Un antico proverbio siciliano recita: “Unni ci su campani, ci su bbuttani!” . Si intende dire che dove c’è una città si pratica diffusamente “ il più antico mestiere del mondo ”.
I vicoli del colle di Girgenti non hanno fatto eccezione.
Cittadina di caserme e poco distante da un trafficato porto, Agrigento, oltre che per i templi greci, era rinomata per il sesso a pagamento. Un intendente borbonico – una sorta di Prefetto di oggi – fece sloggiare dal conventino di San Calogero i fraticelli per ospitare un ospedale per le prostitute. Le malattie veneree erano abbastanza diffuse e le prostitute non potevano più essere ospitate nell’ospedale civico nella via Atenea e si rese necessario aprire un presidio sanitario per le molte “signorine” che si ammalavano. I soldati e le caserme aumentarono in città dopo che i soldati borbonici vennero sostituiti da quelli della nuova Italia. Ma in quegli anni non solo per i vicoli del capoluogo il commercio del sesso a pagamento prosperava. Non lontano, nelle miniere di Santa Lucia, per i “carusi” che dovevano spesso restare lontani da casa arrivavano dalla città le prostitute. Quando a prostituirsi nelle miniere non erano le donne stesse che vi lavoravano. “Di età compresa tra i 9 e 17 anni trasportavano il minerale dalla bocca della solfara fino alla catasta del minerale. Abituate a portare pesi sulla testa, secondo una usanza di origine araba, erano più veloci ed efficienti degli uomini.
La promiscuità con i minatori, spesso nudi o seminudi, le condannava al marchio infamante di poco serie e, per la disistima in cui erano tenute, si davano spesso alla prostituzione”, leggiamo nell’inchiesta di Vittorio Savorini, “Condizioni economiche e morali dei lavoratori nelle miniere di zolfo e degli agricoltori nella provincia di Girgenti” (1881).
Qualche anno dopo, poiché i giovani agrigentini in camicia nera non potevano permettersi di “battere la fiacca” nemmeno sotto le lenzuola, il fascismo mise ordine in quei “traffici” anche a Girgenti in modo preciso con l’istituzione di casini sotto il controllo della Pubblica Sicurezza.
Nella Città dei Templi le “case” in argomento più note erano quelle delle erano gestite dalle “tenutarie” Oliveri, Traina, Pasta, Bianca .
Il controllo sanitario era affidato al dr. Giovanni Cremona (con studio nell’ex casa Foderà nel cortile Contarini), specializzato sulla prevenzione e cura delle malattie veneree.
Gli agenti di P.S. dovevano verificare la presenza dei profilattici ( in funzione antivenerea ed anticoncezionale ) che, obbligatoriamente, la “casa” doveva distribuire ai clienti .
Molte di queste case si trovavano nel quartiere Vallicaldi e in particolare in via Gallo.
“Attese come “feste” ad Agrigento erano “i cambi” delle “entreneuses”, alias prostitute di Stato (già perché era lo Stato ad organizzare e amministrare quel “servizio”) delle quali quelle destinate (per qualità) alla casa della signora Bianca per inveterata usanza locale, dopo la rituale visita dell’ufficiale sanitario, avevano “il privilegio”, ovviamente dietro pagamento di tariffe maggiorate, di far gustare “il sesso totale” ai signorotti locali celibi e non e a tutti ”, ricorda l’agrigentino Mario la Loggia.
Tali cambi venivano fatti ogni quindici giorni e per tale motivo ad Agrigento correva di voce la notizia che era arrivata la “quindicina”. Le “signorine” arrivate alla stazione centrale, in genere da Palermo, erano attese dalle carrozze con cui si recavano immediatamente in Questura per la registrazione. Subito dopo attraversavano la via Atenea in carrozza scoperta e per nessuno era un mistero il motivo del loro arrivo in città. Raggiungevano il bordello più apprezzato e costoso, ubicato nel palazzo Fasulo, esattamente sotto il Circolo dei Nobili , il cui ingresso era nella via Gallo.
“La “casa” era un ambiente raffinato, frequentato da nobiltà e borghesia ed il prezzario era più alto delle altre case . La tenutaria di quella casa , famosa in città, era una certa Bianca .
In città circolava una storiella, ancora viva nei ricordi delle persone anziane: si racconta che tra il circolo dei Nobili e la sottostante casa ci fosse una scaletta a chiocciola che consentiva ai soci ( nobili e d’alta borghesia, nonché politici e gerarchi fascisti), per evidenti motivi d’opportunità, di frequentare il luogo senza farsi notare all’esterno da occhi indiscreti”, (leggiamo su un forum del web un altro agrigentino che vuole restare anonimo).
Le prestazioni si pagavano in anticipo ed al cliente veniva consegnata la “marchetta “che poteva essere un gettone in ottone forato al centro e nel dorso recava inciso il nome della Casa ( ma poteva ridursi ad un semplice talloncino di carta o cartone ) che veniva consegnata in camera alla ragazza prima della prestazione.
Inoltre, nella sala d’attesa, c’era esposto un tariffario, che prevedeva varie prestazioni.
Le case di tolleranza vennero abolite a seguito della promulgazione della legge n. 75/58 della senatrice Merlin, con decorrenza 20 settembre 1958.
Un anno dopo in città apparve un manifesto goliardico su cui si leggeva “Nel primo anniversario della immatura perdita della cara signora CASA CHIUSA BIANCA i giovani e gli intimi addolorati ricordano. Addì 20 settembre 1959. Una prece per l’anima benedetta”.
La via Gallo però continuò a lungo ad essere indicata come la strada della prostituzione.
Elio Di Bella