
di Attilio Bianchetta
Forse una città!?! No! Un grosso borgo sul quale si stagliava la mole di una cattedrale con campanile tronco, affiancata ad un lungo palazzo, emergente fra la moltitudine dei fabbricati. Arroccato entro la sua cinta muraria, sul dorso di una verde collina, folta di vegetazione, dove, in basso ed in primo piano, sopra un ocraceo costone di tufo, potevano distinguersi allineati, superbi avanzi di antichi templi.
Forse una città!?! No! Un grosso borgo sul quale si stagliava la mole di una cattedrale con campanile tronco, affiancata ad un lungo palazzo, emergente fra la moltitudine dei fabbricati. Arroccato entro la sua cinta muraria, sul dorso di una verde collina, folta di vegetazione, dove, in basso ed in primo piano, sopra un ocraceo costone di tufo, potevano distinguersi allineati, superbi avanzi di antichi templi.
Se ne stava, quasi sonnacchiosa, immersa nell’immensità di un limpido ciclo azzurro, ma vigilante, quasi paventasse, dal lontano orizzonte, l’arrivo improvviso di nemici, com’era accaduto più volte nel corso dei secoli.
Così si presentava Girgenti, negli anni quaranta del secolo XIX, agli occhi dei navigatori del Mare Mediterraneo od a chi ne avesse goduta la vista, Ira i campi di messi ed i prati odorosi, a valle della collina digradante verso il mare.
Una cittadina di circa quindicimila abitanti; con un agglomerato di case su pianta di sezione verticale di una tartaruga, la cui testa, lato ovest dell’abitato, costituiva un borgo popolare, a quota alquanto più bassa rispetto alla parte restante, non difeso da mura, identificato come «U Rabbateddu» (Rabbato). Questo, visto dal mare, sembrava un caicco sulla scia di una nave, navigante su un mare di verde.
Ad ovest, nord ed est era difesa da dirupi e costoni, rinforzati, ove occorreva, da mura o bastioni, mentre a sud, difettando la difesa naturale, dalla chiesa di Santa Lucia fino all’ultima torre, la più vicina a Porta di Ponte, si ergeva un robusto muro di grossi conci di tufo, alto più di quattro metri, con un solo varco, quasi a metà della sua lunghezza, costituito da Porta Panitteri. Cinque massicce torri a sezione quadrata, disposte ad uguale distanza fra loro e sporgenti verso l’esterno del muro e collegate con lo stesso, avevano difeso validamente la città dagli assalti nemici, nei secoli precedenti, proprio in questo tratto, il più vulnerabile della città, sud-est, dove la configurazione del terreno risultava più favorevole al nemico.
Vi era una sesta torre, usata come macello, detta «Notar Andrea», posta alla fine del muro, prima dell’angolo verso la chiesa di S. Lucia.
Cinque porte consentivano l’accesso alla città. Esse erano presidiate giorno e notte; restavano aperte dalle prime luci del giorno fino a poco prima dell’ora di notte. Si chiamavano: Porta Biberria, ubicata a nord nell’area delle mura del castello, contigua alla chiesa di S. Onofrio; Porta di Ponte ad est; Porta Panitteri a sud; Porta di Mare ad ovest e Porta Mazara pure ad ovest. Quest’ultima metteva in comunicazione la città propriamente detta con il borgo di Rabbato (che era in pendenza verso ovest) in un tratto di muro di cinta che, dalla Porta di Mare si collegava al pancone di tufo dominante il borgo stesso, estendentesi con l’orlo lungo la direttrice dell’attuale Salita S. Giacomo, dei dirupi sottostanti la parte ovest del Distretto Militare, dell’Istituto Gioeni e del Seminario.
il seminario