che ogni mercoledì ed ogni sabato si tenevano e al Grand Hotel des Temples e al Grand Hotel Agrigentum; e feste erano i trattenimenti sinfonici della Banda Comunale diretta dal Maestro Lizzi all’Emiciclo Cavour i giovedì pomeriggio e ogni domenica sera; “festa” vespertina era la “libera uscita” dei novecento soldati del glorioso V° Fanteria.
Che invadevano la Via Roma e tutti i “bordelli” della città al limitare di essa; e “festa” erano le frequentatissime gite del Touring Club sotto la guida dell’infaticabile Prof. Giovanni Zirretta e del Club Alpino alle dipendenze del Cav. Giugiù Argento che era fratello di “Munniddru” un portiere dell’A.S. Agrigento che sembrava fatto di gomma tanto alti erano i suoi salti, quanto terribilmente bassa la sua statura; e “feste” erano tutti gli accompagnamenti funebri con cortei che si snodavano lungo la Via Roma e sino ai “quattro sgherri”, dove un oratore sempre diverso non faceva che tessere elogi, ancorché immeritati del morto di turno;
e “feste” erano “i cambi” delle “entreneuses”, alias prostitute di Stato (già perché era lo Stato ad organizzare e amministrare quel “servizio”) delle quali quelle destinate (per qualità) alla casa della signora Bianca per inveterata usanza locale dopo la rituale visita dell’ufficiale sanitario avevano “il privilegio” ovviamente dietro pagamento di tariffe maggiorate di far gustare “il sesso totale” ai signorotti locali celibi e non e a tutti i soci del più che famoso Circolo dei nobili i quali fingendo di recarsi al circolo (così dicendo a mamme e mogli) ma lì sostando per… ragioni strategiche sgattaiolavano con malcelata indifferenza verso la scaletta latistante il palazzo dell’orologio per raggiungere la Casa della signora Bianca, per questo, ma non solo per questo, passata alla storia locale.
La gioventù che a quell’epoca visse, fu dunque in continua festa, ed anche la guerra, la terribile seconda guerra mondiale, fu per essa una grande “festa”, essendo riuscita perché avanti negli anni, a scansare il fronte di combattimento, quello vero per intenderci: chi, invece, venne chiamato alle armi fu destinato al fronte di Porto Empedocle o a quello di Giardina Gallotti dove erano stati posti due vecchissimi cannoni antiaerei, che, probabilmente non riuscirono mai a sparare un colpo: e codesti giovani tornavano ogni giorno all’una a casa propria per consumare il pranzo e poi, a cena, dormivano al loro domicilio, tra tutte le possibili comodità domestiche!
Più “festa” di così…
questo racconto è tratto dal giornale Fuorivista a firma Mario La Loggia.