instancabili lavoratori i campani, costruirono fondachi a Porto Empedocle e aprirono negozi di ogni genere
Gli Amalfitani ad Agrigento
Sarebbe sembrato per caso o per libera scelta dei diretti interessati che quei negozi gestiti dai “Napoletani” fossero ubicati lì dove tutti da sempre li avevano visti con i loro proprietari incollati ai banchi di vendita.
In verità quegli instancabili lavoratori avevano obbedito ad una precisa strategia intesa scientemente a presidiare la città e non soltanto la nostra città.
Certo qualcuno nei decenni precedenti aveva fiutato l’aria e con l’aria aveva fiutato la reale possibilità di estendere il proprio mercato in quella zona vergine ove i negozietti di alimentari erano così sprovvisti che se anche avessi avuto voglia di comprare qualcosa non ti sarebbe stato possibile.Niente salumi o insaccati misti che non appartengono alla nostra cultura gastronomica, niente formaggi se non quelli di produzione locale con l’eccezione del caciocavallo ragusano.
E allora bisognava aprire alcuni negozi, pochi in verità, ben dislocati proprio come una rete, neppure tanto fitta, ma rete per la distribuzione di ciò che in zona neppure si produceva e che quindi avrebbe offerto sbocco al produttore per smerciare con una certa facilità.
Erano venuti dal mare questi novelli “Fenici”ed il loro Emporium non sarebbe stato più alla foce dell’Akragas ma un po’ più ad ovest, al molo di Girgenti, dove ora più facilmente sarebbero approdate le loro “barche”, che non venivano certamente solo per scaricare mortadelle e provoloni ma quelle “barche” erano sempre venute per lo zolfo e per il gesso.
Gli insaccati e gli altri prodotti costituivano un riempitivo che tanto comodo faceva agli armatori del tempo che erano Amalfitani che non potevano aver dimenticato la storia della stupenda Repubblica Marinara dei loro padri. I “geni” sono nel sangue ed è difficile rimuoverli
Chi erano? Identifichiamoli un po’ al loro primo approdo. Si chiamavano Milano, Testa, Falcone quelli che per primi, a Portempedocle costituirono i primi “fondaci”.
Il fondaco era magazzino, ufficio di amministrazione,ed era anche alloggio per quei ragazzini a cui era stato promesso onesto e redditizio lavoro. Ma siamo ai tempi di “Ciaula” quel caruso di miniera che scopre la luna .
C’è però una sostanziale differenza tra Ciaula ed i ragazzini dei quali stiamo parlando perchè i piccoli amalfitani , e non napoletani come vennero sempre detti, se è vero che non erano protetti dalle leggi dello stato che in materia ancora era all’età della pietra, è anche vero che i loro datori di lavoro erano delle persone di estrema correttezza che manterranno anche a distanza di molti anni le promesse fatte.
E questi ragazzi lavorano e le loro paghe vengono accantonate dai loro padroni i quali costituiscono un “monte” che con certezza verrà loro restituito subito dopo il servizio militare,
Ed allora i ragazzi diventeranno anch’essi padroncini e proprietari del negozio che verrà aperto a loro nome e con i loro stessi risparmi.
Nessun problema ovviamente per i rifornimenti che soddisfacevano grossisti e dettaglianti.
E intanto al fondaco arrivavano le nuove leve che avrebbero fatto la stessa trafila : avrebbero lavorato sodo da garzoncini e poi anche loro, dopo il servizio militare avrebbero avuto il loro negozietto
Io non so, ma ritengo che la disciplina doveva essere rigida ed il giudizio dei datori di lavoro insindacabile se è vero che le zone di esercizio venivano scelte proprio insindacabilmente dai padroni che certamente avevano avuto durante il corso di apprendistato la opportunità di valutare le capacità “imprenditoriali” di ciascun ragazzo. E da ciò dipendeva l’assegnazione di un paese piuttosto che di un altro e di un quartiere di città piuttosto che di un altro.
Ed i negozi di Agrigento erano stati affidati ai due fratelli Ruppolo: don Vincenzo in via Lena e don Luigi in Piazza Municipio; Don Vincenzo Camera in via Duomo e i Proto: a S. Antonio don Natale e Don Ciccio al “Pojo”di S. Michele. E i Gambardella uno in via Garibaldi e l’altro a S. Pietro.
A don Matteo Afrone toccò via Atenea, come a don Ciccio Ingenito che ci deliziò con il buon odore del caffè che tutte le sere tostava (atturrava) proprio davanti la stessa porta del suo negozio.
Quando finiva di tostare il caffè continuava per passatempo a tostare i semi di zucca: a “simenza” senza sale e non dispiaceva quella mancanza di sale.
Ma intanto i “napoletanini” divenuti imprenditori potevano prendere moglie e mettere su famiglia. E allora nel calore della Famiglia affioravano le nostalgie, ma non c’era molto tempo da dedicare ad attività di questo tipo certamente poco redditizie e perciò senza nulla rubare al lavoro il giorno di S. Andrea il protettore di Amalfi, dopo essere stati a messa, sempre a S. Pietro, si riunivano nella casa che ognuno di loro a turno metteva a disposizione e qui si consumava una colazione simile a quella che nello stesso giorno veniva consumata ad Amalfi. E poi senza alcuna altra concessione o indulgenza si salutavano con affetto ed i negozi alle ore otto erano già tutti regolarmente aperti.
Chi ci seppe fare e non furono pochi, potè, a costo dei sacrifici dei quali abbiamo già parlato costiture capitali e ricchezza, ma la fortuna certamente non arrise a tutti.
Questo il racconto che a due riprese mi ha fatto Emilio Afrone ed a me il racconto è sembrato poesia.
La veste non so, la sostanza rimane poesia.