La Valle più celebre del mondo è di nuovo in fiore, quando ancora altrove, anche poco lontano da qui, la terra dorme sotto la neve e attende la sua lenta rinascita. Le telecamere sono tornate quaggiù a riprendere questo spettacolo unico al mondo e ad annunciare che la primavera è già arrivata nella Valle dei Templi.
Sino a qualche secolo fa erano i diari dei viaggiatori, le loro poesie e i loro disegni a descrivere la primavera agrigentina
e ci piace da queste pagine riprendere alcune di quelle stupende descrizioni per rivedere con gli occhi e con il cuore di quegli uomini una primavera che nessuna televisione potrà mai più ridarci.
Scegliamo innanzi tutto un brano del poeta siciliano Giuseppe Longo che amò profondamente la Agrigento e così descrisse la Valle nel 1924 nella pubblicazione catanese» Farfalle : « Ecco la primavera, e tutta la Valle è fiorita dei fiori bianchi del mandorlo, a grappi a distese… i mandorli si arrampicano anche sulla Rupe Atenea ed altri si allineano con gli alti pioppi sulle rive dei ruscelli che solcano la valle, ed altri giungono proprio dinanzi alla città, nei giardini e nelle ville, con le fresche corone floreali piene di tenue musiche d’api. E fra tanto, tanto verde e tanta fioritura, i templi meravigliosi, con la loro linea pura, solitari, solenni, tra la vita vegetale che erompe, germina, rameggia, canta per tutto».
Ugo Ojetti nel 1937 scriveva queste righe per i lettori del Corriere della Sera
dopo una settimana trascorsa ad Agrigento: «Fiorivano i mandorli e i nove templi doria, d’un tufo colore di ruggine, sorgevano in fila sopra lo scrimolo della collina fuori da quelle nuvolette di mandorli, rosee odorose, come giganti adusti fuori dalle spume sacre a Venere Adiomene».
Lo storico agrigentino Giuseppe Picone volendo descrivere la Valle dei Templi al sovrano Guglielmo II compose alla fine del secolo scorso un’ode che tra l’altro così recitava: «Qui bello il sol, bello il firmamento è di zaffiro il mare, tutto è sorriso, qui l’aura lieve senza mutamento lambe i fior, terrestre paradiso».
E il conte di Borch nelle sue «lettre sur la Sicilie e sur le De de Malta»
rimane incantato dalla vegetazione primaverile della campagna agrigentina dove «l’esposizione, la bontà del terreno, il clima, ogni cosa concorre favorevolmente e si vede qui fiorire l’aloè comune e dallo stesso maturare i fratti delle Palme. Forse i datteri di qui non hanno lo stesso gusto di quelli che vengono dalla Berberia, l’erba turca, erniaria è molto comune. Le colline sono tutte profumate da migliaia di piante odorifere, e tutta la campagna forma un solo prato di bellissime piante che di tempo in tempo assumono i più bei colori. L’oleandro nero, o rosato è qui molto comune; le ginestre di Spagna, il gelsomino, il rosmarino, tutto è coperto di fiori che crescono dando forma ad aiuole insieme all’aloè, al fico opunzia. Gli aranci, il limone presentano dinanzi ai nostri occhi cento boschi differenti l’uno più spettacolare dell’altro. Dall’alto della nuova Girgenti, dal convento del Carmine ammiriamo un esteso paesaggio di questa terra incantevole e il mare da lontano abbraccia da tutte le parti questa immensa distesa facendo da meravigliosa cornice».
C’è chi ritiene che anche il poeta Virgilio, venuto in Sicilia,
sia capitato proprio nel mese di febbraio tra i mandorli fioritissimi della Valle dei Templi, in vista dell’antica città, che cantò nell’Eneide. Dinanzi a quell’immenso biancore profumato, il contadino lombardo Virgilio, che fino a quel momento aveva viste solamente alberi bianchi di ghiaccioli e di brina, pensiamo che sia rimasto incantato e che abbia parlato di terra e di piante con i contadini del luogo. Dalla bocca di quei contadini, allora avrà saputo come quell’albero bellissimo in ogni petalo porta un augurio, come da quei fiori bianchi, ogni anno, la buona annata abbia il suo pronostico e la sua iniziazione.
Elio Di Bella