LA GRONDAIA A PROTOMI LEONINE DEL TEMPIO DI DEMETRA A GIRGENTI
Lo scavo del Tempio di Demetra a Girgenti, eseguito nella primavera del 1925 (I), restituiva abbondantissimi resti della cornice (sima) dell’ edificio; ma un primo loro sommario esame e il tentativo di reintegrarne qualche esemplare non portavano risultati positivi. Tornato a Girgenti nell’inverno del 1926, pur accudendo alla direzione di vari e delicati lavori di scavo, insistetti per ritentare la prova, radunando i frammenti in un laboratorio improvvisato nella casa di custodia dei Tempii; ivi ogni sera, ritornati dal lavoro, gli addetti allo scavo (ricordo il prof. R. Carta e il sig. O. Inglieri della R. Soprintendenza alle Antichità della Sicilia) si cimentavano pazientemente ad esaminarè e paragonare i frammenti; dal lungo esame apparve che, se nessun elemento della cornice era integro in tutte le sue parti, ognuno di essi era stato costruito su di un unico modello, talchè non era difficile integrare le deficienze di ciascuno con acconci calchi presi sulle parti esistenti degli altri.
II concorso del sig. G. D’Amico, il valente restauratore del Museo di Siracusa, concluse l’opera; in pochi giorni i due più completi elementi della grondaia, ricostruiti su cento frammenti saldati con perni di rame, integrati con accurati calchi nelle poche parti mancanti, figuravano nei locali del Museo Archeologico di Girgenti a cui erano dati in consegna (figg. I e 2).
Di essi l’uno, quasi intatto nella maschera leonina (tranne un piccolo tratto del giro superiore della criniera e le orecchie), ha varie aggiunte nella parte architettonica (tav. I e figg. 3 e 4), mentre l’altro, pressochè completo in questa, ha rifatta in gesso tutta la parte superiore della maschera (figg. 5 e 6). La struttura della grondaia del Tempio appare chiara, senza bisogno di molte parole: essa era composta, lungo i lati maggiori dell’edificio, di tanti elementi in pietra bianca compatta, accostati in modo da formare linea continua, composti di una parte piana inferiore, lunga m. 0,65.3, invisibile all’esterno, destinata a poggiare sopra il becco di civetta di seguito alle tegole di terracotta, e di una parte anteriore rettangolare, rialzata ed esposta alla vista, larga m. 0,63.2 e alta m. 0.58.6, il tutto ricavato nel medesimo blocco.
Nella parte posteriore il lavoro è svelto e grezzo; la superficie superiore della parte piana, fissata alla travatura da un grosso arpione di cui rimane il foro, si incava lievemente nel mezzo, mentre sui due orli si alza una nervatura a formare bacino ed a convogliare facilmente l’acqua verso il foro praticato nella voluta e smaltirla. La parte anteriore esposta alla vista è tutta ornata e dipinta con vivaci colori, che sulle scarse traccie noi possiamo ancora riconoscere; la sagoma architettonica è semplice e pesante; il passaggio dalla cornice fittile dei templi arcaici a quella in pietra, ha portato di necessità, data la nuova materia, una semplificazione ed un appesantimento; semplice e pesante è questa, formata, dal basso in alto, di un regolo
(Fig. I. – Girgenti. Tempio di Demetra:La grondaia a protomi leonine).
rotondo, di una fascia plana, di un altro regolo. di un kymation e di una fascia piana terminale; la policromia che avvivava ed alleggeriva la greve sagoma è data da un meandro spaziato di crocette nella fascia superiore, da una fascia di ovoli e da tralci di viticci e palmette nei grandi spazi aperti tra le maschere leonine ; rosso era l’ornato, azzurro cupo il fondo e forse nere le crocette del meandro. La difficoltà di una esatta riproduzione delle tinte ci ha fatto preferire un disegno della decorazione ad una ipotetica restituzione in colore (fig. 7).
Nel centro di ogni lastra campeggia, elemento essenziale, la protome leonina che maschera la doccia di gronda (descrizione e dati tecnici in N al. Se. 1926, pago 131; solo le misure devono essere cosÌ rettificate: alt. 0,32.7, largh. 0,35.8, sporgenza 0,20.9); l’imagine 386 creata dall’ artista si ripete eguale sui lati del tempio (lungo il muro settentrionale della sola cella – m. 19,90 – , se ne rinvennero 16, e dovevano essere 30). La vitalità intensa e mobile della fiera è qui fermata in una visione sintetica e decorativa; le pieghe e le sinuosità del muso son diventate serie di profondi segni; le labbra rovesciate all’infuori, una catena di ondulazioni regolari e precise; e la folta criniera, una serie di ciocche composte distribuite in tre ordini, esattamente corrispondentisi sui due Iati; una rigorosa simmetria ha presieduto alla formazione dell’imagine.
Il tipo della protome leonina come doccia di gronda si presenta sul finire del VI secolo; nel volger di pochi decenni è diffuso in tutto il mondo greco; lo ritroviamo nei monumenti più insigni; in Attica, nell’Ecatompedon Pisistrateo e nel Partenone; nel Peloponneso, nell’Eraion di Argo e nell’Olimpieion d’Olimpia; a Metaponto, Caulonia, Girgenti, Siracusa, Imera, ecc., in Magna Grecia e Sicilia.
Ai molti esemplari noti s’aggiunge ora questo nostro bellissimo; tra essi dobbiamo stabilire il suo posto. I limiti del tipo sono vasti; non è che un’ astrazione, esso, e invece le vive opere che lo compongono hanno ciascuna una forma e una espressione e delle chiare diversità. Ponendo il problema nel suo puro valore storico, fissiamo tra esse delle distinzioni e un prima e un dopo, una cronologia relativa; quest’ opera risulterà feconda di molti risultati.
Riprendo qui come provate alcune conclusioni cronologiche già assodate nelle Not. Sc.; tra le opere analoghe in pietra della Sicilia, le nostre, con l’eguale frammento di Megara Hyblea (M.A.L. XXVII, pago 163, fig. 8), sono le più antiche, e si pongono alla testa della serie; nel confronto colle altre, vediamo in esse una maggiore severità e rigidità di linee; il modo di costruire una massa raccolta, poco modellata, preferendo indicare le sinuosità con profonde e nette incisioni, appena ammorbidite sullo spigolo, e le raggiere cosÌ geometriche ed astratte, è indice di una arcaicità che nelle altre opere è attenuata da una maggiore plasticità e da una minore astrattezza di tratti. CosÌ le teste del tempio di Imera (M.A. L. XVIII. tavv. 7 e 8; del II-III decennio del V secolo) (fig. 8), hanno il muso più modellato e gli occhi indicati con contorno sinuoso; quelle dell’ Athenaion Siracusano (M. A. L. XXV, tav. XXVI; del III-IV decennio del V secolo) (fig. 9, lO e II), più affinate e allungate, e nel complesso più minute e trite, coi segni superficiali ammorbiditi da uno scarso gioco d’ombre, dimostrano una comprensione assai diversa.
Del tipo delle nostre sono invece quelle provenienti dal cosidetto Eracleion di Girgenti, di cui non è facile ricomporre )’ ordine, poichè tra esse si ritrovano due diversi tipi; uno rappresentato da tre esemplari: il primo scavato nel 1924 con tutta la cornice, esposto restaurato al Museo di Palermo ma non ancora pubblicato (v. Not. Sc. 1925, pago 445), il secondo assai frammentato, pure al M. di Palermo, e il terzo al M. Civico di Girgenti; l’altro, staccato dalla cornice e inserito in fori quadrati di essa, rappresentato da cinque esemplari: uno scoperto anni addietro presso l’Eracleion e ora al M. di Palermo (fig. 12), il secondo trovato nel 1922 nel Tempietto minore dell’Olimpieion (N oi. Se. 1925, pago 440), il terzo incompleto (2), trovato nel 1926 sull’ angolo sud-ovest dell’Eracleion (fig. 13), gli altri due frammentari sono ora nella casa di custodia dei TempIi agrigentini.
Non spetta a noi trattare di quest’ argomento (3); solo possiamo osservare alcune relazioni tra essi; dei due tipi, il secondo è più sviluppato rispetto al nostro; ha il muso più segnato e movimentato e gli occhi grossi, sinuosi e profondi; inoltre la giubba è trattata in modo diverso, colle ciocche individuate collocate su cinque raggiere ; il primo, splendido esemplare di arte decorativa, ha caratteri ancor più evoluti; le raggiere sono tre, ma le ciocche individuate sono rappresentate con realistica vivezza; il muso è più lungo ed affinato, ben modellato, e vi restano appena, ammorbiditi e sfumati, i segni; la lingua non è di metallica rigidità, come in tutti i casi finora osservati, ma mossa e sinuosa, e segue l’alternarsi dei denti; gli occhi sono lunghi con la palpebra rigonfia; notiamo insomma in tutti i tratti un’ espressione viva e reale, quale poteva essere solo verso la metà del V secolo.
E questo prepara un elegante problema, come accordare la data più arretrata del!’ edificio, che risulta dagli elementi architettonici, con quella recente di questo elemento, e la coesistenza e la diversa età dei due tipi di grondaia. A questo tipo si unisce in fine, per quanto assai più tarda, anche la testa colossale dal Castello Eurialo di Siracusa (N 0/. Se. 1912, pagina 300), forse della fine del V secolo.
Oltre a queste, altre teste leonine esistono in Sicilia, che non possono essere attribuite con certezza a qualche edificio, e che si uniscono in una comprensione diversa: sono più piatte e liscie, i dettagli vi sono superficiali, appena segnati, e di forma sono assai lunghe e strette; cito, tra gli esempli noti, due frammenti conservati nella casa di custodia dei T empIi agrigentini (figg. 14 e 15), uno al M. di Palermo forse pure da Girgenti (fig. 16), uno al M. di Siracusa proveniente da predio ex Spagna (inv. n. 20197) e un frammento da Mozia (WHITAKER, M o/hia, fig. 58); ad essi si avvicinano le teste dell’ Athenaion Siracusano che maggiormente dal tipo antecedente si distaccano. Cominciano già a delinearsi tra le teste leonine di Sicilia due diverse comprensioni: la prima, nel gruppo: Girgenti (Demeter e cosidd. Eracleion), Megara H., Imera; la seconda nel gruppo: Siracusa (Athenaion), frammenti agrigentini e Siracusani e Mozia.
Viene ora a confronto tutto il materiale fittile della Magna Grecia; alla splendida e notissima cornice policroma con protomi di lVletaponto (DE PETRA, Il geison ecc.) e a quella di Caulonia (ORSI, M.A.L. XXIX, tavv.3-7) fa corona una serie di altri esemplari; l’O rsi che li enumera e li paragona, conclude collocando l’inizio della serie nel primo quarto del V secolo e gli esemplari migliori attorno alla metà, e ammettendo che siano elementi di origine ionica importati durante le guerre persiane. Nel notevole numero fanno gruppo a parte le gronde di Metaponto e Caulonia, in cui le protomi leonine sono incorporate nella cornice ben decorata; in altre invece, tra cui quelle di Locri (Casa Marafioti; Noi. Se. suppl. 1911) e Crotone (Noi. Se. ibid.), più tarde e artisticamente assai inferiori delle precedenti, le protomi leonine sono staccate, e unite ad un canaletto per cui si infilano in corrispondenti vani della cornice.
A questo tipo si riportano alcuni piccoli esemplari marmorei nel museo di Siracusa (nn. inv. 932, dall’Apollonion, 933 e 945, da una grotta dell’Acradina mer., Noi. Se. 1912, p. 295), pure uniti ad un canale, non anteriori alla fine del V secolo; questo stesso tipo è ripreso spesso ancora nel classicismo romano; ricorderò solo due esempii: le gronde del restauro romano dell’Olimpieion d’Olimpia (BUSCHOR, Olympia, tav. 103, b) e quelle del Tempio maggiore di Baalbeck (WIEGAND, Baalbecq, I, tav. 6).
Questo secondo gruppo sta a sè e nulla ha a fare con gli esemplari siculi già studiati; invece il primo si riallaccia al medesimo tipo 390 del primo gruppo siculo, e può nascere il problema della priorità, difficile in quanto scarsissimi dati architettonici per i templi della Magna Grecia ci aiutano nel fissare una cronologia, e trattandosi di opere di diverso materiale, che non possono essere agevolmente paragonate tra loro; la serie fittile calabrese è più modellata, animata e movimentata di quella sicula in pietra, . più rigida e arcaizzante; pur attribuendo questa maggiore scioltezza all’ arrendevolezza del materiale, non ci azzardiamo a porre alcuna gronda calabrese sopra il 470- 480, e quindi precedente le sicule, quasi ad esse di modello.
D’altra parte, ci pare assurdo che, data la tradizione architettonica tanto viva in Sicilia dalla prima metà del VI secolo, si avesse necessità di accattare così importanti elementi a regioni meno portate all’edificare, e in età più tarda. Ci pare molto più semplice che la loro esigenza sia fiorita in Sicilia nelle grandi città della costa orientale e meridionale, e che si siano cercati modelli, ciò sia stato direttamente nella madre patria: Possiamo intanto almeno per ora affermare che gronde a protome leonina fittili o marmoree non sono esistite in Magna Grecia e in Sicilia prima dell’inizio del V secolo. Come è noto nella pnma fase dell’ architettura ellenica i templi avevano il coronamento fittile e le doccie di gronda erano semplici canali, decorati o meno all’orifizio di un piatto policromo; fu solo verso la fine del VI secolo che, similmente a quanto già si usava da lungo tempo per le fontane, 141 maschere leoni ne vennero applicate ad adornare le bocche delle grondaie degli edifici.
Più raro il caso, comune invece in Etruria, in cui le testate delle tegole erano ornate di antefisse a testa umana delle quali alcune servivano da doccie; r esempio più notevole in Grecia è forse quello del Tempio arcaico di Thermos (A. Denqm. II tav. 53) in cui alcune antefisse a testa virile e silenica colla bocca aperta offrivano sfogo alle acque raccolte sul tetto. Dell’uso di protomi leonine per decorazione architettonica, abbiamo esempli negli ultimi decenni del VI secolo, in Grecia ed in ambiente ben definito; in tutti essi però il tipo appare già completamente formato, e se si evolve e muta plasticamente, strutturalmente rimane sempre eguale.
Essi sono nell’Ecatompedon Pisistrateo (A. Denqm. I. tav. 38), nel Tesoro detto dei Sifni a Delfi (F ouilles de D. IV tavv. 16-1 7), e nell’ Artemision di Efeso (Br. Br. tav. 642). Nel primo edificio le protomi leoni ne marmoree sono alternate con doccie a canale; sono assai semplici nel movimento dei piani, fluide e morbide, e le indicazioni ad incisione sono assai attenuate, pressochè superficiali; dette sono invece più sentite e vive nelle teste marmoree delfiche, eguali però per composizione plastica, e nulle nella efesia, tutta liscia e morbida, di modellato piuttosto fiacco e poco sostanzioso, privo di energia.
Queste opere hanno vivissimi riscontri con rappresentazioni leonine arcaiche, alcune pure con scopo decorativo, a rilievo ed a tutto tondo, di cui ci limitiamo ad addurre esempli: in regioni ioniche, i notissimi leoni accosciati di Mileto, quelli a rilievo della Tomba di Xantos, quello di Keos (Eph. Arq. 1898, tav. 14), e quello recentemente rinvenuto a T eos f5J, che concordano in una formazione grossa e fiacca, poco movimentata ed energica, con particolari superficiali e piatti, privi di rilievo; in Attica, 392 il leone da un gruppo forse per acroterio dell’Ecatompedon, colla criniera piatta e bassa (SCHRADER, Marm. S/~ulpt. figg. 61, 64);
e a Delfi i leoni del fregio del Tesoro detto dei Sifni e del frontone orientale dell’Apollonion arcaico, (F ouilles, IV, tav. 33; e il particolare in B. C. H. 190 l, tav. IO), che hanno una affinità di composizione e di struttura sulla quale però appaiono incisioni vivaci e frequenti, patrimonio di altra corrente. Allo stesso livello di questi di Delfi, cioè con una visione plastica fondamentalmente ionica, però unita ad una stilizzazione più energica, collocherei tutto un gruppo di leoni arcaici a tutto tondo: i due di Kopenhagen (N y Karls. C lypt. n. 5 e 6) provenienti da Lutraki (Corinto) e quello di Boston (Br Br., tav. 641) proveniente da Perachora (Corinto), aventi unità di stile, epoca e luogo di trovamento;
ad essi aggiungerei il leone dell’Arsenale di Venezia, (E. A., n. 825) proveniente da Oelo, dove altri analoghi vennero trovati. Tutte queste opere hanno dunque una comunità strutturale più o meno schietta, una unicità di visione generale che le riporta ad una medesima corrente d’arte; lo Schrader vorrebbe attribuire le rappresentazioni leonine libere ed architettoniche dell’ Acropoli alla scuola di Chio; d’arte nassia si dichiara quello di Venezia; ad indirizzo ionico attribuisce lo Shroder la parte massima delle opere da noi raggruppate;
senza puntualizzarle in una scuola, le definiamo anche noi, secondo la grande corrente d’arte dominante nella fine del VI secolo nell’ Attica e a Oelfi, ioniche od ionizzanti, secondo che rispecchiano più o meno puramente la comprensione da noi definita. A questo tipo si riporta il secondo gruppo di protomi leonine della Sicilia, quello di cui è esemplare più pregiato la bella serie del!’ Athenaion Siracusa no ; esemplare più evoluto del tipo ionico (principio del IV secolo) e assai simile alle teste siracusane, a cui anche cronologicamente è vicino, è il leone a tutto tondo del Metropolitan Museum di New Y ork (Br. Br., tav. 643), trovato a Roma.
Con queste opere, di cui nessuna risale 01- 393 tre i primi decenni del VI secolo, siamo ai primi esempi i dell’uso della protome leonina come doccia di gronda architettonica, e in un caso (nell’Ekatompedon) la vedemmo unita col precedente tipo a canale. A lI’ inizio noi troviamo applicato il tipo già completamente formato; esso quindi deve essere stato costituito in antecedenza, e se noi vogliamo rintracciarne l’origine, dobbiamo ricercarla tra le rappresentazioni leonine libere, di cui testè cominciammo ad addurre esempli. Cercando i primi esempli di grondaie leonine siamo passati nell’ ambiente ionico;
se ora, riassumendo, vogliamo esprimere la differenza tra queste e le nostre (gruppo GirgentiImera-Metaponto-Caulonia), troviamo che la massa plastica è più diffusa ed inconcreta, che l’espressione è morbida e spenta, piatta e superficiale; mentre nelle nostre la massa plastica è tutta raccolta, animata di una fiera vivacità interiore, che si materia nel dettaglio sentito e profondo; le ciocche si rizzano ed incorporano; il pelame si infoltisce, le grinze profonde imprimono al muso un che di selvatica asprezza; un temperamento più consono si diffonde sull’imagine dovuto all’ energia e alla decisione del lavoro di dettaglio, alle incisioni che danno ombre profonde e robuste. ra l’opera più pronunciata in un senso e nell’altro c’è un grande divario; si tratta di un nuovo spirito, di cui vogliamo portare altri esempli salienti, precedenti il V secolo.
Già esso infonde una testa fittile per grondaia da edificio sconosciuto dell’ Acropoli di Atene; (WIEGAND, Porosarch, pago 188, fig. 20 l); e domina in una serie di potenti imagini arcaiche di Atene, Olimpia e Corfù. Leoni sono aggruppati a tori nei frontoni in poros dell’Acropoli; masse plastiche rudi e possenti, modellate con interiore energia, su esse i dettagli sono incisi stretti e profondi, tanto nel gruppo delle due fiere strazianti il toro atterrato, 394 (WIEGAND, Porosarch., fig. 201), quanto negli scarsi resti dell’immane leonessa che divora il toro, (HEBERDEY, Porossqulpt., pago 77).
Due rappresentazioni leonine sono ad Olimpia; una fiera isolata in calcare a tutto tondo, usata per bocca di fonte (Olympia, III, tav. l e 2), col corpo magro e slanciato, colla bocca digrignante e colla giubba espressa a scaglie, il tutto con semplici incisioni; e uno (0- lympia, III, tav. V, 3) da un gruppo frammentario di tre fiere marmoree, come piedistallo di un bacile, in cui pure si riconosce un esemplare della serie; documento arcaicissimo della plastica ellenica. Il medesimo modo di fare troviamo ancora in molte piccole rappresentazioni leonine bronzee, tra cui ci limitiamo a ricordare una da Delfi (F ouilles, V, tav. XV) e nelle rappresentazioni animalistiche arcaiche di Corfù; sia nella splendida leonessa funebre della Tomba di Menecrate (E. A., n. 60 l. 602) che nelle pantere del frontone occidentale del cosidetto Artemision (Praqtiqà. 1911, pago 168, spec. fig. 3).
Ed è infine nella plastica fittile arcaica della stessa Sicilia, nelle città doriche, se lo ritroviamo in un frammento di una delle grandi figure fittili di Gela, che esibisce un muso bestiale digrignante, in cui la smorfia è espressa con lo stesso sistema delle incisioni strette e profonde. e cosÌ gli altri particolari. Con alcuni di questi esempi abbiamo toccati gli inizi del VI secolo, e abbiamo definita la comprensione del tipo leonino come si presenta nell’ ambiente peloponnesiaco. t ad esso che si riportano direttamente le teste agrigentine, ‘:01 gruppo che formammo loro attorno; è la stessa visione intensa ed essenziale, la stessa massa plastica raccolta e vivace, lo stesso disegno del particolare, eguale nell’indicazione delle grinze del muso, della linea degli occhi, lo stesso segno tecnico; nelle nostre esso è affinato ed attenuato da molti decenni di ulteriore esperienza, ma nelle figure peloponnesiache esse trovano il loro prototipo.
Distinte cosÌ le due comprensioni, vediamo ora se .è necessario porre una di esse come fondamento comune, o se ciascuna batte cammino proprio; se abbiamo una continuità precedente, o se qualche interruzione ci chiede di necessità di supporre una importazione; e osserviamo il gruppo della Grecia continentale. Alla testa delle opere marmoree esaminate possiamo collocarne ahre fittili di notevoli dimensioni, rappresentanti leoni accoscia·ti; una proveniente da Thermos (Ephem. Arq. 1900, pago 161) e una da Praisos, a Creta (Br. S. A. VIII, tavv. 13 e 14) il muso di quest’ultima, colle fauci aperte, le labbra rovesciate all’infuori, la lingua pendente, le incisioni per .le grinze del labbro superiore, massimamente conserva il tipo che veniamo indagando, e le è simite l’altra pure da Praisos (op. C. pago 277, fig. 4).
Per epoca e per composizione esse sono affini, anzi, veri e propri ingrandimenti di una classe di piccoli lavori industriali, oggetti spiccioli, a cui noi attribuiamo, non la creazionene, ma la diffusione massima del tipo sommario, che dette anzi l’impulso a ricrearlo in opere di maggiore respiro: alludiamo ai piccoli vasi a protome o figura leonina (71, protocorinzi, sicioni, o che altro si vogliano nominare, tutti foggiati in generale sullo stesso schema; tra essi figurano esemplari famosi, quali l’ariballo Macmillan da Tebe, e l’altro berlinese da Rodi; essi sono sparsi ovunque, da Siracusa a Rodi, dalla Grecia continentate a Creta. In tutte queste piccole opere plastiche il dettaglio è segnato come su una superficie piana, in modo esattamente eguale a quello delle analoghe e contemporanee figure dipinte dei vasi protocorinzi, corinzi, rodi, ecc.; basta a convincersene il confronto di un leone plastico con uno di quelli disegnati sulle pareti dei vasi: essi non sono che la realizzazione plastica delle figure dipinte od incise su superfici piane. L’invenzione degli elementi di cui è formato, cogli altri stili della ceramica arcaica, il protocorinzio, non è però da attribuire ad esso.
Sono accattati ad un repertorio figurativo vastissimo, diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo orientale da un’ attività più industriale che artistica (orientalizzante-fenicia) a cui la Grecia nascente attinse il proprio primo contenuto, in cui elementi diversi di origine e di invenzione sono raccolti, con l’unico legame di unità della tecnica.
Essenzialmente metallici sono gli oggetti prodotti da quest’attività, incisi, rilevati ed a tutto tondo. Restringendoci al nostro problema, rileviamo che figurazioni leonine sono assai frequenti nelle opere orientalizzanti, tanto nelle rappresentazioni disegnative delle notissime tazze incise o sbalzate, rinvenute in località assai diverse, Preneste, Olimpia, Nimrud, ecc., quanto in quelle a tutto tondo; ricordiamo qui solo 396 Fig. IO. – Siracllsa: Athenaion. Grondaie. il notissimo scudo bronzeo votivo dell’ Antro Ideo (Mus. Ila/. II, tav. IX), che porta nel centro una protome leonina, ed un altro testè scoperto ad Arkades (Creta) (fig. 20), in cui è ripetuto sostanzialmente lo stesso tipo di testa leonina digrignante, colla bocca spalancata e la lingua sporgente, e aventi i dettagli superficiali Incisi.
Siamo cosÌ risaliti nella nostra analisi ai primordi del VII secolo o addirittura all’VIII, ed al periodo formativo dell’ arte greca, mercè elementi ricevuti dalla Fenicia; e qui ci arrestiamo, perchè non è nel nostro assunto perseguire nelle arti egeo-micenea, babilonese-assira ed egizia la precedente storia del nostro tipo (8). Vorremmo solo attardarci un poco a fissare il luogo dove si effettuò il trapasso degli elementi orientalizzanti-fenici dell’ arte greca; e per il nostro assunto fondamentale è Creta; qui è uno dei centri più importanti dell’ arte orientalizzante, qui una delle culle dell’ arte greca; e c’è un lungo periodo di contemporaneità e di continuità tra i due principi, che, dopo quelle memorabili dell’Antro Ideo, le recenti scoperte di Arkades tendono a rappresentarci. Continuità che per le rappresentazioni leonine è affermata dalla catena: protomi bronzee di Arkades’ e dell’An tro Ideo – leoncino fittile di Arkades – statua e statuetta fittile di Praisos, in cui si riafferma e si arricchisce la teoria già affermata dal Loewy e confermata sostanzialmente dallo Schroder (l. c. p. 4), del nascere, insieme con altri umani, di questo tipo bestiale nell’ arte greca a Creta. :f: insomma il medesimo tipo plastico che si tramanda, eguale nella composizione, sempre diverso nella tecnica, in cui, dall’incisione sul metallo si passa al disegno sulla plastica fittile, poi all’incisione su questa e infine suUa pietra, donde si arriva al pieno modellato del fiore dell’ arte greca.
CosÌ abbiamo disegnato uno schema evolutivo dalle strette maglie, lungo il corso di due secoli, e possiamo arrivare alla conclusione, provata dai fatti; la maturazione di un importante tipo di rappresentazione plastica leonina, diffuso nelle figurazioni libere e in quelle decorative di gran parte della Grecia continentale, è avvenuta su spunti desunti dall’ arte orientalizzante-fenicia, a Creta e nella Grecia propria, ben prima dell’ arrivo dell’ ondata ionica; soffocato in parte da questa, specie nell’Attica e a Delfi, per quanto in talune delle rappresentazioni di indirizzo ionico, specie a Delfi ed a Corinto chiaramente traluca come già notammo), è continuato durante e in seguito, sopratutto nelle applicazioni architettoniche della fine del VI secolo e del V, nell’Attica (testa fittile dell’ Acropoli già citata – gronde leonine marmoree del Partenone), del Peloponneso (Olimpieion – BUSCHOR, op. cit., tav. 102, 103 a – e Tesoro dei Megaresi ad Olimpia; quest’ultimo certo posteriore al 500 – Olympia, III, pago 13, fig. 9), di Magna Grecia e Sicilia, nella serie di opere citate all’inizio; di queste le più arcaiche (T empio di Demetra di Girgenti-Imera-Megara) conservano ancora la tecnica ad incisione, che scomparirà qualche decennio dopo e totalmente, nella completa plasticità delle teste dell’Eracleion di Girgenti. L’altro tipo leonino è ora per noi meno interessante; già ne vedemmo le espressioni più notevoli nel l’ Asia Minore, nelle isole e nella Grecia, e ne rilevammo l’influenza in un gruppo non piccolo di protomi di Sicilia, che proponiamo di denominare ionizzanti;
pesso ha una spiccata caratteristica, e non siamo alieni dal considerarlo sorto nella Ionia sempre sotto l’influsso delle rappresentazioni del repertorio 0- rientalizzante; a questo ci appaiono pur sempre ispirate le rappresentazioni leonine cercate nella ionia prima delle guerre Persiane, e in particolare le monete, che già dalla fine del VII secolo appaiono ornate di protomi leonine 191; esse, ripetendo i fantastici tipi orientalizzanti, sono egualmente, anzi, forse ancor più lontane dalla natura, che le protomi greche del V secolo. In ogni modo quando nella Ionia si rappresentarono leoni e si ornarono i templi di protomi leoni ne, ciò non fu precedentemente ad analoghe rappresentazioni della Grecia propria, e con spirito e con mezzi artistici assai diversi ed indipendenti.
E’ ben vero che, almeno momentaneamente, e nel limite delle nostre conoscenze, dobbiamo ammettere che i primi esempli dell’applicazione della protome leonina, come grondaia di edificio, ci appaiono in edifici eretti in età e in regioni dominate dallo spirito ionico (lo Shroder non è alieno dal supporre un’influenza non greca, forse egizia), ma il tipo plastico usato (come tanti altri elementi accettati dallo spirito ionico subentrante), e anche il suo stesso impiego come protome decorativa (i bronzi cretesi) e come doccia di fontana (il leone arcaico di Olimpia) erano certamente originari (IO). Ora, alla fine, due problemi generali ci sembra affiorino dal precedente discorso: lo studio dell’ evoluzione della testa di leone ci può dare sussidio per una maggiore conoscenza storica e cronologica degli edifici? e: possiamo, studiando l’evoluzione del tipo leonino, servirci insieme di rappresentazioni libere ed architettoniche, oppure a quest’ultime la necessità architettonica determina dei legami di ordine estraneo alle ragioni plastiche?
Ad ambedue credo giusto rispondere positivamente. L’esame delle teste leonine ci è stato decisivo nel fissare l’età del T empio di Demetra di Girgenti; la scoperta delle teste dell’ Asclepieion di Girgenti, avvenuta quest’ anno, ha definita la cronologia del l’ edificio; così è stato per l’Athenaion di Siracusa e per tanti altri templi; in questi casi, fissata una cronologia nell’ evoluzione del tipo, abbiamo un riferimento preciso, quale il lento e spesso incerto movimento dell’ architettura non permette di disegnare.
Abbiamo anche dei casi che appaiono negativi: l’Eracleion di Girgenti ha un netto dissidio tra le teste, che non possono risalire oltre il decennio 460-450, e le forme architettoniche (éntasi, echino, larghezza dello ptéroma) che non permettono di scendere oltre il 520-500; allora si tratterà di una integrazione posteriore (prima forse la sima era fittile). E per ogni tempio la questione può essere fatta sempre proficuamente. In ogni caso la nostra conoscenza degli edifici è aumentata ed approfondita, e la loro genesi chiarita; essi si vengono fissando con maggiore precisione nella storia; mediante questo elemento, i templi dorici del periodo arcaico maturo e del canonico si ordinano in una serie stringata e si possono collocare decennio per decennio.
Al secondo quesito risponde in modo diverso lo Schroder, che pone come linea direttrice del suo studio un partire da dati naturalistici, specie nelle regioni ioniche, a cui fa contrapposto un nucleo di rappresentazioni idealistiche, di cui le più notevoli sono le figure in poro e marmo dell’Acropoli; e sostiene che le rappresentazioni architettoniche sono delle stilizzazioni di maniera di quelle a tutto tondo (contraddicendosi se poi colloca nel gruppo delle naturalistiche alcune almeno delle teste architettoniche, tra cui quella di Efeso). Ci pare che la prima affermazione non regga; all’inizio della serie di rappresentazioni leonine dell’ arte ellenica, non vi ha un rifarsi alla natura, ma l’accatto di tipi già costituiti da arti precedenti; questo, come notammo, è anche nella corrente ionica; gli elementi ricevuti, l’arte greca compone su armonie e fantasie umane, senza interessarsi di conferme e di riprove, ma creando come se fosse vero, inglobando esseri sovrannaturali ed inferiori nel suo esuberante senso di umanità.
La seconda affermazione è smentita dalla semplice visione delle opere (alcune delle protomi architettoniche sono vivaci ed espressive più di tante figure libere che ripetono schemi di maniera); una contrapposizione tra concezioni naturalistiche ed idealistiche, e tanto peggio, architettoniche, che spengono e impietra no la vitalità, non esiste; si tratta già all’inizio di una composizione astratta di elementi, che presiede a tutte le rappresentazioni, In cui prevalgono le ragioni decorative ed architettoniche; se vi ha un rinverginimento naturalistico, questo è non all’inizio ma nel corso dello sviluppo, che; è contemporaneo e parallelo in ambedue le serie di opere. T ra le belle teste leonine architettoniche e quelle a tutto tondo, nessuna differenza sostanza
1) Nella prima grande campagna di scavI agrigenllm. eseguila con i mezzI fornili dall’lnglese Alexander Hardcasrle. Del permesso di eseguire gli scavi vado gralo al genliluomo agrigenlino Barone Giovanni Cdauro.
(2) Applicato su una l’altra di pietra di m. 0.32X0,37. inlegro solo sul Iato inferiore; la testa è alta m. 0,26.5, larga 0,27.8, e sporge per 0,25; manca della mascella.
(3) Da nuove ricerche effelluale dal GABRICI (Noi. Se., 1925; pago 448 e se g.) sarebbe stalo provato che al Tempio d’Ercole apparlengono due sime, quella nota e quella dal Cavali ari attribuita al T. dei Dioscuri (in SERRADIFALCO, op. ciI., III. lav. 36) e due geisa; da ciò deduce il G. una nuova leslimonianza dell’ipelralità dell ‘edificio da lui per ahre prove sospetlala; alle due .ime pOlrebbero così apparlenere i due tipi diveni di testa di leone. Ma non mancano difficohà; i dati di scavo (esemplari dell’una e dell’altra vennero scavati all’esterno del colonnato), oltre alla difficoltà di attribuire alla copertura delle ali un duplice spiovente; manca inoltre nella cella ogni condotto di uscita per l’acqua piovana, quale venne invece ritrovalo nell’Athenaion di Siracusa,
(4) ‘V. su ciò ORSI, M. A. L. XXIX, col. 425 e seg.; 01- oltre al famoso Vaso François, di frequenle rappresentazioni di fontane sono in v~.i a f. n.; con doccia a canale, in REINACH, Rép. Vas. I. 285. 1. 318.4; ed a protome leonina, ib .. I. 7523,216.4. 488.5; II. 512, 71.1, 92.1, 151.5, 326.1. Un interessante esempio di bocca di fonlana a protome leonina vidi a Girgenli, nel Santuario di Demelra, non anteriore al V secolo; purtroppo tanto guasta da rifiutarsi allo studio.
(5) In Bull. Corro Héllen. 1925, lav. 12; dove è affermato il confronto diretto coi leoni di Delfi, laddove a noi pare che l’immediata affinità con quelli di Milelo, mentre con quelli cl”lfici non mancano, accanto alle affinità varie differenze.
(6) Per quanto rigurda la raffigurazione del leone nell’arte greca, oltre alle bibliografie di ORSI. op. ciI. col. 437, n. 3, c di PICARD, lo Sculp/. ani. pag, 275, n. I, ricordo l’eziale vi ha; la manIera, lo schematismo, l’inaridimento, sono attributo delle brutte opere, non di speciali generi o categorie di opere. Perciò le nostre protomi agrigentine possono essere accolte nella storia della scoltura ellenica, accanto ed a livello di ogni altra espressione plastica.
PIRRO MARCONI oame acuto del LOEWY in TypenwanJerung, fa/Jreshef/e, XI V, pago 13 e seg .. 26 e seg .. 30 e seg .. e lo studio recenle e fondamentale dello SCHROEDER nel leslo alle lavv. 641- 645 del Brunn-Bruckmann.
(7) MAXIMOVA. Anlike Fig. Vascn (in russai; IOHANSEN. Les Vcues Sicyoniens, pago 156 e seg. (Vases en forme J’animauxl; PFUHL, Criechischc Ma/erei. p. 97 e seg.; DUCATI. La Ceramica Creca, pago 503. Agli esempli noti aggiungo quello scoperto nel 1924 dal LEVI ad Arkades (Crela’: Ann. Arch. Anlhrop. Ut>.rpoo/, XII. 1925. tav. 2.
(8) V. questa questione in SCHROEDER. op. cito pagg. 1-4, rivolta particolarmente all’esame delle rappresenlazioni leonine dell’ arte egeo-micenea e del loro Irapasso nel reperlorio figuralivo orienlalizzanle e nell’arIe greca.
(9) Esempli in ORSI. op. ci t, col. 436. Ahri in REGLING. Die Miinzen al. Kuns/werken, lavv.l, 9, IO, Il, 17, 19 ecc. (Samo. Milelo, ecd; III. 73, 75, 78 (Lindo, Cnido); VI. 166, 167, 169 (Samo, Cnido). Cfr. anche IMHOOF-KELLER. Tier u. P/lanzenbilJer auf Miinzen. ecc. In Sicilia e M. Grecia le monele con rappresenlazioni leonine non superano l’inizio del V secolo, nelle figure di profilo di Leonlini, e in quelle di prospello di Messina e Reggio; quindi sono contemporanee alle protomi dei lempli, a cui assomigliano assai. (I m T ulle le folografie delle grondaie del Tempio di Demeler agrigentino tIavola e fig. 1-6) sono state eseguite con perizia ed arte dal Prof. Giovanni Zirretta di Girgenti, a cui vado grato anche del disegno di fig. 7. Alla R. Soprintendenza alle Antichità della Sicilia, sono ora le negative di queste, come delle altre folografie pubblicate da fig. 8 a fig. 18, di teste leonine di varie provenienze esistenti nei Musei di Siracusa e Palermo, e nella Casa di cuslodia dei T empii di Girgenli. La fig. 19 è stala tratta da negativa dell’Istituto Arch. Germanico in Roma (sulla lavola del Br. Sch. An.), e la fig. 20 mi è stata amichevolmente favorita dal Prof. Doro Levi.
p.s. ci scusiamo per gli errori.