La costruzione del monastero si deve alla famiglia Chiaramonte. La fondazione avvenne con certezza intorno alla fine del XIII secolo, fra il 1290 e il 1299.
Un atto rogato presso il notaio Pietro de Remisio il 23/1/1295 testimonia che due agrigentini, Salvo e Giovanna di Turano, donarono al monastero due case nel borgo di San Francesco, fuori le mura. Ciò testimonia l’esistenza del monastero, già a quella data.
Il 28/07/1296 Nicola Gillebi e la moglie Miralda diedero in permuta al monastero alcune fosse ed una pagliaia. La notizia è tratta da una giuliana anticamente conservata presso l’archivio del monastero ma oggi andata perduta.
Nel 1299, con atto notarile rogato presso il notaio Pietro de Remisio, la Marchisia Prefoglio Chiaramonte dona il monastero all’Abate di Santo Spirito di Palermo e a frate Taddeo di Aversa, commissario del Monastero di Casamari: «Ea propter nos Marchisia de Prefolio….de nostro patrimonio fundaverimus seu fundari fecerimus in praedicta civitate agrigentina infra eius moenia quoddam Monasterium Sancti Spiritus noncupatum».
Il 19 dicembre 1321, dopo la morte della benefattrice, il documento originale del 1299 fu transunto in forma pubblica dal notaio Leonardo Giovanni di Amarea di Girgenti alla presenza della Badessa di Santo Spirito: viene rinnovata così la dipendenza del monastero da Casamari.
Secondo un documento risalente al 1400 conservato presso l’Archivio di Stato di Palermo, il Partenio di Santo Spirito divenne un importante centro di cultura e vi si impartiva l’insegnamento di «letture e di abaco per le figliole di gentili homini et personi di Habeni».
Da un documento del 15 febbraio 1579 si evince che Gregorio XIII pone le monache del monastero di Santo Spirito sotto la giurisdizione dell’ordine diocesano.
Fra la fine del 1600 e l’inizio del 1700 l’edificio subì notevoli rimaneggiamenti. La chiesa venne decorata con stucchi della scuola di Serpotta e nel 1758 fu realizzato un soffitto ligneo cassettonato.
Nel 1866, con la soppressione degli ordini religiosi, il manufatto diviene proprietà demaniale.
Nel 1899 l’architetto Francesco Valenti effettua un sopralluogo presso il monastero per accertarne le condizioni statiche e ne descrive il cattivo stato di conservazione. Redige quindi un progetto di restauro.
Nel 1916 dopo lunghe trattative, al fine di tutelare il monumento stesso, i locali passano al Comune con l’obbligo di destinarli a sede di un’istituzione. Nel 1925 si destina l’edificio a sede del museo archeologico. Nel 1927 iniziano i lavori di restauro.
L’edificio, ancora in restauro, viene adibito a Caserma dei Granatieri e durante la seconda guerra mondiale viene bombardato. Crollano alcune parti del ex dormitorio, parte del muro perimetrale sud e quello est; la cappella, ubicata all’interno del monastero viene danneggiata. Furono quindi approntate opere per l’ancoraggio delle strutture pericolanti attraverso la collocazione di catene provvisorie in ferro. Alcuni tratti di muratura dell’edificio vennero smontati e rimontati, fu smontata una sovrastruttura fatiscente. A seguito, inoltre, dello scoppio di una polveriera che causò l’aggravarsi delle condizione statiche dell’edificio, venne erogato un finanziamento di L 100.000 da parte del Provveditorato alle OO.PP. per il restauro del monastero. In occasione di tali lavori, fu rinvenuta una bifora che si trovava all’interno della muratura.
Il direttore del museo archeologico G. Zirretta, attraverso una campagna di sensibilizzazione riesce a sottoporre l’edificio a nuovi restauri e a salvarlo così dalla demolizione