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Agrigento e provincia in una guida del 1889

21 Giugno 2015 //  by Elio Di Bella

girgenti chiesa di san nicola
girgenti chiesa di san nicola

GUIDA GENERALE DI SICILIA E MALTA

3.’ Ediz. CATANIA Niccolò Gìannotta, Editore 1889.
Tip. Rizzo — Piazza Spirito Santo.

Licata. Sorge presso la foce del Salso che divide le
Provincie di Caltanissetta e Girgenti. Si vuole che essa
sorga nel sito dell’antica Finzia, la quale a sua volta

Palma
occupò il posto di una fortezza fenicia. Nel 256 Regolo vi riportò la memorabile battaglia sui Cartaginesi. Più tardi, nel 249, questi vi distrussero un’ armata romana. Una flotta turca devastò Licata nel 1553. La città anticamente era fortemente munita;i due baluardi di Agnera e di Mezzocasale custodi-vano la spiaggia; all’angolo rivolto a Greco sorge-va la torre di Gioetta, e più tardi vi si fabbricò una nuova fortezza. Oggi Licata è in via di sviluppo. La
ferrovia di Canicattì trasporta qui grandi quantità di
zolfi, che s’ imbarcano nel suo porto. La popolazione è di 17589 abitanti.

Il vicino Monte S. Angelo spinge in mare un gran
promontorio, che è l’antico Eknomos, Qui fu il castello di Falaride, dove quel famoso tiranno teneva
il suo toro di bronzo per tormento degli uomini.

— Palma, detta Palma di Montechiaro,
Sorge quasi in riva al mare. Vi vegetano le palme,
che danno il nome al paese, e principalmente i mandorli, il cui frutto è il migliore della Sicilia,

Più a monte di Palma, Camastra, piccola terra altrimenti detta Ramulia, con 1331 ab. e più a monte ancora Naro (10384 ab.) da Nar, fiamma, per i fari che si accendevano sul monte, onde avvertire le circostanti genti della vicinanza di nemici. La terra è antica, come dimostrano molti ruderi e catacombe nelle vicinanze.

Vicino Girgenti, in alto, Favara (371 m. ) il cui
nome deriva forse dall’ arabo, e significa ; sorgente ,
essendovi infatti molta acqua nel territorio. Si crede
da alcuni che i ruderi che si osservano sul monte
a nord-ovest del paese, fra cui una torre detta Cai-tafaraci siano i resti d’una grossa borgata saracena
detta Rojafabar. Favara ha 161 70 abitanti ed esporta gran quantità di zolfo e sommacco. Le vicine miniere contengono pure allume, quarzo, granito ed altre pietre importanti.
. — Girgenti.

GIRGENTI

arrivo il viaggiatore è soggetto alla visita del
bagaglio. Stazione e sbarcatoio sono fuori della città.

Vetture. — Diligenza per la stazione o viceversa ,
L. 2. Si possono pigliare dei posti isolati, per cent.
Col bagaglio L. 0. 75. Una vettura per l’escursione ai templi, per tre ore circa, L. 5. Ogni ora di più L. 2.

Alberghi — Di prim’ ordine: Hotel des Temples tenuto da Ragusa di Palermo, a qualche minuto dalla città, con bel giardino (omnibus alla Stazione ). Poi Alberto Gellia, Via Atenea ; dirimpetto, Albergo Centrale; finalmente: Alberico Belvedere. Albergo Empedocle etc.

Trattorie e Caffè. — Del />V D’ Oro^ via Atenea di Palermo.

Pesta e Telegrafo -Situati in via Atenea.
Teatro Comunale, recentissimo e grazioso.
Guide — Salvatore Messina.

Storia
L’attuale Girgenti è una città moderna e commerciale che non ricorda per nulla l’antica Agrigento. Essa dista qualche chilometro dal mare , dove sorge Porto Empedocle, altra volta Molo di Girgenti, unito alla città dalla ferrovia, per la quale vi sboccano le derrate dell’ interno , specialmente gli
zolfi che s’ imbarcano sopra vapori di tutte le bandiere. La città è sede di prefettura, e conta una popolazione di 2 121 6 abitanti, senza contare i 7743 di Porto Empedocle.

Agrigento {Acragas dei Greci) era, dopo Siracusa, la città più grande, più ricca e più popolata della Sicilia, contando nei tempi della sua floridezza maggiore, fino 800 mila abitanti. Pindaro la chiamò la più bèlla città dei mortali. Essa fu fondata da una colonia di Gelesi sotto la scorta di Aristone e Pistillo 584 anni av. G. C; 167 dopo Roma e appena 108 dopo Siracusa. Il suo nome pare derivi
del vicino fiume; ma si vuole pure dedurre il nome di Agrigento dalla fertilità del terreno circostante.

Le prime leggi con le quali essa venne retta, furono le doriche, e qui si alzavano altari a Minerva di Lindo e a Giove Atabirio. Falaride vi eresse un tempio al Giove fondatore di città , e aiutato dagli operai che impiegava, usurpò il potere, che esercitò tirannescamente. Famoso è nella storia il Toro di Falaride, cioè un toro di bronzo che si rendeva incandescente e su cui venivano adagiati coloro che avevano avuto la disgrazia di dispiacere al tiranno.

Agrigento fu liberata da costui nel 549, da Telemaco dopo il quale si stabilì un governo oligarchico, che Terone mutò nuovamente in tirannide , ma estendendo il suo potere in gran parte di Sicilia, conquistando Imera , battendo i Cartaginesi. I prigionieri cartaginesi furono impiegati alla costruzione della nuova Agrigento, che ebbe un’epoca di
splendore. Morto nel 473 Terone, gli successe suo figlio Trasùieoj che non seppe mantenere il potere.
Allora Agrigento si resse liberamente, ed il sommo Empedocle perfezionò la sua costituzione a base popolare. In quel tempo la potenza della città raggiunse il suo massimo grado; molti suoi cittadini, come Antistene e Gellia, pervenivano a una ricchezza principesca.

Rimasta neutrale fra Atene e Siracusa, fu sconfitta con altre città siciliane dai Cartaginesi. Tradita dai suoi difensori, abbandonata dai troppo molli e voluttuosi abitanti, fu facilmente ridotta a sottomissione da Imilcone ed Annibale, nel 406. Il primo la fece saccheggiare e incendiare, e trasportò gran copia di ricchezze artistiche a Cartagine.

Ricostruita, Agrigento non riebbe 1′ importanza di una volta. Timoleone la restaurò. Durante la prima guerra punica , la città , dimentica della patita offesa, si schierò con i Cartaginesi , contribuendo un numeroso esercito. Ma essa fu continuamente straziata ora degli uni ora degli altri. Nel 262 fu assediata da Romani che se ne impadronirono e costrinsero i Cartaginesi a ritirarsi fino ad Eraclea; ma
più tardi questi tornarono ad impossessarsene. Nella
seconda guerra punica i Cartaginesi vi si mantenne- ro, ed il console Levino non sarebbe riuscito a pren-derla senza il tradimento dei Numidi.

Da allora, Agrigento non si rilevò più. Restò lun-ghi secoli una città di nessuna importanza, di cui la
storia non fa menzione. I Saraceni le trasfusero nuova vita; essi se ne impadronirono nell’ 828 e la preferirono perfino a Palermo. Ruggero la conquistò nel 1086; da quel tempo data la fondazione del suo vescovato, il più ricco un tempo di tutta Sicilia , e che fu tenuto per il primo da S. Gerlando.

CHIESE ED EDIFIZII

La Girgenti moderna presenta qualche monumento degno di essere osservato o pel valore intrinseco o per gli avanzi che vi si trovano.

Cattedral-— La sua costruzione data del XIV secolo, ma quel che oggi si vede è tutto moderno, tranne qualche piccolo resto. Vicino alla sacristia si conserva un interessantissimo sarcofago di marmo , scolpito a bassi rilievi in cui è rappresentata la sto-ria d’ Ippolito. La chiesa ha pure qualche quadro pregevole, fra cui uno di Guido Reni. Dalla cima del campanile, che è rimasto incompiuto, si ha una bella veduta sui dintorni. É curioso anche apprezzare le doti acustiche di questa chiesa ; dove , dal
cornicione al di sopra dell’altare maggiore, si sente tutto ciò che vien detto dinanzi alla gran porta. Gli archivii della cattedrale contengono interessanti do-cumenti per la storia della monarchia normanna.

Nella chiesa di S. Maria dei Greci si osservano gli avanzi del tempio di Giove Polieo che sono fra i più antichi di Agrigento. La chiesa di S. Giorgio rimonta al medioevo, ed ha una porta degna d’attenzione. Un’altra chiesa antica, che rimonta all’epoca normanna è quella di S . Niccolò che si trova fuori città , nella parte meridionale di Girgenti
vecchio.

Il museo contiene diverse collezioni di vasi , di monete (interessanti ) e dei frammenti di scultura provenienti dagli antichi tempii.

La biblioteca fu fondata nel secolo scorso dal
vescovo Lucchesi, e da lui si nomina Lucchesiana ; oggi appartiene al Municipio.

ANTICHITÀ

La principale attrattiva di Girgenti consiste negli avanzi dei suoi splendidi tempii, che si trovano disseminati nel territorio in cui altra volta si stendeva la grande città.

Immediatamente fuori la Porta del Ponte si passa
per un ex convento dei Cappuccini e si perviene alla
rupe Atenea o di Minerva, della cui altezza sulle
circostanti rupi parla Polibio. Di qui si ha una veduta grandiosa, e si scorge all’orizzonte l’isola di Pantelleria. Restano qui poche vestigia del tempio di Minerva (dove perì col fuoco da lui stesso appiccato l’agrigentino Gellia, famoso per la sua splendida ospitalità) e del tempio di Giove Atabirio, nome che aveva in Rodi dal monte Atabiri, e che gli avevano dato, come racconta Polibio, i coloni di Gela, di origine dorica.

Andando verso levante, dove l’estremità della ru-pe fa angolo, si trovano i resti d’un piccolo tempio di Cerere e Proserpina, oggi chiesa S. Biagio.

Più al basso, il Tempio di Giunone e Lucina , che si eleva sopra un immenso stilobato, destinato a conferire all’ edifizio maggiore sveltezza ed imponenza; su di esso i gradini e sul loro alto piano le colonne, che erano 34; ma oggi non ne restano che poche in piedi, e queste con una buona parte dell’architrave sovrapposto. Nel vasto stilobato, in un angolo del lato di tramontana, vi è una piccola porta per la quale si va nell’ interno del tempio; si vedono le porte che davano l’entrata nei corridoi. Qui le mura di Agrigento facevano un gomito, nel qual tratto che ancora sussiste esistevano dei sepolcri, che non debbono rimontare a quell’ epoca , ma ad una posteriore, quando le mura non erano più di difesa alla città distrutta.

A un breve tratto verso ponente, sempre in vici-nanza delle mura, è il tempio della Concordia, quasi tutto conservato, anche perchè servi nel medio evo ad Uso di chiesa cristiana. Esistono tutte le pareti della cella, tutte intere le 34 colonne, con l’architrave e il frontone. La cella ha un’ entrata dov’ è
la porta, è circondata da 28 colonne scanalate e che
posano senza base; esse sostengono il cornicione. Co-
sì il tempio appartiene al tipo dei peripteri doppii.

I sei archi che si veggono nei fianchi della cella so-no aperture posteriori; la cella non aveva mai porte
laterali. Bisogna guardare il monumento in distanza,
e da un luogo basso, per ricevere intera la impressione d’ imponenza, di solidità, di magnificenza che questo tempio, il più ben conservato del mondo antico, ispira.

Seguitando la via lungo le mura, a sinistra, fuori
di esse, s’ incontrano delle catacombe. La leggenda narra che Annibale ordinò di distruggerle e di servirsi del materiale per l’ assedio. Cosi fu fatto, ma quando si arrivò al sepolcro di Terone un fulmine lo colpì, quasi a testimonianza dello sdegno celeste.
Anche la peste infieri nell’esercito, causando una grandissima mortalità, e lo stesso Annibale peri. Imilcone, successogli nel comando, ordinò che si rispettassero d’ allora in poi le tombe, e fece sacrifizii agli dei, per placare la loro ira.
Oltre ancora, il tempio d’ Ercole, che Cicerone dice di aver veduto presso il Foro. Nulla di più bello, aggiunge, che la statua di bronzo di questo Dio, logorata dai baci dei devoti. Verre tentò di trafugarla, ma non vi riuscì. Qui esisteva pure un celebre quadro di Zeusi, e qui si rinvenne una statua d’ Esculapio che si conserva al museo di Palermo.

II tempio era iptero, o scoverto; oggi non avanza
che un mucchio informe di rovine.
In prossimità la porta Aurea, da cui si usciva dalla
città per andare al porto. A breve distanza fuori di
essa un edifizio ben conservato. È formato da uno zoccolo quadrato con base e cornice; sopra un secondo ordine con 4 colonne scanalate agli angoli e poste nel muro ; porte finte nelle quattro faccie, e in alto V ordine dei triglifi che ornano il fregio. L’este-riore è di stile ionico, il sopraornato dorico. L’ in-terno presenta una stanza che corrisponde al secon-do ordine. Si crede sia il sepolcro di Terone, altri dice essere la tomba d’un cavallo.
Scendendo ancora verso il porto, a sinistra, il tempio d’ Esculapio. Tale designazione non è certa; perchè Polibio dice trovarsi questo tempio non da questa parte, ma dall’ opposta. Le rovine consistono in un pilastro e nel resto di pochi scalini. Cicerone dice che nel tempio d’ Esculapio in Agrigento esiste-va la famosa statua di Apollo, nella cui coscia a minute lettere d’ argento si leggeva il nome di Mirone.

Rientrando per la porta Aurea, a pochi passi al nord, il tempio di Giove Olimpio, di cui Diodoro lasciò una esatta descrizione, poiché fino ai suoi tempi si conservava quasi intatto. Il Fazello dice che nel 1401 cadde l’ultima parte che era rimasta ancora in piedi, sostenuta da tre enormi statue di
Giganti o Atlanti, donde il nome che si dà anche all’edifizio di Palazzo dei Giganti, Il tempio era uno pseudoperiptero le colonne essendo incassate nel muro. Queste erano nel numero di 30, formate di pezzi a segmenti di circolo e a cunei, che venivano ad adattarsi con un’altra pietra che costituiva l’asse. Esse erano ricoverte di stucco per nascondere le grandi porosità del calcare. Era questo
il tempio più grande di Girgenti, misurando ili metri di lunghezza e 55 di larghezza, avendo le colonne alte circa 67 metri, e del diametro di 3 e mezzo. Oggi, di questo grandioso tempio non esistono che rovine immense, ammassate confusamente.

Risalendo un poco verso nord, s’ incontra il tempio di Castore e Polluce, oggi ridotto a pezzi di muri, resti di colonne scanalate, etc. Era un periptero a 34 colonne, fra i più piccoli.
Si passa indi per un vallone assai profondo che
si crede essere la Piscina di cui parlano Pindaro,
Diodoro e Ateneo.
Del Tempio di Vulcano, che è fuori le mura antiche, e la cui destinazione ò anche discussa, non restano che due colonne in piedi, senza capitello, e parte dello stibolato.
Sono degne di osservazione le rovine del ponte
sopra la valle detta oggi di S. Leonardo. Si vede
una ineta che si addita come un naturale Ippodromo e il luogo in cui asseriscesi sorgesse il teatro.
Si vedono pure i resti dei Canali Feaci e l’oratorio di Falaride in origine santuario greco , che fu poi mutato in cappella normanna.

Nella parte superiore della città, finalmente, uscendo dalla Porta di Mazzara si trovano i luoghi fortificati da Dedalo. La rocca ha accesso da un adito strettissimo, che poche persone potevano difendere, da ogni altra parte è inaccostabile. Forse i tesori del sicano re Cocalo erano nascosti in quelle lunghe, oscure ed intricate cavità che si osservano, e che Dedalo probabilmente costrusse sul piano del laberinto di Creta.

DINTORNI

È interessante una visita alle Macalubbe o vulcanetti di fango. Essi sono a poco più di 10 chilometri da Girgenti, in una collina argillosa; si può recarvisi sugli asini.

Il terreno è sollevato in pìccoli coni crateriformi, alti meno d’un metro, per le cui spaccature scappa fischiando idrogeno e qualche altro gas. Qualche volta, si osservano getti di fango unito a pietre, che vengono sollevati a una certa altezza. Il fenomeno è simile a quello della Salinella presso Paterno

Una scorsa da Girgenti a Porto Empedocle, a pie- di o in ferrovia, non è da trascurarsi, come pure una visita a qualche miniera di zolfo.

Categoria: Attualità, Storia AgrigentoTag: agrigento guide

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