La bidonville di agrigento
Riproduciamo alcuni brani tratti da un articolo di Cesare Brandi del 1961.
L’ articolo, dedicato al “sacco” di Agrigento, precede di alcuni anni la terribile frana che colpì la città.
L’ articolo è ora riproposto nel volume Il patrimonio insidiato (Editori Riuniti, pagg. 487, lire 45.000).
Vi sono dei luoghi, ma rarissimi, nei quali l’ uomo è come un intruso e deve avere la prudenza di figurarvi il meno possibile. Codesti luoghi non sono, per lo più, luoghi vergini della natura o giganteschi o sterminati: lì il visitatore può trovarsi sperduto, ridotto a proporzioni trascurabili, sicché respinge piuttosto che ne sia respinto, sfugge piuttosto che sentirsene reietto. (~)
Di codesti luoghi uno è la piana dei templi di Agrigento, per la quale dunque si penserebbe che i fortunati abitanti del luogo si fossero in primo luogo proposti di salvaguardarne la bellezza solenne, standone lontano il più possibile: in una parola, dando sviluppo alla città viva nella direzione, se non opposta, la più distante dalla valle dei templi. (~)
Ciò è ovvio, ma non ad Agrigento, dove a tutt’ oggi non esiste un piano regolatore, e dove l’ indiscriminato accrescersi edilizio rassomiglia piuttosto alla crescenza di una bidonville, ma costruita in cemento, che ad un quartiere moderno. La città urge prepotentemente e irrispettosamente ai margini di quella zona di tutela che il soprintendente alle Antichità ha espropriato: espropriazione, come egli stesso scrive in un amaro opuscolo, fatta “con gravi rischi personali“!
Né codesto soprintendente è un allobrogo anzi un agrigentino: sa quel che scrive. La documentazione che ci offre nell’ opuscolo predetto sarebbe tale da indurre alla incredulità e a far pensare al fotomontaggio. Ahimè, si vada ad Agrigento, allora, e si vedrà che non si tratta di un fotomontaggio. Il rione Sottogas rischia di meritare la palma e sì che in Italia, a Roma stessa, ce ne sono di assurdità edilizie e urbanistiche come il più sgradevole, inconsulto, caotico quartiere costruito di recente: non si dice moderno perché l’ arte moderna, l’ architettura moderna, è cosa rispettabile al pari di quella antica. (~)
Ho detto distruzione paesistica e ambientale, e non lo ritiro.
Ad Agrigento, infatti, più ancora delle assurde inserzioni di edifici modernissimi e irriguardosi del tessuto vecchio e modesto ma decoroso dell’ antica Girgenti, è da temere questo soffocamento dello spazio naturale, per cui invece del mare e dei mandorli in fiore non si veda dai templi che i degradanti, sventolanti gran pavesi della biancheria ad asciugare sui tetti e alle finestre delle case. Un solo rapporto è possibile per i templi, quello con una natura la più naturale possibile, senza aiuole e senza viali, una natura di rocce e di alberi, di sassi, di erbe e di viottoli. Già con le strade asfaltate, i piazzali per gli autobus, si è fatto un errore imperdonabile. Ma gli errori si sommano. Più ce n’ è e peggio è. Eppoi gli errori si possono anche rimediare: ma, anche qui, più ce n’ è, e più sarà difficile rimediarli.
cesare brandi