
Uno sguardo a quella Girgenti
I “facchini di piazza” di Agrigento di cui ho preciso e personale ricordo erano dei poveri diavoli senza una precisa qualifica che cercavano di sbarcare il lunario con l’unico mezzo di cui disponevano: la forza fisica.
Di buonora venivano nel corso principale ad occupare il posto di “lavoro” In Piazza Gallo sostavano: Caloriu, suo padre, e Peppi Affimminatu; in Piazzetta Purgatorio, Luzzu Annacati-Annacati, Giurlannu Stinnicchiatu e Torricelli, un nobile decaduto sì ma riconoscibile per l’a plomb al quale non rinunciava,e, in tempi più recenti Gabriele dalla forza erculea prima di cedere definitivamente all’alcol.
A porta di Ponte, poi, c’erano alcuni avventizi, e poi Muschidda e Chiattulidda. Questi ultimi erano fieri del loro capo Luigi Fradella, persona dalla massima dignità e professionalità che qualificava la squadra dei facchini di Porta di Ponte.
Lo ricordo quando a capo di una squadra di questi cari trasportatori veniva a casa mia per prelevare il pianoforte che sarebbe servito alle compagnie di lirica per le prove. Don Luigi, non consentiva, pena il licenziamento in tronco, che quel chiassoso complesso si permettesse di bestemmiare come avveniva frequentemente, e dava seria prova di dignità e buona educazione.
Alcuni di quei trasportatori, i più irrequieti, si spostavano frequentemente da un posto all’altro, ma c’ erano quelli fissi, i titolari. Ed erano titolari di quei siti: Fradella a Porta di ponte, e in nessun altro posto avresti mai potuto trovarlo; Annacati Annacati e Giurlannu Stinnicchiatu sempre in Piazzetta Purgatorio, e Caloriu sotto l’orologio di piazza Gallo. Altrove sarebbero sembrati fuori posto, come personaggi di un grande presepe in disordine.
Muschidda, Chiattulidda, Caloriu e suo padre erano sempre scalzi come scalzo era sempre un giovane netturbino: Pistuni.
Questo Pistuni riusciva a trasformare la nuda pianta del suo piede in una vera e propria ventosa e, a richiesta, la faceva aderire alla liscia superficie dei lastroni di basalto della pavimentazione di via Atenea, ma dopo aver fatto sì che una certa quantità di aria si fosse incamerata nella cavità plantare di quel suo particolare piede. Poi, ad effetto, con l’arte di attore consumato, grazie ad una improvvisa e violenta pressione, faceva fuoriuscire quell’aria che, producendo un particolare equivoco rumore, suscitava sempre l’ilarità degli astanti.
Parafrasando Dante potremmo dire che “elli avea del piè fatto trombetta!”
Il lavoro di questa povera gente era saltuario ed aleatorio, ma il giovedì di S. Calogero prima, ed il trentuno di agosto poi, non ne trovavi uno solo disponibile anche a pagarlo a peso d’oro!
Il giovedì della prima settimana del mese di Luglio erano tutti impegnati al piano Sanfilippo coi giochi popolareschi delle varie cuccagne, oppure nella corsa coi sacchi o al tiro con la fune .Ed erano finalmente al centro dell’attenzione di tutti, mentre nel corso degli ultimi giorni di Agosto e specialmente il trentuno di quello stesso mese.accadeva che…………
………….., chi non possedeva casa propria e la prendeva in affitto (andava a casa in locazione, ” a luèri”, per dirla con un’antichissima espressione da tempo andata in disuso), aveva l’ abitudine di cambiar frequentemente domicilio. E in obbedienza all’usanza, quando, entro il trentuno del mese di Maggio dava l’opportuna disdetta al padrone di casa, questi provvedeva ad esporre nel posto più evidente di quella stessa casa un “SI LOCA” per pubblicizzare la disponibilità dell’immobile che sarebbe stato lasciato libero entro il trentuno del successivo mese di Agosto.
Durante il corso del trimestre giugno-Agosto chi era in cerca di casa si metteva in giro per trovarla. E mentre faticosamente questi “cercatori di case” si inerpicavano per le ripide scalinate dei quartieri, mandavano i più giovani in avanscoperta ad interrogare gli abitanti della zona che stavano perlustrando, per sapere se da quelle parti erano stati visti:”SI LOCA”. E se la risposta era positiva, le avanguardie andavano a chiamare i più anziani per convogliarli verso l’indirizzo di cui erano venuti a conoscenza.
E si vedevano tante facce di forestieri: poliziotti, carabinieri, guardie di custodia, piccoli impiegati statali ( ai dirigenti era sempre riservato l’alloggio di servizio fornito dall’amministrazione di appartenenza) e a volte anche insegnanti di nuova nomina o anche ufficiali e sottufficiali dell’esercito che nella Città erano stati trasferiti e che attendevano l’arrivo del resto della famiglia.
Ma c’era anche un’altra “fauna” più antica e conosciuta, di gente irrequieta che se non proprio ogni anno, sicuramente ogni due, cambiava domicilio. E la giustificazione poteva ricercarsi nella crescita della famiglia, nel mancato inserimento nell’ambiente circostante l’abitazione da lasciare, o più semplicente nella esigenza di una maggiore disponibilità di spazio ed infine, nell’ infantile piacere della novità.
E quel trentuno agosto c’era il massimo movimento per la cosidetta “carriata”, il trasporto cioè di tutte le masserizie da una casa all’altra.
Finalmente però, tutti quei poveri trasportatori erano in piena ed intensa attività assieme a carrettieri e piccoli camioncini quando questi in età più recente fecero la loro comparsa.
POETI E CONTADINI ed anche POETI E CARRETTIERI
In Sicilia i venditori non gridano, ma cantano per vendere la loro merce e spesso cantando si esprimono in endecasillabi o con coppie di settenari: Sentite e provate a scandire: “alassaneddi cotti, alassaneddi cotti”: Sono due bellissimi settenari! Sempre cadenzatissimi ed armoniosi.
Questo fa la gente del popolo, l’ha sempre fatto e non sa che parla in poesia.
E i venditori ambulanti di frutta e verdura.? Non cantavano forse ed anche poetando? Sentite!
“Marsigliana, marsigliana, ottonario
Quant’è biunna sta marsigliana” novenario
Oppure:
“Chiddra di tavula è… sta marsagliana” :endecasillabo
Un certo Calannira per vendere un certo tipo di coloratissimo gelato granita, cantava:
Scialacori ! Ch’è bellu: scialacori! (Endecasillabo)
Quando poi il popolo, caustico, spontaneamente sentenziava, allora diceva:
Scrusciu di carta,sì, e cubaita nenti!
Intendendo: tanto fumo e poco arrosto
E con maggior severità:
Quannu lu nicu joca cu lu granni:
a mala banna li vertuli appenni.
Distico bellissimo! Il significato?—Scherza coi fanti e lascia stare i Santi!
E’ un ammonimento a non prendersi confidenza con chi è più potente o più forte o più importante. Il gioco è sempre impari! Il danno sicuro.
Quando il topo vuole giocare col gatto si comporta come quel viandante che malcautamente si è messo magari a dormire lasciando incustodita la sua bisaccia da viaggio dove è riposta ogni cosa utile alla prosecuzione del viaggio.
E i carrettieri, poi, durante i traballantissimi lunghi viaggi per trasportare le derrate, spesso in lunghissime teorie che si articolavano lungo le polverose strade provinciali di allora, sempre cantavano e spesso amaramente e ancora più spesso ironicamente, perchè l’ironia esorcizza di volta in volta l’amarezza, il dolore, o la disillusione.
E li sentivo cantare e poi tacere e non capivo se quel selinzio era di pausa o di meditazione.
“Ammatula t’allisci e fa’ cannola! Lu Santu ch’è di marmaru. nun suda.”
Alludeva forse ad una innamorata accattivante reale o dei sogni?
Quello stornello stava a contestare ad una ipotetica fanciulla l’inutilità dei suoi atteggiamenti di lusinga perchè ormai, forse per un nuovo serio impegno d’amore, lui, oggetto di quelle attenzioni, sarebbe rimasto tetragono alle stesse lusinghe. O era solo una speranza. La speranza che ciò si potesse realmente verificare?
Talvolta più semplicemente il distico di endecasillabi era proprio anodino, era una semplice richiesta ad un lampione di periferia di paese perchè si compiacesse di illuminargli opportunamente il cammino!
“A tia mi raccumannu, lampiuni: quannu passu di ccà: lustru m’ha’ ffari!”
E l’amarezza? la terribile constatazione della vanità di ogni sforzo per salire chine o per rimontarle?
“E vaju p’acchianari e sempri scinnu. E siddu arridu un’ura chiangiu un annu!”
La considerazione amara e pessimistica di un arrampicarsi sempre pagato a caro prezzo
“E nun mi dissi scu, nè passidda!”
Si tratta sempre di un endecasillabo anche se di sillabe se ne contano solo dieci. Essendo l’ultima parola tronca l’undicesima sillaba è sottintesa:
ed il significato si riferisce a qualcuno che ti ha così manifestamente snobato che non ti ha tenuto in alcuna considerazione neppure in quella riservata a porci e cani addirittura per allontanarli! Meno di niente!