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Agrigento: i mandorli, il miele, le capre

26 Novembre 2016 //  by Elio Di Bella

di Carmelo Maiorca

Uno dei parchi archeologici più belli, importanti – e minacciati – d’Europa ha scelto la strada dello sviluppo di una «buona agricoltura» al suo interno per tutelare un paesaggio aggredito da un’edilizia selvaggia e caotica e l’identità di un’area che racconta un pezzo decisivo della storia del Mediterraneo.  Antiche varietà di mandorli, frutteti, agricoltura sociale e lo zampino di Slow Food con i Presìdi completa no il quadro di un approccio che si sta diffondendo sempre di più, a dimostrazione che l’agricoltura e il cibo – la gastronomia – possono innescare le più varie forme di liberazione dal brutto e dal distruttivo.

Il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi è stato istituito con una legge regionale il 3 novembre del 2000. Primo tra i parchi in Sicilia, con oltre 600.000 visitatori all’anno, rappresenta uno dei principali attrattori culturali e turistici dell’intera regione. È grande circa 1.300 ettari e include l’area della città antica compresa entro le mura di età greca, quella extra moenia coi santuari e le necropoli del periodo ellenistico-romano, e il territorio circostante inserito in un contesto paesaggistico arricchito da interessanti elementi agricoli. Tant’è che in questo straordinario giacimento archeologico, considerato tra i più belli di tutto il Mediterraneo, si fa agricoltura. Anzi, della «buona agricoltura – precisa l’agronomo Calogero Liotta, dirigente responsabile dell’unità operativa del Parco che si occupa di beni paesaggistici -, perché siamo convinti che il recupero di antiche colture e la salvaguardia della biodiversità siano un modello, uno strumento essenziale per salvare il paesaggio, in generale, e in questo caso anche per concorrere a tutelare l’identità di un’area archeologica di primaria importanza non solo per la Sicilia».

 

 

Tra le piante più diffuse nel territorio del Parco c’è il mandorlo, da secoli uno degli elementi caratteristici del paesaggio agrario della valle, basti pensare al fascino che conferisce all’ambiente la sua precoce fioritura invernale, che in alcuni anni può avvenire anche a dicembre. Non è quindi un caso che in questo luogo sia stato realizzato un Museo vivente del mandorlo. Un museo en plein air con più di 300 varietà, quasi tutte siciliane, allevate su terreni ai piedi della collina sovrastata dai ruderi del tempio detto di Giunone, che appare quasi sospeso ai limiti della scarpata rocciosa. «La principale finalità del museo è di conservare in vita il patrimonio genetico delle varietà, molte delle quali rischiano di scomparire per l’abbandono delle colture nell’entroterra siciliano e per l’introduzione di cultivar provenienti da altre realtà agricole» ci dice il dottor Liotta, che in questo progetto è referente scientifico per l’assessorato regionale all’Agricoltura, mentre il professore Giuseppe Barbera lo è per conto della facoltà di agraria dell’Università di Palermo. «Ogni varietà è stata innestata su quattro piante – aggiunge il nostro interlocutore – le quali vengono analizzate dal punto di vista sia chimico che organolettico, anche per individuare quelle che esprimono le caratteristiche qualitative e gustative migliori».

 

 

Fra queste c’è di certo la pullara, storica varietà dell’agrigentino, un tempo molto usata nella preparazione di dolci tradizionali come l’aggneddu di Pasqua del paese di Favara. Nel campionario raccolto dal museo, accanto alle cultivar più note come la pizzuta d’Avola, la romana (protagoniste del Presidio Slow Food della mandorla di Noto), la fascionello, la palma, sono tantissime quelle dalle denominazioni ai più sconosciute, legate non solo a località specifiche ma anche a nomi propri di persone o a circostanze, episodi contingenti e curiosi come lasciano ad esempio presumere la comunista o la mennula di Stalin. Tra le altre specie vegetali che arricchiscono il paesaggio del Parco ci sono l’ulivo, la vite, il pistacchio, alberi da frutto quali fichi, carrubo, agrumi, peri, melograni, piante erbacee e della macchia mediterranea tipo la palma nana, il lentisco, l’agave, ecc. Lo scrittore Luigi Pirandello a proposito della copertura vegetale della Valle dei Templi, usò la definizione di «bosco di mandorli e ulivi », evidenziando le piante più diffuse.

Agli olivastri e agli olivi, molti dei quali secolari e alcuni maestosi e catalogati come alberi monumentali, sono stati aggiunti nuovi impianti di varietà di olive tradizionali per garantire una piccola produzione di olio extravergine col marchio Diodoros: omaggio a Diodoro Siculo, storico greco di Agyrion (l’attuale Agira, in provincia di Enna) che nella sua Biblioteca historica menzionò la bellezza e le eccezionali dimensioni di uliveti e vigneti che abbondavano nel territorio dell’antica Akragas. Per commercializzare l’olio, il Parco della Valle dei Templi ha stipulato una convenzione con l’azienda agricola Val Paradiso, mentre con la cooperativa CVA di Canicattì (sempre provincia di Agrigento) è stato siglato un accordo per la vendita di un vino da uve al 90% di Nero d’Avola, ricavato da un vigneto anche questo posto sotto il tempio di Giunone. Spiega Calogero Liotta: «Non avendo cantine, frantoi e altri strumenti il Parco ha coinvolto dei partner privati affidando loro delle aree per la coltivazione di prodotti contrassegnati dal marchio Diodoros, concesso per la commercializzazione dietro il pagamento di una royalty. Sono produzioni limitate e con la vendita speriamo di recuperare, almeno in parte, le spese di promozione. Nella nostra mission c’è comunque la valorizzazione di tutta l’area dell’agrigentino e per questo abbiamo avviato dei progetti che coinvolgono Slow Food. Uno riguarda l’ape nera sicula e la sua reintroduzione su tutto il territorio siciliano. Un altro riguarda direttamente il Presidio della capra girgentana che vogliamo riportare, un piccolo nucleo, dentro la Valle, dove la presenza di questo animale era consueta nei secoli passati (questo progetto ha recentemente vinto il Concorso Lactimed)». Inoltre sono stati realizzati dei progetti di agricoltura sociale: «Da diversi anni, con la sezione di Agrigento dell’Assessorato regionale all’agricoltura organizziamo laboratori di esperienza per i ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori; in particolare la partecipazione diretta alla raccolta delle olive con successiva visita al frantoio per la molitura. Un altro progetto al quale hanno assistito gruppi di studenti, durante le diverse fasi del ciclo produttivo, è quello che abbiamo chiamato “L’orto di Goethe”. In un angolo della Valle sono stati impiantati frumento, grano di timilia, fave, carciofi e altre colture che lo scrittore e poeta tedesco vide durante il soggiorno ad Agrigento e descrisse nel suo libro di memorie dedicato al viaggio in Sicilia». Di recente il Parco ha inoltre pubblicato dei bandi rivolti a diversi soggetti per la concessione, nel territorio della Valle dei templi, di 74 orti sociali e di aree agricole da destinare ad iniziative di conduzione agricola a sostegno di percorsi riabilitativi e di integrazione sociale di persone svantaggiate.

 

 

AREA ARCHEOLOGICA DI AGRIGENTO
L’area archeologica di Agrigento è stata dichiarata nel 1997 Patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco e pertanto inserita nella World Heritage List che conta quasi un migliaio di siti in più di 150 Stati. Beni culturali e naturali, tesori d’arte e d’architettura fra i quali non potevano mancare le testimonianze dell’antica Akragas, fondata su un altopiano da un gruppo di coloni greci provenienti dalla vicina Gela e da Rodi attorno al 580 a. C. Ma i segni della presenza greca nella zona sono precedenti come attesta la necropoli di Montelusa, risalente all’inizio del VI secolo a. C. (come molti sanno l’immaginaria Montelusa dei romanzi del commissario Montalbano di Andrea Camilleri è identificabile con Agrigento). Il periodo di maggiore espansione e potenza di Akragas si ebbe nel V secolo quando, tra l’altro, furono edificati il Tempio della Concordia e quasi tutti gli altri splendidi templi di stile dorico sulla collina meridionale, parte integrante dell’originario impianto urbanistico. Dopo alterne vicende storiche gli abitanti di Agrigentum (così era stata ribattezzata durante la dominazione romana) cominciarono un processo migratorio di massa abbandonando le residenze a valle per spostarsi sulle alture più a nord. Gli arabi che conquistarono la città nell’829 le diedero la loro impronta e la proclamarono capitale dei berberi di Sicilia col nome di Gergent (o Kerkent), poi modificato in Girgenti e conservato fino al 1928. Guardando in alto verso il colle su cui si estende l’odierno abitato di Agrigento, sono evidenti i risultati del lungo e caotico sviluppo edilizio avvenuto nel corso del Novecento: un’immagine devastante, più o meno analoga a quella di tante altre località italiane, tanto più clamorosamente stridente col suggestivo spettacolo della Valle dei Templi.

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Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento

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