L’origine della città è narrata da Tucidide: sul sito già occupato dai Sicani, era una sub-colonia fondata dai gelesi circa un secolo dopo Gela stessa (ca. 584-580 a. C.) nei pressi del fiume Acragante (delle Canne) da cui dedusse il nome. Polibio la descrive naturalmente difesa dall’alta rupe su cui sorge; la difesa naturale fu integrata dalle mura – rinforzate da Falaride e da Terone dopo l’assedio cartaginese (480 a.C.) – e da una rocca accessibile dalla città con una sola porta costruita all’estremità est sul sito dell’antica Camico, qui situata da Strabone. Agrigento crebbe rapidamente d’importanza ampliando il proprio territorio d’influenza fino ad Himera e stringendo anche alleanze parentali: Terone era infatti genero di Gelone tiranno di Siracusa. Timoleone, vinti nuovamente i cartaginesi nel 340 a.C., restaurò la città devastata dai saccheggi e venne quindi onorato come secondo fondatore. Dopo la conquista romana (262 a.C.) e il governo bizantino, cadde in mano agli Arabi (825) che si arroccarono sulla collina occidentale. Il conte Ruggero (1087) ordinò la costruzione del castello rinforzato con torri e propugnacula e la elesse sede vescovile.
Il geografo Idrisi descrisse Agrigento alla metà del XII secolo difesa da una eccelsa e forte rocca … e ridente di orti e giardini, associando le due immagini di forza e di giardino celeste tipiche della cultura araba. All’epoca la cittadella aveva perimetro subcircolare e un assetto viario che, nei numerosi vicoli ciechi, rifletteva la matrice araba, ancora oggi riconoscibile. A S. Gerlando, protovescovo nominato da Ruggero nel 1093, si devono la fondazione della cattedrale (1096-1102; ampliata e modificata nei secoli successivi) con la torre di levante (campanile) e il restauro delle difese; la vicina fortezza si dice costruita da Gualtieri, successore di Gerlando. Nello scorcio del XIII secolo e nel XIV, indotti dalla continua minaccia araba e dal lungo e incerto conflitto tra Angioini e Aragonesi, gli agrigentini prestarono particolare attenzione all’assetto difensivo; a Federico II Chiaramonte appunto si deve il riassetto delle mura e l’integrazione del circuito, compiuto tra il 1294 e il 1299, estendendolo verso est a comprendere l’intero nucleo urbanizzato oramai raddoppiato. Città demaniale, nel 1361 fu concessa da Federico IV d’Aragona a Federico III Chiaramonte.
La nuova città murata si sviluppava in direzione est-ovest sulla cresta della “collina di Girgenti”, già difesa naturalmente a nord dalla balza; era collegata al borgo ad est, ugualmente murato, con una porta aperta nel punto di tangenza. Le mura erano articolate da nove torri a pianta quadrata ed erano aperte con dieci porte ad unico fornice affiancato, nelle principali, da un’apertura minore.
Le difese della città erano integrate da una torre sul mare a presidio del porto caricatore granario. Sul luogo, per iniziativa del vescovo Ugo Giorni, alla metà del ‘700 si sviluppò il nuovo borgo, cui fu dato il nome del filosofo agrigentino Empedocle.
Il Negro e il Ventimiglia nel loro Atlante del 1640 descrissero Agrigento ancora circondata da buoni muri con suoi parapetti, è fiancheggiata bene dai torrioni all’antica … Il borgo è sotto la città et è pure fortificato dalla natura con le balze … verso il mare la città fruisce di cannoniere … e … parapetti … con molta raggione accomodati; lamentano tuttavia il fatto che le case oramai addossate alle mura e il cattivo stato di queste non consentano il passaggio della ronda e non assicurino di conseguenza buoni avvistamento e difesa. Un secolo dopo l’Amico vide ancora conservata la maggiore e principale parte delle mura e delle torri che sorgono per intervalli; sull’altura, il castello era adibito a carcere.
I nomi delle porte sono leggermente variati nelle fonti: a nord sono le porte dei Cavalieri-fatta dal Vescovo accanto alla Cattedrale, la Bibirria-Biberria e la Gioiosa-S. Maria degli Angeli; a est sull’asse longitudinale principale la porta del Ponte; a sud le porte Panitteri-Panettiera, dei Saccari-Pastai, di Mare e di Mazzara; a ovest la porta del Rabato-del Borgo; due ulteriori porte sono ricordate solo da alcune fonti: la porta del Marchese presso la porta del Ponte e la porta del Notar Andrea tra le porte dei Panettieri e dei Pastai.
Già nel 1858 la porta del Ponte era allo stato di rudere brutto avanzo dell’età di mezzo (Di Marzo) e fu demolita; al margine sud ancora rimanevano resti delle mure greche in opera isodoma reimpiegate nelle epoche successive, ma tra il 1860 e il 1927 furono abbattute in occasione della realizzazione della ferrovia e stessa sorte subirono torri, porte e lunghi tratti di mura. Restano ancora ampie porzioni delle mura nord tra il bastione del seminario e la chiesa di San Michele lungo la via delle mura, inoltre le porte dei Panettieri (restaurata), dei Pastai, di Mare e dei Cavalieri con la vicina postierla, mentre del castello sopravvivono insignificanti lacerti illeggibili tra il duomo e il sito di porta Bibirria dove ulteriori demolizioni sono state compiute in occasione della costruzione del serbatoio idrico. E’ discretamente conservata la Torre del Caricatore, il grande castello a mare.
Lo stemma di Agrigento ricorda il tempio di Zeus Olimpio proponendo tre giganti a reggere una fortezza con tre torri merlate.
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