Il mistero del leone dormiente
di Ubaldo Riccobono
Alla ricerca dello spirito lionistico ho desiderato dare un’interpretazione a questo leone, che molti turisti vanno spesso ad osservare, chiedendosi del significato di questa scultura. Per la verità l’obiettivo era quello più ambizioso di un suo ripristino, che il club poteva intestarsi donandolo agli agrigentini. Ma non è detto che l’idea non possa essere ripresa in futuro.
Dorme da oltre 150 anni il Leone di Piazza del Purgatorio, disteso pigramente sul pilastro che sormonta due colonne cilindriche che compongono il fregio del misterioso accesso agli ipogei agrigentini. E dorme anche il mistero dell’intera costruzione, perché critici d’arte e storici pochissimo ci hanno tramandato. Si sa soltanto che l’adito fu aperto per la prima volta nel 1860, anno del Risorgimento, ad opera di un tale Alaimo, ingegnere agrigentino.
Se la sistemazione dei luoghi può essere giustificata dall’esigenza dell’epoca di dare un assetto definitivo e consolidato all’articolato complesso sotterraneo di cunicoli e camere di raccolta, che lasciavano tracimare pericolosamente acque sorgentizie e piovane, la scelta come fregio di un leone dormiente non appare il frutto di un’occasionale bizzarria dell’ideatore.
E’ verosimile che, nella mente dell’artista o del committente, la scultura fosse da collegare all’unicum del pregresso impianto scenografico dell’intero contesto zonale, che rappresentava originiaramente, per la borghesia agrigentina emergente, la Piazza della città nuova.
Scelta antifeudale, dunque, e d’affrancazione da anacronistiche condizioni e retaggi del passato, che venivano a contemperarsi in nuovi stili più liberi, rispetto ai quali i luoghi di vita avevano tanta parte. Lo scenario, in cui s’incardinavano le nuove opere, era quello di due chiese, San Lorenzo e Santa Rosalia, poste in un’enclave, in cui confluivano e s’intersecavano le strade maestre di via Atenea e di via Carnevali – oggi Foderà – creando un tessuto urbano di riferimento, più che d’un ceto, di una classe. Non a caso l’edificazione della basilica di San Lorenzo, identificata da sempre come Chiesa del Purgatorio, fu concomitante all’istituzione e all’attività della Congregazione laicale delle Anime Purganti, fondata da una classe ricca e abbiente, che voleva creare proprio nella piazza il motore urbano e lo snodo di collegamento con la città alta.
Il fasto della facciata barocca di San Lorenzo, divisa in due ordini con portale a colonne tortili laterali, fiancheggiate da statue, e con una massiccia torre campanaria, unitamente al prospetto d’ispirazione borrominiana di Santa Rosalia, intendeva creare, anche con l’ausilio della fuga delle scalinate, un movimentato sia pure asimmetrico colpo d’occhio.
All’interno, i candidi e magnifici stucchi del Serpotta, la Cappella del Crocifisso del Carletto, la splendida Madonna del Melograno, di scuola gaginiana, furono intesi a conferire un contesto armonico di “sala a predicazione”, per fare della Chiesa del Purgatorio un preciso punto di riferimento per le celebrazioni. Tutte le solennità venivano ivi celebrate, come ci dice lo storico Giuseppe Picone, a proposito delle messe funebri in memoria di Cavour il 9 luglio 1861 e di Vittorio Emanuele il 9 febbraio del 1878, con scenografie di straordinaria efficacia da lui stesso suggerite.
Quindi l’inserimento di un fregio, in sede di risistemazione dell’angolo da cui s’accedeva agli Ipogei, obbediva a un motivo di completamento ornamentale della “Piazza per Eccellenza” della nuova città. Ciò si rinviene anche nel preciso richiamo dialettale del detto agrigentino “ni videmu mmezzu a chiazza”, con il quale gli amici usavano darsi appuntamento per andare a passeggiare nel corso principale, la Via Atenea, che, pur estendendosi in lunghezza, nella parte di mezzo aveva proprio la Piazza del Purgatorio.
La testimonianza più importante della centralità della piazza ci viene dal racconto di Giuseppe Picone della prima manifestazione insurrezionale agrigentina nell’aprile del 1860, seguita alla notizia della disfatta della rivolta palermitana della Gancia del 4 aprile:
“Una mattina, si vede attaccata ad una delle statue laterali alla porta maggiore della chiesa del Purgatorio, una bandiera tricolore. La truppa circonda quel piazzale, ed uno dei soldati tira a sé la bandiera e mezza statua (perché composta di più pezzi non connessi), la quale precipitando, rompe una coscia ad un altro soldato.” (Giuseppe Picone, Memorie storiche agrigentine)
La bandiera tricolore, fatta sventolare, era stata cucita di nascosto, in un sottoscala, dalla madre di Luigi Pirandello, Caterina Ricci Gramitto, e dalla sorella Adriana, e portata ai rivoltosi dal loro fratello Innocenzo. L’episodio storico è ricordato da una lapide che può vedersi ancora affissa sulla facciata della chiesa. E a sancire la valenza storica di sacrario della chiesa, un’altra lapide ricorda un manipolo di agrigentini, caduti nella Grande Guerra, che riposano in una cripta del tempio.