ll Palazzo della Provincia fu uno dei primi edifici che, nell’ottocento, vennero costruiti fuori dalla cinta muraria, cambiando radicalmente l’aspetto della Città.
Al Re Ferdinando II, in visita alla città di Girgenti, veniva esplicitamente chiesto «…che l’Istituto di Beneficenza si fondasse entro il Palazzo Gioenino…»(G. Picone, Memorie storiche Agrigentine – pag. 604). La costruzione doveva essere adibita al Reale Ospizio di Beneficenza di Agrigento; con il Regio Decreto del 16 Maggio 1853 ne era stata approvata la spesa e nel 1858, alla presenza del Vescovo di Agrigento Domenico Lo Iacono e dell’Intendente borbonico Salvatore Vanasco venne posata la prima pietra «…la Decuria ringraziava il Re…e nello stesso anno furono demoliti gli stazzoni, o le case dei figuli, che occupavano parte del piano di Porta di Ponte, e deformavano l’ingresso della città… e nel corso dell’anno stesso (1858), alla presenza del Vescovo e del novello Intendente Vanasco, si gittava la prima pietra dell’Ospizio di Beneficenza il quale divenne Magnifico Palazzo della Provincia e della Prefettura…(G. Picone, Memorie StoricheAgrigentine – pag. 630,631)”.
Relativamente all’aspetto che doveva avere il largo «Porta di Ponte» prima della costruzione del reale Ospizio, ne parla ancora, nell’anno 1860 il notabile agrigentino E. P. Diana «…il forestiero che veniva a Girgenti… riceveva le prime brutte impressioni della Città. Luridi e mal costruiti erano i casolari, detti stazzoni, dei vasellai o meglio di fabbricatori di brocche….alcuni sul suolo sul quale ora sorge maestoso il Palazzo della Provincia…».
Di autore ignoto, venne progettato per ospitare i Reali Ospizi di Beneficenza di Agrigento con lo scopo di soccorrere ed educare gli infelici figli dello Stato, nonché tutti i giovani orfani indigenti.
Siamo nel 1860, breccia di Porta Pia, ordinanza garibaldina di espulsione dell’ordine dei Gesuiti dal Mezzogiorno. La Sinistra storica sale al potere; l’estensione delle leggi sui beni ecclesiastici, estesa al Regno d’Italia, condusse alla confisca del patrimonio della chiesa, rilevante nell’Italia centrale e meridionale.
Gli edifici di culto vengono così requisiti ed adibiti a ospedali, scuole, carceri, caserme. L’edificio, ancora in costruzione, cambia di destinazione d’uso per ospitare l’Archivio di Stato e successivamente venne adibito ad ufficio della Prefettura e della Provincia.
Venne così modificato il progetto architettonico iniziale che aveva pianta rettangolare con corte centrale e scalone d’onore collocato alla destra dell’ ingresso principale e prevedeva al piano terra la sistemazione della cucina, del magazzino del parlatorio e di alcune sale molto grandi atte ad ospitare le varie scuole di mestiere. Al primo piano sarebbero state destinate le rimanenti aule scolastiche, la cappella e gli alloggi del Prefetto degli studi; i dormitori invece sarebbero stati destinati al secondo piano. Dalla sommità dell’edificio avrebbe campeggiato lo stemma reale borbonico. Sul tetto sorgeva anche un osservatorio meteorologico «…dicembre 1870… eclissi totale di sole. A ben osservarlo vengono in Girgenti il Principe di Lampedusa…mentre nell’osservatorio meteorologico, che sorge sulla sommità del Palazzo della Provincia, stanno… (Picone, Memorie storiche agrigentine – pag 684)»
DESCRIZIONE ARCHITETTONICA
L’edificio, compreso fra la piazza Moro, su cui ha l’ingresso principale, la piazza Vittorio Emanuele e la via Giorni è a pianta centrale, quadratica con un cortile porticato (loggiato) a tre pilastri per lato. Si estende su cinque piani tutti fuori terra, l’ultimo dei quali è prospiciente l’atrio e occupa solo parzialmente la superficie in pianta non affacciandosi verso l’esterno.
Nei prospetti esterni si individuano solo i primi 4 piani.
Le coperture sono a tetto con capriate in legno e tegole miste. I pavimenti sono in marmo e in mattoni rimaneggiati con ceramica, legno e materiali plastici.
Il portale d’ingresso presenta due colonne laterali. I finestroni, sette per piano sulle facciate che si rivolgono a Sud, Est ed Ovest e due sulla facciata Nord, con motivi architettonici neoclassici che si evidenziano nei timpani, nei cornicioni marcapiano e di coronamento, nel portale e dal falso bugnato del prospetto esterno. Accedendo all’edificio dal portone centrale, varcata una porta a vetri decorata con lo stemma della Provincia Regionale di Agrigento, si accede al loggiato, la cui pianta ad anello disimpegna le stanze adibite ad uffici. Di fronte all’entrata principale, la scala nobile è caratterizzata da quattro rampe con otto colonne che sostengono le volte.
Tali colonne al piano terra e al primo piano sono rivestite di gesso grigio ad imitazione marmo; ancora al primo piano il soffitto è adornato con dipinti raffiguranti gli stemmi araldici di Agrigento, Sciacca e Bivona ed un putto che tiene in mano il tempio di Giunone.
Suggestivo l’ultimo piano dove colonne in gesso decorato a finto bronzo sormontati da putti, incorniciano un soffitto con affreschi rappresentanti illustri agrigentini: De Cosmo, F. Foderà, M. Foderà e Fazello.
Tornando nel cortile centrale, alla sinistra dell’ingresso principale, si accede alla scala di servizio a due rampe che conduce ai quattro piani superiori che ospitano rispettivamente l’alloggio prefettizio, gli uffici della Prefettura e quelli della Provincia. Da segnalare al terzo piano la bellezza degli affreschi del soffitto dell’Aula Consiliare «Giglia», dove una suggestiva metafora dello
stemma della Provincia, capeggiato da un Italia dalle giunoniche fattezze, tende la mano a tre grazie che rappresentato Agrigento e le sue sottoprefetture: Sciacca e Bivona. Degno di attenzione è il lampadario in stile art nouveau. Infine all’incrocio delle pareti con il soffitto si impongono alla vista le medaglie dei busti di Agatocle, Pileo, Cleone ed Empedocle.
Di particolare attenzione è il soffitto della sala a biblioteca ubicata al piano terra del palazzo dove, un recente restauro, impone all’attenzione del visitatore una spettacolare volta a botte in pietra viva.
STEMMA ARALDICO
Nel 1938, in occasione del secondo anniversario della Federazione dell’Impero Italiano, il «Regime» dispose la pubblicazione ufficiale dell’Albo d’oro dei caduti, corredato di tutti gli stemmi araldici delle Province italiane. La Provincia di Agrigento era da tempo rappresentata da un’ immagine simbolica che però non era stata registrata dalla Consulta.
Fu in tale occasione che il prof. Sebastiano Bianchini rielaborò lo stemma provinciale conservando l’identica simbologia; un unico raffigurante gli emblemi araldici del capoluogo Agrigento e delle sue Sottoprefetture Sciacca e Bivona. Lo stemma fu ideato prendendo spunto dal crollo del tempio di Giove e in sua memoria, congiungendo simbolicamente lo splendore dell’arte greca con quello della civiltà Cristiana. Nello stemma infatti tre Telamoni portano sul capo una piattaforma su cui si elevano tre torri davidiche; su quella centrale si erge il simbolo cristiano ed eucaristico.
Sciacca è rappresentata dal guerriero Agatocle, armato e su un focoso destriero, nell’atto di conquistare i tre domini di Sicilia, Grecia e Africa. Un ragno e una mezza luna sono i simboli della Sottoprefettura di Bivona, usati quali sigilli dal duca Pietro di Bivona. I simboli delle tre città vennero racchiusi in un unico scudo su cui venne posta la corona della Provincia.
Luigi Mula in in Agrigento Nuove Ipotesi marzo-aprile 2006