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Agrigento: il caso della “madre snaturata”

6 Novembre 2015 //  by Elio Di Bella

 

Era bella ed avvenente  la madre snaturata. Una piacente ragazza dai molteplici amori e delitti, era Anna A.. “Perché se anche gli altri due figli erano illegittimi, solo il terzo ella odiava, fino a rischiare di procurarne la morte ?”, questo si chiedevano tutti ad Agrigento quando si seppe il caso della “madre snaturata”.  Una mattina di agosto alcuni operai sentirono a lungo il pianto straziante di un bimbo. All’inizio pensarono che presto avrebbe smesso, che il capriccio sarebbe finito. Ma troppo lungo, angosciante fu quel pianto infantile.

Compresero da dove veniva, fecero presente la cosa ad alcuni tecnici del Genio Civile che accompagnavano quella mattina gli operai in quei lavori in un vicolo del centro storico nel basso in cui abitava la disgraziata per richiesta del proprietario. La cronaca del tempo non ci dice come entrarono nella casa in via Foderà della signora A. e come riuscirono facilmente ad   arrivare  sgabuzzino da dove proveniva  feroce quel pianto senza consolazione.

Lo videro, coperto delle sole mutandine bianche; non smise di piangere. Aveva una gamba rotta, era magrissimo, tutto occhi. Un bimbo di due anni, non di più, si seppe poi. Uno vissuto presso un’altra donna, a cui la madre lo affidò poco dopo la nascita e l’altro passato dentro lo sgabuzzino e picchiato dalla madre quando il poveretto urlava per uscire. Urlava, certo perché solo quello sapeva fare. Non sapeva articolare una sola parola, neppure mamma.

Anche quando il muratore lo prese in braccio e lui si calmò sapeva solo ripetere ssi..ssi…ssi… Perché lo tiene lì dentro ? perché   è così denutrito ? E suo figlio ? La donna era rimasta impietrita. Fece per prendere il bambino, ma il muratore lo tenne stretto. Sentì di doverlo difendere da quelle mani malvagie. Non ci fu molto altro da dire, da fare. Era chiaro che il bambino era abusato, maltrattato, assai poco nutrito. I carabinieri la trascinarono giù per le scale e poi fuori nella via e la donna urlava e piangeva e diceva : “Non sono la madre, non sono madre. Sono una custode”. E’ vero non si poteva chiamare madre, quella. La porta di una cella del Carcere di San Vito si chiuse dietro di lei. Il bimbo intanto venne portato  vicine suore di san Vincenzo. Non sapeva dire il suo nome e lo chiamarono Salvatore. Era in mani amorevoli.

Elio Di Bella

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento racconta

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