Nella relazione “ sulla febbre epidemica petecchiale regnante in Girgenti nell’anno 1833” i dottori Vassallo e Caruso sostennero che il morbo si diffuse “ per il consorzio delle persone sane con le infette per trovarsi specialmente in quelli abituri ristretti e non ventilati i quali impedivano la cotanto necessaria rinnovazione dell’aria libera; fu indi il morbo trasportato nelle case delle persone agiate… non posso poi passare sotto silenzio che la sepoltura colle esalazioni hanno più d’ogni altro renduta l’aria impura e pregna di deleteri miasmi nocivi all’economia vivente”.
Un quadro assai drammatico delle condizioni igienico-sanitarie della città di Girgenti nell’Ottocento fornisce nel 1835 anche il medico Panvini: “tutte le abitazioni dei popolari a piano terra sono scavate nella rupe ch’è arenaria conchigliare e perciò sono umidissime… Tutti raccolgono e conservano dentro la propria abitazione sotto il letto… il fimo …per poscia venderlo in autunno.
Mancando la città di pubblici acquedotti, i cessi delle case consistono in fossi ciechi che tramandano le pubbliche esalazioni nella casa stessa… Le acque piovane che malamente si raccolgono nelle cisterne sono impure e piene d’insetti…”.
Il medico Giuseppe Serroy proponeva di combattere le epidemie eleggendo “sagge persone di forte animo, cui destinarsi i vari quartieri, affinché avvezzassero il volgo a una migliore nettezza” (G. Serroy, Rapporto medico, in data 11 agosto 1832, Archivio di Stato di Agrigento, inv.4, fasc. 495).
Il 22 otobre 1858 il luogotenente generale borbonico approvò il regolamento del consiglio edilizio della città di Girgenti. Questo consiglio avrebbe dovuto tra l’altro realizzare “ i miglioramenti di che la città sarebbe capace sotto il rapporto della salubrità, sicurezza, comodo, ed abbellimento, cioè ampliazione ed allineamento delle strade, formazione di nuove passeggiate, piazze, mercati, abolizione di grondaje esterne, e simili.” In particolare per quanto riguarda la salubrità e la sicurezza nelle case e nelle strade la vigilanza del consiglio doveva essere massima ed erano previste multe molto salate per i contravventori. Ma il consiglio naturalmente venne sciolto con l’arrivo dei garibaldini.
Ricorda Francesco paolo Diana che “ prima del 1860 a Girgenti a nessun proprietario veniva in mente il pensiero di far intonacare, arricciare o imbiancare il prospetto della sua casa, di togliere la rugosità o i crepacci dei muri, di costruire un appartamento, un secondo piano. Proprietari, professionisti e impiegati abitavano colle famiglie, anche numerose, in tre o quattro camere. Per molti di esse la stanza di ricevimento era quella da letto. La vita dei nostri padri era casalinga e grossolana. Il contadino possidente viveva in una stanza terrana priva di luce e di aria, insieme col mulo o con l’asino e le galline”.
E le condizioni delle misere case dei contadini agrigentini impietosivano anche il Prefetto Albino Albenga che nel 1864 non poteva fare a meno di considerare nel discorso inaugurale pronunziato dinanzi al Consiglio provinciale di Girgenti che ” invero destano meraviglia e ribrezzo le case squallide, anguste, poco nette, prive non che dei comodi anche delle cose le più necessarie; dove si vedono, direi quasi,ammonticchiati l’un sull’altro e spesso sopra un solo giaciglio persone di una stessa famiglia ma di sesso diverso”
Il rifornimento idrico veniva effettuato tramite barili trasportati da asini. Gli acquaioli si rifornivano d’acqua presso la fontana di Bonamorone e la vendevano di casa in casa. Molte famiglie possedevano cisterne per la raccolta dell’acqua piovana. Inutile dire che molte erano le fogne a cielo aperto. Ancora nel 1858 Giuseppe Picone faceva un appello dalle pagine del giornale “Palingenesi” affinché “i cannoncini di cui si è armata la maggior parte delle case, cessino di vomitare pelle strade le lordure interne, obbligando i proprietari a costruire dei parziali condotti che si immettano in un condotto generale. Da ciò la pulitezza, la salubrità dell’aere, il fugamento delle febbri endemiche, cose tutte che costituiscono il materiale benessere di una città” (Giuseppe Picone in “Palingenesi”, Girgenti, 1858, n.6).
Alla costruzione di dieci latrine pubbliche si era provveduto a partire dal 1835, ma i cittadini continueranno ugualmente per molto tempo a versare in qualche casolare diruto o sotto le mura della città le deiezioni umane e degli animali.
Fu necessario varare un regolamento per la pulizia delle strade. Esso tra l’altro proibiva di far “vagare i neri” (i maiali) in città. Le vie infatti erano sempre “rallegrate” dalla presenza di galline, asini, cani, maiali. Si ordinava inoltre di raccogliere il “fumere” ad almeno mezzo miglia di distanza dallo spiazzetto di San Sebastiano, fuori Bibbirria, o presso Santo Stefano dove sarebbe stato raccolto dagli addetti.
Un nuovo regolamento di polizia urbaa della città di girgenti venne approvato il 28 ottobre 1872 in cui si vieta tra l’altro di tenere fornelli nelle strade e piazze per acendere il fuoco, cuocere vivande; far transitare pecore capre e altri animali in via Atenea; ai venditori di commestibili gettare e deporre per strada immondezze; gettare dai balconi, dalle finestre, logge e terrazzi in mezzo le strade urine, vini corrotti, materie immonde, ecc.; si ordinava di sotterrare gli animali morti; si vietava di scannare fori dei pubblici macelli ed in mezzo le strade dell’abitato o nelle piazze gli animali; era vietato ai barbieri e ai maniscalchi di gettare in mezzo alle strade il sangue e i peli che cavano così agli uomini che agli animali; è vietato mantenere in mezzo alle strade, nelle case o cortili della città porci e altri animali gregari, come altresì far vagare pelle strade le anitre, le oche, i galli d’India, le colombe, le tortore, ecc; è vietato nelle fonti pubbliche e nei bevai siti nel perimetro della città farvi il bucato, lavare piante, lavare animali, carri abbeverare animali; e molte altre disposizioni venivano dati agli esercenti e agli artigiani.
Salvatore Bonfiglio nell’opera intitolata pel risanamento della Città di Girgenti nel 1885 offre un’ampia descrizione delle condizioni igienico-sanitarie di ogni angolo della città. Citiamo solo alcune considerazioni:” Generalmente i pozzi e le cisterne, stabilite al centro delle abitazioni, sovente nel luogo più malsano, ricevono le infiltrazioni delle acque inquinanti, che gocciolano da un suolo impregnato d’immondizie, forniscono un’acqua male rinnovellata, peggio aerata, caricata di solfati e carbonati calcari in sovrabbondanza, di cloruri terrosi, di Sali di magnesia, di silice, di allumina e soprattutto di nitrati di ammoniaca, formatisi per la decomposizione di materie organizzate, oltre a discreta quantità di sostanze organiche, che nelle cisterne provengono dalle tegole e dal limo atmosferico.
La gente, che beve acqua dei pozzi va soggetta alla verminazione, alle ipertrofie glandulari, a degenerazioni cancrenose, a dissenteria, al male della pietra e a molti disturbi, i quali spesso si manifestano nello stato cronico”.
Per quanto riguarda l’inumazione, nonostante la normativa del 17 marzo del 1817 i morti a Girgenti continuarono ancora per molto tempo a trovare sepoltura nelle tante chiese cittadine e in particolare nel Convento dei Cappuccini. Quando 1872 questo convento venne soppresso si decise di trasferire i numerosi morti per trasferirli nel camposanto di Bonamorone. Da un documento del tempo, risulta che questo trasferimento avvenne “ sopra comuni carretti, ricoperti da mussola nera, senza veruna venerazione e senza precauzione, il che produsse grave risentimento”.
A Girgenti solo dopo l’epidemia di colera del 1836-37 si prese la decisione di costruire un cimitero presso le pendici occidentali della Rupe Atenea . Si trattò per lo più di una grande fossa comune, senza muri di cinta.
Con straordinaria lentezza nei decenni successivi il cimitero venne meglio protetto e organizzato.