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Agrigento Costumi ed Usanze

1 Aprile 2015 //  by Elio Di Bella

costume di agrigento nella figurina dei dai liebig
costume di agrigento nella figurina dei dai liebeg

di Elio Di Bella

Ricorda lo studioso agrigentino Francesco Paolo Diana che prima del 1860 a Girgenti a nessun proprietario veniva in mente il pensiero di fare intonacare, arricciare o imbiancare il prospetto della sua casa, di togliere le rugosità o i crepacci dei muri, di costruire un appartamento, un secondo piano. Proprietari, professionisti e impiegati abitavano colle famiglie, anche numerose, in tre o quattro camere. Per molti di esse la stanza di ricevimento era quella da letto.

“La vita dei nostri padri era in generale casalinga e grossolana. Il contadino possidente viveva in una stanza terrana priva di luce e di aria, insieme col mulo o con l’asino e le galline. Anche gli usi e i costumi – scrive il Diana – sono fra noi modificati (dopo il 1860) o cambiati. Il vestire degli uomini era semplice e assai modesto; i nostri progenitori non si piccavano tanto di eleganza e di moda: avevano, in generale, un abito per l’estate e un altro per l’inverno. Anche le classiche operaie vivevano alla carlona.

I contadini portavano giacca corta e stretta, pantalone pure stretto e corto, affibbiato ai due lati dei ginocchi, trattenuto da una sciarpa di cotone di vario colore, e calze a maglia di cotone bianche e scarponi, o con calzone corto e stivali sino al ginocchio. Si coprivano il capo con berretto lungo, a maglia di cotone, bianco, o di filo nero, o di seta nera, con in punta un fiocco di fili dello stesso tessuto, che pendeva sulla spalla, ma col berretto. Anche gli operai vestivano così, escluso il cappello molle”.

Prima del 1860 sarebbe stato uno scandalo vedere per le vie della città donne giovani senza il padre, il marito o il fratello. “Oggigiorno – ricorda ancora lo storico Diana – escono sole, e anche le ragazze vanno sole alla scuola complementare o alla normale, al ginnasio o al liceo.”

“La colazione e il pranzo dei nostri padri erano frugali, di cibi semplici. I dolci, per esempio, “si mangiavano nella festa di natale e negli sponsalizii, manipolati dalle monache dei monasteri”.

Parlando con persone nobili o in genere potenti si usava dire “Voscenza” (Vostra Eccellenza) usando il voi durante il discorso. Se l’interlocutore al quale spettava il titolo di voscenza era un napoletano, o comunque uno straniero si usava il “lei”. Vossia (Vostra Signoria), “signurinu” e “signurina” si usavano più spesso tra il popolo.

Se poi tra i soggetti esisteva un rapporto di lunga amicizia e di stima o di confidenza, “signurinu” e “signurina” venivano cambiati con “don” o “donna”, per rispetto. Il “don” poi si dava sempre ai sacerdoti, ma poi si diffuse, anche per indicare un membro dell’alta borghesia e si poteva acquisire pagando una tassa. Nei confronti del ceto più basso si usavano gli appellativi “mastro”, “gnu”, “gnuri” (signore), “gna” o “gnura” (signora). Per cui per rispondere affermativamente o negativamente si diceva “gnursì” o “gnurnò”.

Categoria: Attualità, Storia AgrigentoTag: agrigento storia

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