Resa dei conti nel piccolo paese di Santa Elisabetta dopo un delitto
Per le vie di Santa Elisabetta (1) c’era un via vai insolito. La strada principale era piena zeppa di gente: i paesani divisi in gruppi e in capannelli discorrevano animatamente tra di loro, le donne, in ispecie, facevano un casa del diavolo.
Che cosa era successo perchè in quel villaggio, altre volte sì tranquillo, in quel momento ci fosse tanto trambusto ?
La gna (2) Peppa, che abitava nel suo campo non molto lungi dal paese, era stata assassinata insieme al figlio di due anni; l’uccisore, derubatili, li avea gettati in un burrone vicino.
Erano stati trasportati nella chiesa, e tutti alla vista di quei cadaveri mutilati e sfracellati, rabbrividivano e gridavano vendetta.
— Giustizia, gridava una vecchia megera, bisogna far giustizia!
E tutte le altre donne le facevano eco.
— Sì, diceva un grosso compare, la giustizia bisogna farla; ma chi è stato l’uccisore?
— È stato Caluzzo, è stato Caluzzo! si diedero a gridar molti. Caluzzo era un giovinastro, uscito da poco dal carcere, sul quale cadevano gravi sospetti di altri reati, che da qualche tempo venivano commessi in paese.
— Giustizia, giustizia! gridarono allora tutti, bisogna prender Caluzzo, bisogna prender Galuzzo!
E il frastuono ed il trambusto andavan vieppiù crescendo.
Se Caluzzo fosse stato in mezzo a quella calca, senza dubbio l’avrebbero conciato per le feste; ma egli si era nascosto e nessuno sapeva dove si trovasse.
Perciò la folla cominciò a farsi di mano in mano sempre più rada; quei paesani si separarono un po’ più calmi, ma convinti in cuor loro che Caluzzo fosse stato l’uccisore della gna Peppa e di suo figlio.
Poco dopo per le vie di Santa Elisabetta s’incontravano soltanto poche persone: la calma era ritornata nel paese, ma era quella calma che precede la tempesta.
Passarono tre giorni; però nulla ancora si sapeva dell’uccisore.
Caluzzo, dopo essere stato tre dì nascosto, vedendo che non venivano a prenderlo, fra sè stesso disse: Se nessuno lo sa, tanto meglio per me.
E ritornò a Santa Elisabetta, come se non avesse fatto niente; e nello stesso giorno andò nella taverna di mastro Pietro ove molto bevve e giuocò con altri dissoluti e vagabondi come lui.
Avendo perduto, si adirò straordinariamente, e ubbriaco, com’era, si mise a gridare e a strepitare; l’avea con Turiddu, con quel muso di porco che gli truffava sempre i suoi denari, l’avea………………………………………..
— Sì, i denari che hai rubato alla gna Peppa, saltò su Turiddu.
— Ah! per la madonna santissima! gridò Caluzzo e, tratto un lungo coltello, gli si scagliò addosso; ma i compagni gli fermarono il braccio e gli tolsero il coltello.
Frattanto dinanzi alla taverna s’erano raccolte molte persone, attirate dal chiasso che si faceva lì entro.
Turiddu, uscito fuori, cominciò a gridare a squarciagola: Bisogna far giustizia dell’assassino della gna Peppa e di suo figlio.
E la folla ingrossava sempre; s’udiva qualche grido di esecrazione e di vendetta.
Caluzzo, che aveva inseguito Turiddu per ucciderlo, si trovò in mezzo a quella calca; volle rientrare nella taverna, ma non n’ebbe più il tempo.
In questo mentre la vecchia, la quale tre giorni prima avea tanto strepitato, afferrò una grossa pietra, e gridando — lasciatemi tirare a quella carogna — la scagliò rabbiosamente sulla testa di Caluzzo.
Questi la ricevette in pieno capo e traballò; ma ripigliatosi tosto, si slanciò, furioso, sulla vecchia.
Allora tutte le comari si diedero a gridare: ad iddu, ad iddu (3) e gli fecero piovere una grandine di sassi sulla testa e su tutto il corpo; gli uomini le imitarono.
Caluzzo cercava di sfuggire quella grandinata, e mandando grida terribili, si avventava ora su questo, ora su quello; ma da ogni parte gli piovevano addosso le pietre.
Finalmente cadde a terra e tutti lo pestarono coi piedi: poco dopo egli non era che un informe cadavere.
La gna Peppa e suo figlio erano stati vendicati.
(1) Santa Elisabetta, paese della provincia di Girgenti, di circa 1000 abitanti, è sotto comune aggregato ad Aragona.
(2) Gna, sincopato da gnura, sincopato da signura, propriamente vale moglie del cocchiere, ma si applica a tutte le donne del volgo.
(3) Dàlli, dàlli.
Emmanuele Gramitto, Xerri, Racconti popolari siciliani, Girgenti, 1885