La formazione del clero secolare, come dei religiosi è stata da sempre al centro dell’attenzione dei Vescovi che hanno retto la Diocesi di Agrigento. La presenza di numerosi ordini religiosi nei secoli scorsi e di un cospicuo numero di sacerdoti dediti alla cura delle parrocchie ha imposto da sempre la necessità di organizzare scuole episcopali presso la stessa sede vescovile o nei vari conventi e monasteri per l’istruzione dei chierici. Ciò ha prodotto benefici straordinari nella storia della cultura agrigentina.
Per molto tempo la vita culturale di molti paesi della Diocesi di Agrigento (che nei secoli passati andava molto oltre i confini dell’attuale provincia, con cui invece adesso la Diocesi coincide) è stata intimamente legata alla formazione intellettuale del clero locale. Religiosi erano i numerosi precettori che istruivano i giovani delle famiglie più ricche e quasi tutti i letterati, scienziati, artisti, filosofi e teologi agrigentini dei secoli passati vestirono l’abito talare.
La necessità di organizzare con adeguate strutture e piani di studio la formazione in particolare di quanti si accostavano al sacerdozio era molto viva nella Diocesi agrigentina assai prima del Concilio di Trento, che istituì i Seminari in tutte le Diocesi.
Le cronache medievali ci dicono che il 28 luglio 1310 il vescovo di Agrigento Bertoldo de Labro cedette a Manfredi Chiaramonte signore di Favara e conte di Modica un caseggiato costruito a spese della Chiesa agrigentina ed edificato proprio dinanzi la Cattedrale di San Gerlando.
Dai relativi documenti sappiamo che in tale stabile aveva sede la scuola episcopale della città. Tale istituzione era già presente ad Agrigento, dunque, prima del secolo XVI. Su quel luogo Manfredi Chiaramonte innalzò lo “Steri” (dal latino Hosterium) della sua potente e ricca famiglia.
Il 3 agosto 1577 il Vescovo Cesare Marullo (che aveva preso possesso della Cattedra di San Gerlando nel 1574), obbedendo alle prescrizioni del Concilio di Trento, che, nella sessione del 23 luglio 1563, aveva stabilito per tutte le diocesi la realizzazione di un Seminario (“alere ac religiose educare et ecclesiasticis disciplinis instituere certum puerororum numerum” – far crescere, educare religiosamente e formare un certo numero di fanciulli alle discipline ecclesiastiche), con una bolla deliberò di destinare la casa canonica di Santa Maria dei Greci come Seminario della Diocesi di Agrigento, imponendo tra l’altro la tassa sui benefici a norma del Concilio Tridentino.
Ma pochi anni dopo monsignor Marullo venne trasferito a Palermo e pertanto la sua bolla non ebbe tutti gli effetti desiderati.
Del Seminario si occupò successivamente il Vescovo spagnolo Diego de Haedo, che nominò anche i Deputati che dovevano occuparsi della questione, ma anche questo prelato venne trasferito.
Finalmente, il 21 febbraio 1607, su disposizione di un regio visitatore in Girgenti, monsignor Filippo Giordi, venne deciso di inaugurare il Seminario agrigentino nella casa canonica di Santa Maria dei Greci. Il Seminario rimase presso questa chiesa solo quattro anni e venne poi trasferito su decisione del Vescovo di Agrigento Vincenzo Bonincontro nello Steri dei Chiaramonte. Il vescovo aveva ottenuto lo Steri nel 1610 dal Barone di Siculiana Biagio Isfares et Corillas (che lo aveva acquistato qualche anno prima). Monsignor Vincenzo Bonincontro ampliò l’edificio e lo modificò per ospitarvi un maggior numero di chierici.
Un suo successore, monsignor Traina, che resse la Diocesi dal 1627 al 1651, realizzò altri lavori per ingrandire l’edificio, aggiungendovi in particolare il fabbricato del secondo atrio e una biblioteca, che conservava anche preziose pergamene, fra le quali si ricordano alcuni testi di Seneca. Per migliorare il corso di studi aggiunse inoltre quattro cattedre (oltre all’unica iniziale di grammatica): dommatica, morale, logica, diritto; e pertanto gli anni di studio divennero sei.
Nel 1711 il vescovo Francesco Ramirez costruì il Collegio dei SS. Agostino e Tommaso, che venne inaugurato nel 1712 e la dotò di centinaia di onze perché venissero mantenuti gratuitamente dodici sacerdoti (Collegiali) per perfezionare gli studi in teologia morale e diritto canonico. Un busto marmoreo, posto all’ingresso dello scalone del Collegio, ricorda la grandezza del prelato. Ramirez volle inoltre dotare il Collegio di un’aula di Sacra Teologia e diede incarico al maestro intagliatore Onofrio Vicari di realizzare la cattedra e i banchi con le spalliere per gli allievi. L’aula ha il tetto a botte e presenta oltre quindi metri, in sequenza compositiva, di preziosi intagli realizzati dall’abile mastro Onofrio. Come studio teologico, il Seminario ha avuto molta notorietà, specie nei secoli passati.
Altre opere si devono a monsignor Gioeni (1730-1754) che costruì ad occidente il fabbricato del secondo atrio (poi completato da monsignor Lucchesi Palli) e lo arricchì per tutta la lunghezza del lato meridionale di un vasto e soleggiato giardino-palestra. Nel cortile interno venne realizzata la cisterna che provvede tuttora a fornire il Seminario.
Durante alcune campagne militari spagnoli, borbonici, piemontesi obbligarono gli studenti e i docenti ad abbandonare, anche per lunghi periodi il Seminario per alloggiarvi le truppe.
Nel secolo scorso col rifiorire degli studi tomisti presso molte istituzioni culturali cattolici, nel Seminario agrigentino venne ricostituita l’accademia di S. Tommaso d’Aquino per favorire “lo studio e l’amore della dottrina e del metodo dell’Angelico Aquinate”. Monsignor Bartolomeo Lagumina migliorò un giardino-palestra per la ricreazione dei giovani, dove collocò una statua del Sacro Cuore. Altri lavori negli anni Cinquanta del nostro secolo per la realizzazione del nuovo edificio scolastico hanno mutato la sagoma dello Steri, occultando i vecchi merli della torre chiaramontana. Durante l’episcopato di Monsignor Peruzzo le due cappelle dei Seminari di Agrigento e Favara sono state decorate con opere degli artisti Galizzi e Giambecchina e con artistici stucchi.
Questi e altri lavori hanno purtroppo trasformato l’originario impianto dello Steri di cui ben poco è rimasto. E’ ancora visibile, ad esempio, una torre, di cui si vedono i merli intonacati dal terrazzo del Seminario. Come ha rilevato Giuseppe Patrisano, uno dei massimi studiosi dell’architettura del Trecento, i vani del piano terra “sono coperti con volte a crociera ogivale, i cui robusti costoloni smussati impostano su pilastrini angolari semiottagoni coronati da capitelli, di cui alcuni decorati da due facce portanti l’emblema dei cinque monti.
L’insistenza di tale sistema strutturale nei vani superstiti induce a ritenere che esso fosse costantemente applicato in tutta l’antica fabbrica, tanto da conferire un preciso carattere goticheggiante all’intero organismo, che risulterebbe perciò indicativo di un ben definito ambito stilistico, che trae ispirazione dalle esperienze costruttive e formali delle costruzioni federiciane”.
DI ELIO DI BELLA