di Elio Di Bella
Nei secoli XIV e XV la storia della Sicilia è caratterizzata dall’anarchia baronale. Alla morte del sovrano Federico IV il semplice, avvenuta a Messina il 27 luglio 1377, l’autorità sovrana si trasferì in una fanciulla di quindici anni, Maria, contro le ambizioni di Pietro IV d’Aragona che rivendicava per sé il diritto al trono. In mancanza di una diffusa democrazia cittadina, i grandi baroni dell’Isola rappresentarono l’unico autentico potere politico, fino a quando non riuscirono ad imporsi gli Spagnoli. Una delle maggiori famiglie dell’epoca, la più illustre ed importante, fu quella dei Chiaramonte, di origine normanna (infatti il nome deriva dal francese “Claire- Mont”), che già nel secolo XI deteneva grandi feudi a Capua e in Basilicata.
Durante il periodo angioino, i Chiaramonte si trasferirono in Sicilia ma contribuirono all’affermazione degli Aragonesi. Stabilitisi nella città demaniale di Girgenti (Agrigento), dal matrimonio tra Federico I Chiaramonte e la girgentina Marchisia Prefoglio nacquero tre figli, Manfredi, Giovanni I, detto il Vecchio, e Federico II, che avviarono quell’ascesa familiare che li farà divenire la più potente famiglia dell’Isola al tempo degli Aragonesi.
Manfredi divenne, infatti, conte di Modica e Caccamo e Gran Siniscalco del Re; Giovanni fu Conte di Chiaramonte nella Val di Noto e si distinse nella guerra del Vespro e infine Federico II ebbe la signoria di Racalmuto e Siculiana.
Tra alterne fortune, i Chiaramonte, prima schierandosi contro i francesi, che insistevano nei loro tentativi di riconquistare l’isola, e poi capeggiando la resistenza contro l’aristocrazia catalana immigrata, furono al centro degli eventi del secolo, fino alla rivolta contro il re Martino I.
Andrea, uno dei discendenti di Federico I, fu catturato e decapitato a Palermo nel 1392, segnando così la fine di questa illustre casata.
Ma i rampolli di questa illustre famiglia vollero primeggiare in quegli anni anche in mecenatismo, volendo forse continuare in Sicilia quello splendido rapporto di protettorato militare e culturale che i loro ascendenti normanni ebbero con i grandi Pontefici del passato. A quegli eventi è legata la realizzazione ad Agrigento di uno dei più bei monumenti del periodo chiaramontano: il monastero di Santo Spirito.
Dal documento originale di fondazione e donazione del partenio di Santo Spirito risulta che donatrice ne fu Marchisia Prefoglio, moglie di Federico Chiaramonte. Così attesta infatti l’atto di donazione del 27 agosto 1299 stipulato presso il notaio Giovanni di Amarea di Girgenti (interamente trascritto dallo storico Inveges): “Ea propter nos Marchisia de Prefoglio… de nostro patrimonio fundavimus seu fundari facimus in praedicta civitate agrigentina infra eius moenia quoddam Monasterium Sancti Spiritus noncupatum” (Quella dinanzi a noi Marchisia Prefoglio… del nostro patrimonio abbiamo fondato e faremo fondare in detta città agrigentina dentro le sue mura un Monastero di Santo Spirito). Da cui si evince innanzitutto che il monastero era gia esistente ed era stato per suo volere costruito, mentre il rogito che viene citato nell’atto attesta che era gia abitato nel 1299 (“in quo quamplures mulieres moniales et honestae commoratur”: in esso si fermano molte monache nobildonne e oneste).
La donazione veniva fatta a favore di Roberto, abate di Santo Spirito di Palermo, e a frate Taddeo di Aversa, commissario del monastero di Casamari e comprendeva, oltre al Monastero, alcune terre e case, comprese una bottega e due mulini, i censi di 28 case ubicate nei pressi del monastero, cinque schiavi, vari capi di bestiame, buoi, ovini, suini, cavalli.
Purtroppo, essendo andato distrutto l’archivio per l’incuria di chi avrebbe avuto interesse a conservarlo, la documentazione è scarsa e le lacune storiche, nel ricostruirne la vita attraverso i secoli sono numerose. Le fonti ad esempio nulla ci dicono intorno a coloro che parteciparono alla costruzione di questo straordinario monumento.
Da un’antica giuliana (calendario) esistente nell’archivio del Monastero risulta con certezza che esisteva nel 1295 una comunità formata ed operante ed il fabbricato era stato costruito o era in via di ultimazione, poiché due atti notarili stipulano la donazione ad esso di due case e la permuta di alcune fosse e di una pagliera con terreno vacante. Si tratta di un atto del gennaio 1295 del notaio Pietro de Vanusio che attesta che un certo Salvo e Giovanna di Turano donarono al Monastero agrigentino due case del borgo di San Francesco e l’anno seguente perfezionarono la donazione con la “permutatio della medietà di terra vuota coi limiti di una botteca e di un palazzo” che si trovavano nel borgo di san Michele.
In quel tempo esisteva una tradizione benedettina e cistercense in Girgenti e nel suo territorio, un Nicolò Chiaramonte, Vescovo di Tuscolo e cardinale al tempo di Onorio III, apparteneva all’ordine dei Cistercensi; ciò spiega il fatto che la nobildonna, nel fondare il grande Monastero di vergini di Santo Spirito (come lo chiamano il Mongitore e l’Amico), chiedesse che questo andasse soggetto alle dipendenze dell’Abate del Cenobio di Casamari.
Come Casamari, questo Monastero divenne centro e focolare di cultura intellettuale. Sappiamo che nel 1321, quando esso contava già 15 monache, era sede di attività di insegnamento, di “lettura e di abaco per le figliole di gentili homini e persone di abeni”, come recita un documento del 1400, esistente nell’Archivio di Stato a Palermo.
Occorre inoltre ricordare che il Monastero era stato ubicato sul luogo dell’antico Steri (palazzo) della famiglia Chiaramonte. Probabilmente esso è stato demolito e dalle sue ceneri è sorta la nuova costruzione. Ma può è probabile anche che sia stato adattato o integrato. Gli studi sugli elementi architettonici non ci sono di alcun conforto intorno a queste ipotesi. Nel 1310 Manfredi Chiaramonte, uno dei figli della Prefoglio, ottenne dal Vescovo Bertoldo de Labro l’autorizzazione a costruire per la sua famiglia un nuovo Steri presso la Cattedrale (oggi ospita il Seminario vescovile).
Dalla tradizione è risaputo poi che fino al tardo secolo XVIII, il Monastero ha avuto vita gloriosa e le venerabili Abbattesse appartenevano alle famiglie che per nobiltà primeggiavano in Sicilia.
I maggiori monumenti edificati dai Chiaramonte ad Agrigento furono: lo Steri, il Monastero e la Chiesa di Santo Spirito ed i conventi di san Domenico e di san Francesco; a Palermo invece furono: il Chiostro di san Domenico e le Chiese di Sant’Agostino e San Francesco.
In tutte queste opere si possono riscontrare i segni dell’arte chiaramontana che ebbe grande sviluppo durante il 1300.
“Portali e finestre sono gli elementi con cui preferisce esprimersi questa maniera artistica – scrive Andrea Carisi -. Infatti, principalmente in queste costruzioni, come, anche se in parte minore, nelle opere architettoniche, si può notare in che modo lo stile chiaramontano fosse costituito da residui latini e bizantini, soluzioni tecniche e manodopere arabe, stili mormanno-svevi, influenze aragonesi e catalane, debitamente mescolate, individuabili in un particolare o in un altro, fanno del complesso monumentale, qualcosa di eclettico che ritrova proprio in questo eclettismo l’elemento caratterizzante e unificante delle costruzioni chiaramontane in particolare, e di tutta l’architettura siciliana del 1300 in genere, sino a costituire un modello suggestivo per i secoli successivi.
La pianta basilicale latina, le nicchie arabe, le finestre goticizzanti, l’uso dell’arco e della volta arabo- normanna a struttura incrociata, l’esterno dove i vuoti delle finestre, benché frequenti ed ampi, non contraddicono l’uniformità e la maestosità dei muri esterni, ma evidenziano la natura composita della comunità cittadina di allora”.
E’ assai difficile comprendere oggi quale articolazione avesse la pianta dell’edificio in origine, poiché specialmente negli ultimi tre secoli sono state apportate numerose modifiche sulla primigenia struttura.
L’intero complesso sorge su una piazzetta quasi quadrata ed è costituito da una Chiesa ad unica navata e dal Monastero composto da ambienti in doppia elevazione.
La facciata dell’edificio, prospiciente sulla piazzetta, è stata profondamente alterata per l’aggiunta del piano più alto rifatto in stile barocco; così come la torretta campanaria della chiesa annessa al Monastero.
La parte monumentale del fabbricato antico che è pervenuta ai nostri giorni presenta un piano terreno ed un primo piano. Il piano terreno è costituito soprattutto dalla cappella ed accanto dall’aula capitolare (di metri nove per otto).
Nella facciata barocca della Chiesa spicca il bellissimo portale a sesto acuto, largamente modulato con triplice archivolto, di stile chiaramontano e sormontato da un ricco rosone. Nel Seicento è stata aggiunta la cella campanaria.
L’interno si sviluppa a pianta rettangolare ad una navata, con soffitto cassettonato e con la cantoria nella parte anteriore, sostenuta da quattro colonne. Sulle pareti, dentro quattro quadroni dietro l’altare maggiore si stende il candido manto delle sculture in stucco di Giacomo Serpotta. Le scene raffigurano episodi del Nuovo Testamento : la Natività, l’Adorazione dei Magi, la Presentazione al Tempio, la Fuga in Egitto. Nella superficie di fondo della parete centrale è rappresentata la Gloria con il Padre Eterno, la colomba dello Spirito Santo e le figure dei Santi Bernardo e Benedetto.
“In questi stucchi, tutti eseguiti con la tecnica dell’altorilievo, figure di putti, simbolo della vita al suo nascere, sgusciano per ogni dove, nel tripudio naturalistico delle loro carni grassocce, in una sarabanda di addobbi, panneggi e cartocci di un festoso spettacolo di gioia e ottimismo sfrenatamente infantile, ma maestosamente sacro nella sua liturgia” (Andrea Carisi).
Completano l’interno dell’edificio sacro la cappelletta a volta costolonata destinata a sepoltura di Giovanni Chiaramonte (che è però visibile dalla chiesa solo attraverso una grata e non è possibile visitarla); il coro (assai diverso oggi dal primitivo a causa di numerosi e deformanti interventi); una statua di Madonna con bambino di stile gaginesco, un crocifisso e un gruppo marmoreo con la Madonna che consegna il rosario ad un santo.
L’insieme della fabbrica del Monastero prospiciente il Chiostro comprende un piano terreno e da un primo piano. Al pianterreno troviamo la cappella, l’aula capitolare e il salone refettorio. Il primo piano è composto dal dormitorio e dagli ambienti destinati all’abadessa e alla Priora. La cappella è costituita da un unico ambiente, con l’abside ricavata nello spessore del muro e bellissima volta a crociera con costoloni a sesto acuto e vele di volta in mattoni pieni, posti di piatto, legati con malta a rapida presa. Essa oggi ospita un artistico presepio realizzato dall’agrigentino Roberto Vanadia, che riproduce la sacra scena come se avvenisse in un quartiere della vecchia Girgenti. Il portale di ingresso alla Cappella è ornato con doppio archivolto.
Sempre al piano terreno si trova l’aula capitolare (di metri 9 per metri 8), fiancheggiata da due bifore davvero sontuose e attraversata da ampi archi ogivali. Essa presenta tra l’altro sulla parete di fondo un bellissimo arco finemente sagomato.
Anche l’ex refettorio (di metri 36 di lunghezza per metri nove di larghezza), si trova su piano terreno ed è anch’esso quest’ultimo caratterizzato da poderosi archi a sesto acuto mensolati che reggevano le travi dell’antico solaio del soprastante salone e che reca sulla parete di fondo un bell’arco finemente sagomato. Tali archi non sono originari perché vennero rifatti da certo mastro Calì che li data e firma 1621, come si legge nella tavoletta di pietra murata sulla parete frontale del vano rispetto il portone d’ingresso (fecit 1621 magistro Jacobo Cali).
Da un grande portale, e sempre dallo stesso prospetto, si accede, per mezzo di due rampe di scale, al piano dell’ex dormitorio. Questo vastissimo vano si presenta con lo stesso ordine di archi a sesto acuto ma anche queste strutture non sono originarie perché egualmente ricostruite. Il soffitto è cassettonato ed alle pareti vediamo numerose nicchie, che venivano probabilmente usate come ripostigli.
Sono comunque i portali, le bifore, le monofore, gli elementi decorativi che offrono la maggiore suggestione. L’elemento gotico invade qui i capitelli, gli archi tanto ricchi di decorazioni e di linee spezzate. Si rimane incantati dinanzi agli archi delle due finestre bifore aperte nel largo spessore del muro e costituite da snelle colonnine con i capitelli uniti da un solo abaco.
“Uno spirito potente pervade e impiega le strutture, eroga o trattiene le tensioni, modella le sfaccettature, imposta i costolini e gli archivolti, intaglia gli ornati, eleva le colonnine radenti, determina i piani di luce e i colori. Antiche e tradizionali maniere come gli zigzag o denti di sega, vengono riconquistate in termini di memoria illuminante, di sunto potente presupposto al fasto di una nuova fondata coscienza delle cose, all’impiego della ricchezza” (S. Biondi).
Il monastero agrigentino è stato innalzato alla condizione di monumento nazionale per la notevole importanza storica ed artistica.
Durante la seconda guerra mondiale alcune bombe danneggiarono il monastero e da allora per diversi decenni ha conosciuto solo una triste storia di abbandono che non faceva onore alla città. Finalmente negli ultimi anni intensi lavori di restauro hanno recuperato in gran parte la struttura che attualmente ospita alcune sezioni del Museo Civico di Agrigento ed è destinata a diventare un importante centro polifunzionale e sede di altre sezioni del museo. Anche le abitazioni delle suore sono state ristrutturate.
DI ELIO DI BELLA