
E’ stato inaugurato nei giorni scorsi presso il complesso Monumentale di Santo Spirito, nel centro storico di Agrigento, il percorso espositivo “Frammenti di Storia:
Materiali lapidei dell’Età Moderna nelle collezioni dell’ex Museo Civico”.
Una iniziativa curata dalla Soprintendente di Agrigento Gabriella Costantino, in collaborazione tra Comune e la Soprintendenza.
In mostra alcuni preziosi materiali lapidei, provenienti in gran parte da chiese e palazzi non più esistenti, databili dal Rinascimento al tardo Barocco, ceduti in uso perpetuo alla Regione, in consegna al Comune dal 1970, ed esposti negli ambienti dell’ex dormitorio delle monache cistercensi del Monastero di Santo Spirito.
Si tratta di frammenti di storia finalmente recuperati alla memoria e all’identità del nostro territorio e costituiscono una pagina fondamentale del passato della città di Agrigento, forse più celebre per i fasti di Akragas che per le vicende che hanno caratterizzato la sua storia tra il Cinquecento e il Settecento.
La mostra ci offre lo spunto pertanto per riscoprire tre secoli di storia agrigentina ricchi di eventi che hanno segnato profondamente l’identità del territorio.
Per Agrigento il secolo XVI si apre con la vicende del vicerè Ugo Moncada, che si rese famoso in tutta l’Isola per la malvagità del suo operato. Alla morte del sovrano Ferdinando il Cattolico, il viceré Moncada cercò di non rendere pubblica la notizia, poiché avrebbe dovuto subito rimettere il proprio incarico nelle mani del Gran Giustiziere. Ma presto la notizia trapelò e venne scoperto il disonesto inganno.
Moncada sciolse allora il Parlamento siciliano che lo aveva condannato. Le città siciliane, dopo la morte di Ferdinando il Cattolico, cacciarono il Moncada da Palermo. Questi trovò rifugio a Messina da dove intendeva continuare la lotta per assumere il potere. I sostenitori del viceré erano però ancora numerosi nella regione e tra questi vi era anche ad Agrigento Pietro Montaperto. Così la Città dei Templi rimase coinvolta nella guerra civile che scoppiò in Sicilia tra i sostenitori di Ugo Moncada e i suoi molti nemici. Il nuovo re Carlo nominò luogotenente generale Ettore Pignatelli, conte di Monteleone, e lo mandò in Sicilia per riportare l’ordine.
Finalmente nel 1523 gli scontri cessarono e i capi delle rivolte vennero giustiziati a Palermo. Nello stesso periodo una violenta epidemia di peste e la carestia decimarono le popolazioni siciliane. Lo storico Federico del Carretto nel suo opuscolo (Sulla pestilenza scoppiata ad Agrigento nell’anno 1526) ricorda che ad Agrigento morivano da 20 a 60 persone al giorno e si giunse anche a contarne fino a cento in un giorno.
La città di Agrigento poi rimase coinvolta nel famoso “caso di Sciacca”, perché la nobile famiglia agrigentina dei Pujades, con il suo maggiore esponente, don Michele, si schierò nel 1529 con il conte Sigismondo Luna e contro Giacomo Perollo, pur essendo imparentato con quest’ultimo.
Matteo Pujades intervenne nella disputa assicurando al suo alleato il sostegno di 50 cavalieri agrigentini, ma poi si adoperò, molto saggiamente, per mettere fine alla guerra e conciliare le parti, ma senza successo. Di atrocità in atrocità il “caso di Sciacca” si chiuse con l’affermazione della famiglia Perollo e dei suoi sostenitori. Pertanto l’agrigentino Matteo Pujades venne arrestato e messo in prigione per tutta la vita.
Il secolo XVI viene inoltre tristemente ricordato per le numerose incursioni barbaresche che flagellavano le coste della Sicilia.
Anche il litorale agrigentino era funestato dagli attacchi vandalici dei pirati berberi e le mura della città vennero più volte attaccate e danneggiate.
Una nuova epidemia scoppiò a Girgenti (così si chiamava allora la città di Agrigento) nel 1575 e fu particolarmente devastante, mettendo in ginocchio l’economia locale. Tra il 1570 e il 1583 la popolazione siciliana diminuì di quasi centomila abitanti. Non passerà mezzo secolo e nel 1624 la peste tornerà a colpire e a mietere vittime.
Nell’autunno del 1647 la popolazione agrigentina si sollevò e incendiò le case del giurato Baldassare Giardina e di Corrado Montaperto. La città era senza frumento e con pochissimi viveri. Da più d’un anno la siccità aveva impoverito le campagne. Vennero saccheggiati i mulini e le case dei ricchi, mentre dalle carceri vennero fatti fuggire i prigionieri. Una delegazione chiese al Vescovo di mettere a disposizione delle famiglie il raccolto conservato dalla Curia, ma monsignor Traina pretese un prezzo molto elevato e quindi il popolo attaccò il palazzo episcopale alla ricerca di viveri. Le cronache del tempo dicono che venne trafugato un tesoro di quarantamila scudi. Il Vescovo fuggì e chiese aiuto alle autorità. Venne inviato a Girgenti il nobile Giuseppe Montaperto, marchese di Raffadali, con l’incarico di ristabilire l’ordine. Il marchese compì con molto scrupolo il suo lavoro e con metodi molto sbrigativi riuscì a catturare i capi della rivolta e li fece decapitare.
Nel 1648 il cardinale Trivulzio, viceré, decise di vendere qualche città demaniale per le ristrettezze delle finanze pubbliche e pertanto anche Girgenti venne messa all’asta e venduta al prezzo di 120 mila once al vescovo di Girgenti. Il re però un anno dopo annullò la vendita e volle che Girgenti tornasse al demanio pubblico.
Dopo la scomparsa di Filippo IV, nel settembre del 1665 divenne re Carlo II. Il novello sovrano volle compiere una visita tra le città della Sicilia e giunse anche a Girgenti dove venne accolto molto cordialmente. All’inizio del secolo successivo anche Filippo V ricevette i medesimi onori.
Trascorso il breve periodo della dominazione del duca di Savoia (durante il quale la città soffrì per l’interdetto), nel febbraio del 1720 la Sicilia veniva ceduta all’Austria e Carlo VI tornò ad imporre nuove tasse, nonostante che per una grave carestia in tutte le città si soffrisse molto la fame. Finalmente nel 1734 Carlo III di Borbone s’impadronì della Sicilia Il. Il dominio spagnolo sarà di nuovo lungo e ben poco amato.
Anche se non mancarono altre difficili prove (una nuova carestia afflisse la città nel 1785), per Girgenti comunque il secolo XVIII si è rivelato particolarmente importante anche per l’opera intensa, generosa e costruttiva dei vescovi Lorenzo Gioeni e Andrea Lucchesi Palli.
Tutti eventi che la mostra che oggi si inaugura nei locali del monastero di Santo Spirito ci racconta, attraverso preziose testimonianze architettoniche e scultoree afferenti a monumenti perduti, un passato della città certamente lontano nel tempo ma la cui ricostruzione è fondamentale per la comprensione anche della storia locale più recente.
Elio Di Bella