• Menu
  • Skip to right header navigation
  • Passa al contenuto principale
  • Passa al piè di pagina

Before Header

Agrigento Ieri e Oggi

Header Right

  • Home
  • In 5 Minuti
  • Agrigento Racconta
  • Attualità
  • Storia Agrigento
  • Storia Comuni
  • Storia Sicilia
  • Storia Italiana
  • Storia Agrigento
  • Storia Comuni
  • Storia Sicilia
  • Storia Italiana

Header Right

  • Home
  • In 5 Minuti
  • Agrigento Racconta
  • Attualità
agrigento seminaristi
agrigento seminaristi

Agrigento. Abitavo in via Lo Cicero. Bei ricordi di un agrigentino del centro storico

5 Novembre 2014 //  by Elio Di Bella

…partire a lenti passi da Piazza Municipio, costeggiare la chiesa di san Domenico, voltare a destra imboccando la Via degli Oblati in una leggera salita e tutta anse come un placido fiume. Il primo sùbito impatto è ( nell’onda dei ricordi, in quanto non esiste più) con la fontanella dell’acqua amara, posta quasi a sentinella di una stretta e breve rientranza che si esaurisce ai piedi di una delle tante aeree gradinate che portano verso la città alta. In questa rientranza si trovano le uscite di sicurezza del Teatro Regina Margherita oggi Pirandello. Porte di sicurezza e porte dei desideri per adolescenti squattrinati che qualche volta la benevola compassione del “cerbero” apriva furtivamente per farmi sgattaiolare su su per una scala interna di servizio che portava al loggione del teatro, che dagli anni trenta in avanti per la massima parte dell’anno fungeva da sala cinematografica (in estate sopperiva l’Arena Bonsignore e, in seguito, il cinema Eden) a seguito dell’abbattimento del vecchio cinema in legno, e quindi a totale rischio, di Porta di Ponte.

Lì mi ero beato accompagnato, da mio padre, con le pellicole degli eroi di allora: Tom Mix sopratutto, e Ridolini e Fatty   continuo a percorrere raggiungendo e oltrepassando l’orfanotrofio del Boccone del Povero, con il suo “Pane di Sant’Antonio”, le sue orfanelle, che ne uscivano in fila per due quando venivano chiamate (affittate sarebbe il vero termine crudo) a precedere i cortei funebri. Lasciando a sinistra una via con una breve scalinata (via Castagna) si gira a destra per arrivare a via Maraventano, che ha termine all’omonimo Piano. Da lì ci si inerpica con comoda rampa ad una successiva via, continuazione della via Sferri.

Continuando, a metà percorso si diparte a destra via Palma, dove si affaccia un primo caseggiato, abitato da tre famiglie: al primo piano da un mio zio paterno, che nel 1926 ci ha ospitato per un certo periodo reduci da Roma. Dirimpettaia del pianerottolo era la famiglia Alaimo. La terza famiglia al secondo piano era quella dei Salamone, che io frequentavo, composta da una vedova matrona (generosa quando le portavo a recidere la cima della “corona di Sant’Antonio” che mi fruttava una fantastica moneta di un nichelino) e dal “ signorino Peppino“, a cui nel tempo mi legò una cordiale amicizia nell’età adulta. Essi – proprietari terrieri – erano rispettivamente la nonna e il padre dell’attuale magistrato Fabio Salamone assurto agli onori di cronaca.

Successivamente al tratto che incrocia la via Palma (i miei sensi di bambino, di adolescente e di adulto nel passarvi si estasiavano all’intenso e sensuale sentore di gelsomino, che come una cascata di profumate stelle di neve, traboccava dai muri di un giardino pensile) la strada moriva ai piedi di un’ulteriore erta che porta al Seminario e alla Cattedrale (che tripudio di tamburelli, che moltitudine di popolo seduta sulla scalinata dell’abside intenta a seguir la fiera del bestiame nel giorno della festa di San Gerlando!). Ma prima di…. morire la strada si allarga in una piazzetta circoscritta da una via con una ennesima gradinata e dal cortile Calafato. Sulla scalinata chiamata via Lo Cicero si apre una casa a pianterreno con ingresso a persiana che si affaccia con balcone sulla piazzetta. Ivi ho trascorso i primi anni dell’infanzia costellata da trasognante beatitudine e da infantili angosce.

agrigento seminaristi
agrigento seminaristi

Alla beatitudine arrivavo attraverso una dirimpettaia breve scaletta che saliva dai bordi della via e portava ad uno screpolato portoncino, che tutti i pomeriggi di bel tempo si apriva per la magnanimità del padrone di casa – il “signorino Lo Cicero” per noi monelli – ad una tribù di bambini che affrontava la breve e stretta scalinata, impazienti di bearsi sotto lo sguardo bonario e sorridente dell’enorme “Signorino” sui sessanta anni assiso su un (altissimo per noi) seggiolone di quella meraviglia di un giardino pensile, che per me era il giardino dell’Eden: rose, garofani, violette, gelsomini che imbalsamavano l’aria come un bouquet da mille e una notte estasiandomi.

Caro enorme “signorino” dall’anima bambina della mia infanzia povera e serena, che si illuminava di felicità in quell’ambito aereo vivido di colori e di essenze, completata e appagata dai racconti del giocondo ospite, al quale non si negava, avanti il sopraggiungere delle prime ombre della sera e i richiami delle nostre madri, o un gaio canoro giro giro tondo, o l’antico e sempre attuale coro di “E’ arrivato l’ambasciatore“. Fu quel giardino di sogno che aprì il mio cuore e i miei vergini sensi all’amore per i fiori, amore che ancora oggi esercita il suo fascino soggiogante e voluttuoso.

L’incantata serenità del giardino si spezzava appena varcavo la soglia di casa e un’ angoscia che la mia infantile fantasia esagerava mi attanagliava l’animo. Perchè ogni sera, puntualmente alla stessa ora, Gerlando Savarino (Giurlannu Stinnicchiatu per il popolo girgentano) avanzava con equilibrio instabile cacciato dalla taverna posta sullo spazio che si allargava a metà salita di via Lo Cicero. Doveva essere la sua una sofferenza atroce che lo faceva avanzare con un fatica che si leggeva attraverso gli occhi semichiusi, le guance cespugliose e cascanti e la testa ciondolante nella disperata ricerca di un arduo equilibrio, con grugniti affannosi gorgogliati dalla gola.

Dopo, quello che mi riempiva di terrore, si ripeteva sera dopo sera e mi inchiodava nell’ingresso, che, ripeto, si apriva a metà della scalinata E proprio quattro gradini più sù crollava Gerlando, suscitando grida di trionfo della marmaglia in attesa di quel momento e una mia muta angoscia che cercava l’abbraccio di mia madre, specialmente se a volte il crollo avveniva all’altezza del nostro ingresso, per cui il suo corpo mi sfiorava. Il crollo generava un rotolare di quel misero corpo, da cui si levavano rauchi lamenti, finché il rotolio si fermava ai piedi della rampa, lasciandolo immobile in totale scomposto abbandono a smaltire la tremenda sbornia.

Eppure, quasi a inconscia protesta per la canea sghignazzante,- quante volte l’ho ammirato gioioso allorché si cimentava nella conquista – e nessuno riusciva a tenergli testa – dei vari alberi della cuccagna (a ‘ntinna) che nel piazzetta del quartiere si rizzavano in occasione di feste popolari. Egli era sempre il migliore in assoluto e gli altri contendenti dovevano inchinarsi di fronte a tanta manifesta superiorità e riconoscere con quale paziente e istrionica maestria si costruiva la vittoria finale.

Mentre gli avversari a turno tentavano la scalata, sforzandosi invano di non scivolare e toccare terra che comportava la sicura eliminazione, Gerlando si arrampicava lentamente soffermandosi ad ogni metro: con il braccio sinistro attorcigliato come un serpente sul tronco di un albero, si teneva avvinghiato – e Dio solo sa come – fermo, stringendo le gambe incrociate, mentre la mano destra raschiava il residuo strato di sapone densamente vischioso color miele che gli sconfitti avevano lasciato. Poi un’altra spinta in su e solito metodo, finché non arrivava in alto, dove un cerchione innestato a guisa di ruota sulla sommità della pertica lasciava pendolare ogni ben di Dio: salami, caciocavalli, mortadelle, salsicce, pentola di terracotta che conteneva una delle più gustose leccornìe girgentane: rotoli di  sanguinaccio; e ancora: chilometriche salsicce.

Appena raggiunta la cima, staccava con forza vuoi un salame, vuoi una “corda” di salsiccia tra gli applausi miei e della folla. E qui si concedeva, da consumato guitto, uno scivolone all’apparenza inarrestabile tale da far scorrere un brivido di emozione al sottostante cerchio umano; ma i suoi piedi non toccavano mai terra! Dopo un breve riposo, fin-gendo ansimanti sforzi, risaliva con inesistente inaudita sofferenza per ritornare a cogliere da quell’albero di cuccagna la sua saporita frutta, tra urla e battimani del popolino e ilare felicità del mio cuore.

CICCIU CIRLIUNI

Ma Gerlando non era il solo personaggio del quartiere. Mi ricordo di “Nirìa l’orbu”, una mite persona che cercava il soldo regalando motivi suoi strimpellati da uno sgangherato violino.

Poi, in un “basso” oscuro ed esalante umidore, aveva la sua abitazione, che somigliava più ad una tana (a me era concesso entrarvi per riflessa riconoscenza) ” Cicciu Cirliuni “, un povero, gaio e innocuo mentecatto spilungone che giorno dopo giorno intratteneva la gente divertita più che incuriosita con “opere musicali” di cinque, dieci e addirittura quindici parti da lui composte. Quando riteneva che il cerchio di sfaccendati fosse abbastanza numeroso per sperare in qualche rado compenso, molto spesso improbabile (mia madre, dal balcone, gli buttava sempre un mezzo “muffulettu” di pane, che egli, con un sorriso che gli tagliava la faccia a metà, faceva sparire nelle profonde tasche di un enorme giaccone che gli scendeva fin oltre le ginocchia) con la palma della mano racchiusa a coppa circondava la larga bocca, da cui faceva uscire uno strombazzare di trombetta intramezzato da “zza, zzazza zza”, mentre con il pugno della mano sinistra martirizzava freneticamente braccio e avanbraccio destro. E andava avanti così in un crescendo rossiniano, finché ansante, credulone, ilare il volto, attendeva dagli astanti l’applauso e l’obolo.

L’applauso furbescamente ironico lo raccoglieva; l’obolo era rado, tesogli da qualche benestante di passaggio più che altro impietosito. Non era comunque mai deluso per le mancate offerte e si allontanava con quello smisurato sorriso, pronto a ricominciare con insistente candore a cento metri di distanza. Era, ripeto, un giovane innocuo dalla follia gioconda. Eppure una volta – l’unica che ricordi – mi ha fortemente spaventato, facendomi prudentemente arretrare di fronte ad una collera cieca e irrefrenabile che lo spingeva a raccogliere quanti più sassi trovava per scagliarli contro il solito irridente popolino, che, avendo evidentemente oltrepassato ogni possibile limite, di fronte a quella inaspettata furia, cercò scampo nella botteguccia di Mastr’Angelo “Diavolo “.

Ho abitato la casa di via Lo Cicero fino al 1921 e furono anni variamente sognanti, il cui ricordo la prima infanzia ha spruzzato di nostalgia.

TRE PAZZIE

Successivi ricordi dei primi mesi del 1921 mi riportano nella nuova casa di Via San Michele, dal popolo battezzata ” a strata longa ” che aveva termine nello spiazzo dove si ergeva l’omonima chiesa (ora scomparsa come scomparsa era già la chiesa di San Libertino posta verso le mura ed esposta ai gelidi venti di tramontana e a quelli di maestro).

La casa è affiancata ad un cortile, dove si apriva una bottega di calzolaio e una di vino e di fronte aveva la Salita Trainiti, che, a sua volta, scendeva al piano di san Girolamo. Le postume considerazioni di adulto mi hanno fatto scoprire una direi fatale coincidenza, quando venni a sapere che tutto lo stabile era, o era stato, di proprietà dei Portulano, quelli per intenderci che avevano dato in moglie a Luigi Pirandello la giovane Antonietta, che doveva poi spegnersi a Roma fra le nebbie della follia!

casa portulano

Quello stesso caseggiato era abitato, al primo piano da un maturo scapolo che aveva un negozietto di orologeria in Via Atenea. Ebbene, questo signore coabitava con una sorella ammalata di mente!

Già da un anno eravamo venuti ad occupare il secondo piano di quello stesso stabile, quando un giorno la gente che abitava nell’attiguo cortile cominciò a gridare atterrita alla vista di mia madre, anch’essa ormai ondeggiante nel caos mentale, che dondolava mio fratello tutta protesa fuori dell’inferriata del balcone, che dava appunto sul cortile.

Io, il suo prediletto fui colpito da una lattina scagliata a viva forza che mi procurò un taglio sopra la nuca; e non molto tempo dopo il piede di una sedia mi colpì sopra l’orbita dell’occhio destro, quale reazione all’epiteto di puttana che le avrei gridato. Risultò inevitabile la visita del delegato di Pubblica Sicurezza per interrogarmi, su evidente segnalazione del vicinato. E tutto doveva drammaticamente avere un epilogo con l’angosciante scena di un mattino invernale ancora immerso nel buio, quando si presentarono due guardie municipali in borghese, che, un po’ con cauta gentilezza e in fine con la forza che sovrastò la disperata resistenza della mia sventurata mamma, la trascinarono via (fuori stazionava una carrozza) sordi alle sue grida strazianti, per accompagnarla all’ospedale psichiatrico di Messina. Quell’indimenticabile scena mi agghiacciò come mi agghiacciava la fredda crudele determinazione dell’accalappiacani, quando, sordo al lamentevole guaire, sollevava col cappio un cane randagio per deporlo nella gabbia-canile che si portava dietro.

 

Ignazio Prinzivalli

 

Articolo pubblicato sul numero due della Rivista Agrigentini a Roma e ovunque

 

 

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento racconta

Post precedente: « AGRIGENTOIERIEOGGI Vuole diventare un’associazione.Iscriviti
Post successivo: Le Ceneri di Pirandello: una vicenda pirandelliana »

Footer

Copyright

I contenuti presenti sul sito agrigentoierieoggi.it, dei quali il Prof. Elio di Bella è autore, non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti perché appartenenti all’autore stesso. È vietata la copia e la riproduzione dei contenuti in qualsiasi modo o forma. È vietata la pubblicazione e la redistribuzione dei contenuti non autorizzata espressamente dall’autore.

Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 07/03/2001.

Privacy

Questo blog rispetta la normativa vigente in fatto di Privacy e Cookie . Tutta la docvumentazione e i modi di raccolta e sicurezza possono essere visionati nella nostra Privacy Policy

Privacy Policy     Cookie Policy

Copyright © 2023 Agrigento Ieri e Oggi · All Rights Reserved