Attraversando le attuali strade del quartiere S. Michele, poco ci sembra essere cambiato della posizione dell’antica Agrigento descritta nella monumentale storia di Giuseppe Picone nelle Memorie storiche agrigentine : « L’intera città è traversata da una strada lastricata e anzichenò angusta e le ripide vie laterali sono quasi tutte inaccessibili ai veicoli. I terrazzini sporgenti dalle case, la più parte di pietra massiccia scolpita, ricordano la Spagna, come la ricordano le donne del ceto degli operai col capo avvolto nel velo o nello scialle ».(1 Giuseppe Picone – Memorie storiche agrigentine, Girgenti. 1866).
Di questo paesaggio così singolare, composto da case addossate le une alle altre e le une sulle altre, lungo poche strade maestre perlopiù serpeggianti e dalle quali si diramano irte scalinate e si aprono terrazzi sempre fiancheggiati da case, abitate nella quasi totalità da gente comune e laboriosa, poco è cambiato lungo i secoli.
Di nuovo dalla città alta si è propagata verso valle l’espansione edilizia, con alcuni palazzi che contrastano stridentemente con le basse case, ora non più esclusivamente di pietra, ma alzate anche con blocchi tufacei dal caratteristico colore giallognolo ed abitate dal ceto popolare, le cui donne, tuttavia, hanno smesso di apparire avvolte « nel velo e nello scialle ».
In questa visione ci appare pure il quartiere di S. Michele, antichissimo agglomerato della vecchia Girgenti. Di questo quartiere, immediatamente prossimo a quello del Duomo, la storia, attraverso i suoi documenti, ci fa conoscere le vicende del passato : esso doveva già esistere al tempo dei Saraceni, anche se non era ancora noto col nome del Santo, ma più genericamente col nome di origine arabo di « Rabhad », quindi « Rabbato », cioè Borgo.
Sotto la denominazione di Borgo S. Michele appariva già tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV. Così ancora leggiamo dal Picone : « La città dividevasi allora in vari borghi, dei quali i documenti tramandano i nomi di quelli di S. Francesco, di S. Michele e di S. Pietro; però trovandone, negli atti antichissimi, alcuno fra essi entro le mura della città, è d’uopo concludere, che la parola « borgo » si fosse continuata ad usare, significando piuttosto « quartiere », che borgo propriamente detto.
Infatti, mentre leggiamo in un atto del 1295 ( Atto del Notar Pietro Renusio da Girgenti, 23 gennaio IX indizione 1295. Donazione che fanno Salvo e Giovanna di Turano al monistero di S. Spirito, di due case, in questa città, fuori le mura, nel borgo di S. Francesco) che il Borgo di S. Francesco sia descritto fuori le mura, in un altro del 1286
trovasi la menzione del Borgo di S. Michele ove erano site talune fosse, una pagliaia, ed un terreno vacante entro il perimetro delle mura, perchè quelle si dicono confinanti da oriente colle muraglia della città ».
Nei documenti successivi il territorio di S. Michele risulta sempre dislocato « entro le mura della città di Agrigento »; dunque Borgo S. Michele sta per Quartiere S. Michele, immediatamente legato ed integrato alla vita ed alle consuetudini di quelle della città alta. (Atto del Notar Alberto Salamone da Girgenti, 23 gennaio IX indizione 1296. Niccola Gillebi e sua moglie Miralda danno in permuta allo stesso monistero alcune fosse ed una pagliaia,con terreno vacante, site in questa città, nel burgho di S. Michele, vicino al sudetto monistero, confinanti da parte di oriente colle muraglie delle citta).
Nel tempo in cui ad Agrigento primeggiava l’aristocratica famiglia dei Chiaramonte, la città venne circondata da mura, intorno al 1315, e già allora il nostro quartiere esisteva con la denominazione di Borgo, pervenuta in quel tempo e quindi ancora preesistente alla nobiltà Chiaramontana. In un Rogito notarile, stipulato il 18 settembre 1340, si legge che una cittadina di Agrigento, tale Giovanna sposata col fu Nicola Petralia — con l’autorità ed il consenso di Bonello di Planca, suo manualdo — assegna ad Enrico Petrolo da Caltagirone, una casa « sitas et positas in praedicta civitate Agrigenti, in Rabbato Sancti Michaelis, prope domos abbatie sancti Spiritus ».
SANTO SPIRITO
E nell’atto di donazione dell’abbazia di S. Spirito (Il Monastero di S. Spirito, fatto costruire dalla Marchisia Prefoglio, sorge poco più a valle del luogo ove sorgeva la chiesa di S. Michele. Vedi n. 6 della planimetria), rogato il 27 agosto 1299 XII indizione dal notaio Leonardo Giovanni da Amarea, fra i beni donati dalla pia e religiosissima Marchisia Prefoglio, vedova di Federico I Chiaramente — con l’autorità, il consenso e la presenza del figlio Manfredo, suo Manualdo — si legge : « apotecam unam contigua, sitam et positama, uti dicitur, in Burgo Sancti Michaelis…».
Tra le imponenti costruzioni dell’antica Girgenti, confinante col quartiere S. Michele, esisteva un castello, ivi costruito nel periodo della dominazione musulmana e comunque prima della costruzione della Cattedrale innalzata nel 1090 (S. Gerlando, vescovo di Agrigento, aveva voluto la costruzione della Cattedrale e dell’Episcopio (prope castellum propter timorem Saraceno rum habitantium in Agrigento». E’ evidente l’esistenza antecedente del castelloCattedrale, e non dopo, come in altre fonti si rintraccia); si presume che esso sia stato eretto per volontà del saraceno Hàmud, allora signore di Agrigento.
Lungo i secoli successivi esso subì varie vicende, divenendo il centro degli avvenimenti cittadini; a seguito della liberazione della città da parte dei Normanni, ne divenne padrone il Conte Ruggero.
Durante la guerra tra Spagnoli ed Austriaci, il castello fu sede degli scontri tra i gruppi parteggianti tra i due popoli stranieri. La lotta culminò con l’episodio avvenuto il 9 luglio 1718, quando, dopo che gli Agrigentini avevano dimostrato a favore delle armate spagnole entrate a Palermo sotto il comando di Filippo V, onde evitare conseguenze nefaste, il palermitano Pompeo Grugno, comandante della esigua guarnigione savoiarda, chiedeva aiuto ai paesani agrigentini, facendo bruciare in cima al castello una botte di materiali infiammabili.
Ma gli Agrigentini si ribellarono e, guidati dal contadino Zosimo, volevano linciare il Grugno, il quale, in extremis veniva salvato dal capitano Pietro Montaperto, che lo fece rinchiudere, assieme al fratello, dentro il Castello.
Il giorno successivo, stando per sopraggiungere in città i rinforzi dal castello di Naro, lo Zosimo, accompagnato da altri popolani armati, si diresse al castello e, vinte le resistenze del custode, trucidò il Grugno e i suoi compagni.
Il vecchio castello arabo fu adibito, in seguito, a Carcere cittadino fino al 1864, quando, liberata la Sicilia dai Borboni, fu trasferito il Carcere nell’ex-Convento di S. Vito, dopo averne allontanato i Frati.
L’anno seguente, nel 1865, il Castello fu demolito e al suo posto si costruì il primo serbatoio idrico della città. Il Comune, il 9 gennaio 1865, con la firma del contratto con il sig. G. B. Borgetti di Torino, faceva realizzare la prima conduttura idrica, per mezzo della quale, le acque di « Racalmari », tramite il sistema « forzato » della conduttura di ghisa, giungevano in città; il 13 gennaio 1865 con la stipula di altro contratto si doveva provvedere di incanalare le acque di « Garamoli » e di « Amenta».
Il tutto, nove mesi dopo, veniva realizzato e le acque di «Racalmari » raggiungevano il serbatoio il 22 ottobre 1865, dopo aver superato la rapida salita di Porta Bibirria.
Poco più in giù del castello, fra i resti delle antiche mura innalzate dai Chiaramonte, rimaneva Porta Bibirria, una delle porte d’ingresso della città medioevale; adiacente alla porta sorgeva la chiesa di S. Onofrio.
Nel novembre 1864, Porta e Chiesa, furono demolite, assieme ad un gruppo di case malsane, nel quadro di una ristrutturazione della zona e per realizzarvi un vasto piazzale panoramico.
Oltre a questi resti civili un tempo esistenti nella fascia Nord-Ovest del quartiere, non si può non citare l’altro grande monumento religioso, la Chiesa ed il Monastero di S. Spirito, immediatamente prossimo al quartiere S. Michele nel versante Sud-Est.
Di questo insigne monumento, costruito dalla Nobildonna Marchisia Prefoglio nell’ultima decade del XIII secolo, non trattiamo in queste pagine, perchè attualmente non compreso nel quartiere parrocchiale di S. Michele; di esso segnaliamo in Bibliografia monografie e pubblicazioni per quanti ne volessero conoscere le vicende storiche e artistiche.
Nel quadro dello sviluppo civile, urbano e religioso, che la zona di S. Michele andava assumendo nei secoli XV-XVI-XVIII, va menzionata la fioritura della Chiesa e del Monastero di S. Maria del Soccorso (Badiola) e delle Chiese di S. Libertino, S. Girolamo e S. Onofrio, edifici sacri integrati nel quartiere.
Vanno evidenziate le strutture e le organizzazioni comunitarie che nelle chiese o per esse nacquero in quei secoli: la nascita dei sodalizi dei laici o Confraternite (associazioni ecclesiastiche di fedeli, quasi sempre laici, con propri statuti e rappresentanze per promuovere la vita cristiana). Ricordiamo le Confraternite di S. Michele Arcangelo, di S. Libertino, di S. Girolamo, di S. Onofrio e di altre ospitate nelle omonime chiese.
Esse, assieme alla fioritura dei Conventi, rimangono testimonianza viva della religiosità popolare e dello spirito comunitario, che animava i laici, i quali si associavano non solo con l’intento di venerare i Santi (organizzando feste, funzioni religiose annuali), ma anche per la mutua assistenza religiosa fra gli stessi confratelli (preghiere, accompagnamento al cimitero dei soci defunti, ecc…).
Le vie più praticabili, colleganti le varie chiese, costituivano l’itinerario processionale durante le feste, quando fra canti, riti e cerimonie sacre, si commemorava liturgicamente e solennemente la festività dei Santi.
Questo quadro, importante per l’intenso valore sociale che esprimeva, forse un po’ statico per la mentalità e la vita che oggi conduciamo, allora sintetizzava la centralità della vita comunitaria e della festività: tutto infatti si animava in quei giorni solenni, quando si poteva dimenticare per qualche giorno le lunghe e faticose ore di lavoro e divenire protagonisti con gli altri e tra gli altri.
Certo nell’ultimo secolo la visione del quartiere S. Michele si è trasformata con il proliferare delle abitazioni, sorte prima con lentezza, ora con più rapidità, fino a formare un unico e continuo agglomerato abitativo tra la città alta e quella estesasi a valle.
Tra il sorgere delle tante casette popolari, qua e là nel quartiere non sono mancate costruzioni patrizie; restano alcuni esemplari, le cui facciate elaborate con elementi architettonici, visibili ancora oggi, testimoniano la presenza di alcune famiglie signorili: palazzo Del Campo-Lazzarini, abitazione dei Cardella, la sede del Consolato Britannico, Palazzo Barone Celauro.
Nei secoli passati, infatti, nobilissime famiglie ospitavano, in Via S. Girolamo, re, principi e l’illustre Wolfang Goethe.
Per concludere queste note storiche sul quartiere S. Michele, ricordiamo che il costone a Nord ha più volte subito conseguenze per gli scoscendimenti e le frane, di cui è stato ed è soggetto, a causa della natura del terreno.
Si ha traccia di una frana accaduta nel 300 d.C.; fra i movimenti franosi più recenti si ricorda che subito dopo la seconda guerra mondiale una frana portò a far ricostruire il muro di sostegno e buona parte della piazza.
Poi l’ultima frana del luglio 1966, che ha interessato più quartieri della città, provocandone in parte lo spopolamento. Del nostro quartiere essa ha duramente colpito il cuore: la chiesa di S. Michele, che per le gravi lesioni è stata completamente abbattuta.
Ma pur fra tanta amarezza e commozione, la storia del quartiere S. Michele non può fermarsi: essa continua nel ricordo e nella storia delle gesta e delle tradizioni gloriose; nella vita, nelle fatiche, nella ricostruzione che i suoi abitanti quotidianamente realizzano.
di Salvatore Capodici